San Gregorio di Nazianzo detto “il Teologo”


Può parlare di Dio solo chi si è sufficientemente purificato

 

San Gregorio, nato a Nazianzo, una piccola città della Cappadocia, intorno al 330 fu Arcivescovo di Costantinopoli dal 379 al 381. Con Basilio il Grande e Gregorio di Nissa fa la triade dei Padri cappadoci della Chiesa. Essi si sono distinti per santità di vita e profondità di dottrina. Presentiamo in questa sezione un estratto dalle Orazioni di San Gregorio di Nazianzo sulla teologia. In un tempo difficile come il nostro, le parole del Nazianzeno sono una vivida luce in confronto alla quale la maggioranza delle pubblicazioni teologiche pare fitta nebbia.

Non a tutti, miei cari, compete di parlare di Dio, non a tutti: non si tratta di una capacità che si acquista a basso prezzo né che appartiene a quanti procedono senza staccarsi da terra. Voglio aggiungere che non si può fare sempre, né davanti a tutti, né riguardo a ogni argomento, ma c’è un tempo opportuno, un uditorio opportuno e ci sono argomenti opportuni.

Non compete a tutti, ma a quelli che si sono esercitati e hanno fatto progressi nella contemplazione, e che prima di tutto hanno purificato anima e corpo, o, più esattamente, li purificano. Chi non è puro non può senza pericolo venire a contatto con la purezza, come il raggio del sole non può senza danno raggiungere occhi malati. E quando lo può fare? Quando noi ci allontaniamo dal fango esteriore e dal disordine, e quando la parte direttrice che è in noi non viene confusa da immagini malvagie e deviate, come una bella scrittura mescolata a lettere di cattiva qualità, o un buon profumo mescolato al puzzo della melma. Bisogna realmente starsene liberi, infatti, per conoscere Dio, e “quando ci troveremo nella circostanza favorevole, giudicare” l’esattezza della teologia. Con chi bisogna parlarne? Con coloro dai quali l’argomento è affrontato con impegno e non come uno dei tanti argomenti inutili che con piacere si discutono dopo le corse dei cavalli, dopo gli spettacoli teatrali, dopo i canti, dopo aver accontentato il ventre e ciò che sta al di sotto del ventre: per queste persone è un piacere ciarlare su simili argomenti e mostrarsi abili nelle controversie.

Su cosa dobbiamo meditare e in quale misura? Sulle cose a noi accessibili, e fin dove arrivano la disposizione e la capacità degli ascoltatori. Questo per evitare che, come i suoni e gli alimenti in eccesso danneggiano l’udito o i corpi o, se preferisci, come i carichi troppo pesanti affaticano chi li sostiene, o le piogge troppo impetuose devastano la terra, così anche chi ascolta, pressato e gravato dalle parti più consistenti, per così dire, dei discorsi, venga a perdere anche la forza che prima possedeva.

E non dico che non bisogna ricordare affatto Dio non mi attacchino nuovamente quelli che sono proclivi e pronti a tutto!

Infatti, bisogna ricordarsi di Dio più spesso di quanto respiriamo, e, se è possibile dirlo, non bisogna fare altro che questo. Anche io sono tra quelli che approvano le parole che prescrivono di “esercitarsi giorno e notte”, di “raccontarlo a sera, al mattino e a mezzogiorno” e di “benedire il Signore in ogni circostanza”; se bisogna anche ripetere le parole di Mosè, “quando riposiamo a letto, quando ci alziamo e quando siamo in viaggio” mentre facciamo qualunque altra cosa, conformandosi alla purezza ricordandoci di Lui.

Quindi io non vieto di ricordare Dio continuamente, ma di disputare su Dio; e non proibisco la teologia in quanto cosa empia, ma in quanto cosa inopportuna; io non proibisco l’insegnamento, ma la mancanza di misura. Riempirsi di miele fino a sazietà provoca il vomito, anche se si tratta di miele: allo stesso modo “per ogni cosa c’è il suo tempo”, come sembra a Salomone e a me, e il bello non è più bello, quando non si produce in maniera bella, come il fiore che è in inverno è completamente fuori stagione, o come un’acconciatura maschile è inopportuna per le donne e una femminile lo è per gli uomini, o, ancora, come la geometria è inopportuna in un lutto e le lacrime in un banchetto. Non terremo in considerazione, dunque, il momento opportuno proprio laddove esso deve essere tenuto nella massima considerazione?

(Orazione 27, II-IV)

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/parlare.htm

 

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