LA «TUTTA SANTA» MADRE DI DIO

Vladimir Lossky

 

La Vergine regina, investita dei legittimi titoli di gloriosa dignità, non ha bisogno di gloria posticcia.

Bernardo di Clairvaux

 

Lasciandosi fuorviare da una rassomiglianza di espressioni verbali o da ingannevoli associazioni di idee, alcuni sono indotti a confondere la dottrina della chiesa romano-cattolica sull’immacolata concezione di Maria con il dogma della concezione verginale di nostro Signore Gesù Cristo. La prima, che è un’innovazione del cattolicesimo romano, è connessa alla nascita della Vergine, mentre il secondo, che è tesoro comune della fede cristiana, riguarda la natività di nostro Signore Gesù Cristo, «il quale, per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito santo nel seno della vergine Maria, e si è fatto uomo».
            La dottrina dell’immacolata concezione trova la sua origine nella devozione particolare che tributavano alla Vergine alcuni ambienti spirituali dell’occidente separato, a partire dalla fine del XIII secolo. Questa dottrina fu proclamata «verità rivelata» l’8 dicembre 1854 dal papa Pio IX motu proprio (cioè senza la convocazione di un concilio). Il nuovo dogma fu promulgato con l’intenzione di dar gloria alla santa Vergine che, in quanto strumento dell’incarnazione di nostro Signore, diventa cooperatrice della nostra redenzione. Secondo questa dottrina, ella godrebbe del privilegio particolare di essere esente dal peccato originale fin dal momento del suo concepimento da parte dei genitori, Gioacchino e Anna. Questa grazia speciale che la renderebbe, per così dire, riscattata prima dell’opera di redenzione, le sarebbe stata accordata in previsione dei futuri meriti di suo figlio. Per incarnarsi e divenire «uomo perfetto», il Verbo di Dio aveva bisogno di una natura umana non contaminata dal peccato: era necessario dunque che il grembo nel quale egli avrebbe assunto la sua umanità fosse puro da ogni macchia e purificato anzitempo. Da ciò, secondo i teologi romano-cattolici, la necessità di fornire alla Vergine, pur concepita in modo naturale come ogni creatura umana, un privilegio speciale, che la ponesse al di fuori della discendenza di Adamo e la liberasse dalla colpa originale comune al genere umano. Così, secondo il nuovo dogma romano-cattolico, la santa Vergine avrebbe partecipato, fin dal seno di sua madre, allo stato del primo uomo prima del peccato.
            La chiesa ortodossa, che sempre ha reso un culto particolare alla Theotókos, la madre di Dio, innalzata al di sopra degli spiriti celesti, «più venerabile dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini» (inno del rito orientale), non ha mai ammesso – almeno nel senso datogli dalla chiesa di Roma – il dogma dell’immacolata concezione. La definizione «privilegio accordato alla Vergine in vista dei meriti futuri di suo figlio» è contraria allo spirito dell’ortodossia cristiana; la chiesa ortodossa non può accettare questo giuridismo ad oltranza che oscura il reale carattere dell’opera della nostra redenzione, vedendo in essa null’altro che un astratto merito di Cristo, applicabile a un essere umano prima della passione e resurrezione, addirittura prima dell’incarnazione di Cristo, e tutto ciò per speciale decreto di Dio. Se la santa Vergine avesse potuto godere degli effetti della redenzione prima dell’opera redentrice di Cristo, non si capisce perché questo privilegio non sarebbe potuto essere esteso ad altri, a tutti i progenitori di Cristo, ad esempio, cioè a tutta quella discendenza di Adamo che contribuì, di generazione in generazione, a preparare la natura umana assunta dal Verbo nel seno di Maria. Questo sarebbe stato logico e conforme all’idea che abbiamo della bontà di Dio, e così l’assurdità di tale congettura diviene chiara: avremmo un’umanità che gode di un «non luogo a procedere» malgrado la sua caduta, salvata in anticipo e pur tuttavia in attesa dell’opera della propria salvezza operata da Cristo! Ciò che appare assurdo se applicato a tutta l’umanità che precede Cristo non lo è meno nel caso si tratti di un solo essere umano. Il controsenso appare più evidente: affinché l’opera della redenzione potesse compiersi a favore di tutta l’umanità era necessario che essa si compisse in anticipo a favore di uno dei suoi membri. In altre parole, perché avvenisse la redenzione era necessario che essa ci fosse già, che qualcuno godesse in anticipo dei suoi frutti.
           
Senza dubbio si potrà ribattere che questo è legittimo nel caso si tratti di un essere così eccezionale come la santa Vergine, predestinata a servire da strumento per l’incarnazione e, attraverso di essa, per la redenzione. In un certo senso questo è vero: la Vergine che concepisce senza macchia il Verbo, vero Dio e vero uomo, non fu un essere come gli altri. Ma la si può separare in una maniera così assoluta dal resto della discendenza di Adamo fin dal momento del suo concepimento da parte di Gioacchino e Anna? E separandola in questo modo, non si corre il rischio di minimizzare il valore di tutta la storia dell’umanità prima di Cristo, di cancellare il senso stesso dell’Antico Testamento, che fu un’attesa del Messia, una preparazione progressiva dell’umanità all’incarnazione del Verbo? Se l’incarnazione ha come unica condizione il privilegio accordato alla Vergine «in vista dei meriti di suo figlio», la venuta del Messia nel mondo avrebbe potuto compiersi in un qualsiasi altro istante della storia; in un qualsiasi istante Dio avrebbe potuto, attraverso uno speciale decreto che non sarebbe dipeso che dal giudizio divino, creare l’immacolato strumento della sua incarnazione, senza considerare il ruolo della libertà umana nei percorsi del mondo decaduto. Eppure la storia dell’Antico Testamento ci insegna diversamente: il sacrificio volontario di Abramo, le sofferenze di Giobbe, l’opera dei profeti, tutta la storia stessa del popolo eletto, con le sue ascese e le sue cadute, non sono solo una raccolta di prefigurazioni di Cristo, ma sono una prova continua della libertà umana che risponde alla chiamata di Dio, che offre a Dio, in questo lento e laborioso progredire, le condizioni umane necessarie al compimento della sua promessa. Tutta la storia biblica si rivela come una preparazione dell’umanità all’incarnazione, a questa «pienezza dei tempi», a quel momento in cui l’angelo fu inviato per dare il saluto a Maria e ricevere dalle sue labbra le parole con cui l’umanità acconsente a che il Verbo si faccia carne: «Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola»[1].

Nicola Cabasilas, un teologo bizantino del XIV secolo, nella sua omelia sull’annunciazione dice:

L’incarnazione non fu solo opera del Padre, della sua Virtù [il Figlio] e del suo Spirito, ma anche l’opera della volontà e della fede della Vergine. Senza il consenso dell’Immacolata, senza il concorso della fede, il disegno di salvezza sarebbe stato altrettanto irrealizzabile che se fosse mancato l’apporto delle tre Persone divine. Solo dopo averla istruita e persuasa, Dio la prende come madre e assume la carne che la Vergine gli ha voluto prestare. Come egli ha voluto incarnarsi volontariamente così ha voluto che sua madre lo concepisse liberamente e in pieno acconsentimento[2].

Se la santa Vergine fosse stata separata dal resto dell’umanità da un privilegio di Dio che le avesse conferito in anticipo lo stato dell’uomo prima del peccato, allora il suo libero consenso alla volontà divina e la sua risposta all’arcangelo Gabriele avrebbero perso i legami di solidarietà storica con gli altri atti che contribuirono a preparare, nel corso dei secoli, la venuta del Messia; allora sarebbe stata spezzata la continuità con la santità dell’Antico Testamento che si accresceva di generazione in generazione per compiersi finalmente nella persona di Maria, vergine tutta pura la cui umile obbedienza doveva porre l’ultimo passo che, da parte dell’umanità, rese possibile l’opera della nostra salvezza. Il dogma dell’immacolata concezione, come è formulato dalla chiesa cattolico-romana, rompe questa santa continuità dei «giusti antenati di Dio» che trova il suo punto di arrivo nell’«Ecce ancilla Domini». La storia di Israele perde il suo senso intrinseco, la libertà umana è privata di tutto il suo valore e la stessa venuta di Cristo che si compirebbe in virtù di un decreto arbitrario di Dio riceve il carattere dell’apparizione di un deus ex machina, che fa irruzione nella storia umana. Questi sono i frutti di una dottrina artificiosa e astratta che, volendo dar gloria alla Vergine, la priva del suo legame intimo, profondo, con l’umanità e, conferendo a lei il privilegio d’essere esente da peccato originale dal momento del suo concepimento, diminuisce in modo singolare il valore della sua obbedienza al messaggio divino nel giorno dell’annunciazione.   
            La chiesa ortodossa respinge l’interpretazione cattolico-romana dell’immacolata concezione. Tuttavia onora la santa Vergine con i titoli di «immacolata», «senza macchia», «tutta pura». Efrem il Siro dice:

Tu, Signore, e tua madre, siete i soli perfettamente santi, perché tu non hai alcuna macchia, Signore, e tua madre non ha alcun peccato[3].

Come è possibile ciò, al di fuori dell’inquadratura giuridica (privilegio d’esenzione) del dogma dell’immacolata concezione? In primo luogo occorre distinguere tra il peccato originale come colpa commessa contro Dio e comune a tutta l’umanità dopo Adamo, e il peccato, forza del male che opera nella natura dell’umanità decaduta; allo stesso modo occorre distinguere tra la natura comune a tutta l’umanità e la personalità particolare propria di ciascuno. Personalmente la Vergine fu estranea a ogni macchia, a ogni peccato, ma, a causa della sua natura, portò con tutti i discendenti di Adamo la responsabilità della colpa originale. Ciò suppone che il peccato come forza del male fosse inoperante nella natura della Vergine eletta, progressivamente purificata nelle generazioni dei suoi giusti antenati e protetta in lei per grazia dal momento del suo concepimento. La santa Vergine fu protetta da ogni macchia ma non esentata dalla responsabilità della colpa di Adamo, colpa che non poté essere cancellata nell’umanità decaduta se non per la persona divina del Verbo.
           
La Scrittura ci offre altri esempi di soccorso divino e di santificazione fin dal grembo della madre: David, Geremia («Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato»[4]), e finalmente Giovanni Battista[5]. È in questo senso che la chiesa ortodossa festeggia da tempo antico il giorno del concepimento della Vergine (9 dicembre), come festeggia anche il concepimento di Giovanni Battista (23 settembre). Occorre notare, a tal proposito, che il dogma cattolico-romano stabilisce, per ciò che concerne il concepimento della Vergine da parte di Gioacchino e Anna, una distinzione tra «concepimento attivo» e «concepimento passivo», essendo il primo opera naturale della carne, l’atto dei genitori che procreano, e riguardando il secondo solo l’effetto dell’unione coniugale; il carattere di «immacolata concezione» si applica solo all’aspetto passivo del concepimento della Vergine. La chiesa ortodossa, estranea a questa avversione per ciò che riguarda la natura carnale, non conosce distinzioni artificiose tra «concepimento attivo» e «concepimento passivo». Celebrando il concepimento della Vergine e di Giovanni Battista essa da testimonianza al carattere miracoloso di queste nascite, venera l’unione casta dei genitori contemporaneamente alla santità dei loro frutti. Per la Vergine come per Giovanni Battista questa santità non sta in un astratto privilegio di non-colpevolezza, ma in un cambiamento reale della natura umana progressivamente purificata e risollevata dalla grazia nelle generazioni precedenti. Questo innalzamento incessante della nostra natura, destinata a divenire quella del Figlio di Dio incarnato, si compie nella vita di Maria; attraverso la festa della presentazione della Vergine al Tempio (21 novembre) la tradizione testimonia questa santificazione continua, questa protezione esercitata dalla grazia divina contro ogni macchia del peccato. La santificazione della Vergine è portata a termine al momento dell’annunciazione quando lo Spirito santo la rende idonea a un concepimento immacolato, nel senso pieno di questa parola: il concepimento verginale del Figlio di Dio divenuto figlio dell’uomo.

Da: V. LOSSKY, “Le dogme de l’Immaculèe Conception”, in La vie spirituelle, 677 (1987), 635-641; pubblicato in italiano in La Madre di Dio, coll. “Testi di spiritualità ortodossa”, 6, Magnano (VC), 1994, 17-23.


 

[1] Lc 1, 38.

[2] Homélies, PO 19, 2.

[3] Carmina Nisibena 27, 8.

[4] Ger 1, 5.

[5] Lc 1, 41.



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