Vita di san Nicodemo l’Umile

[12 marzo]

 

La Vita di san Nicodemo è nota grazie a un monumentale Menologio, portato a termine nel 1308 per l’uso del Monastero del Salvatore di Messina (Mess. Gr. 30 ff. 245\50). L’agiografo è uno sconosciuto monaco Nilo. Al suo tempo – 13° secolo? – circolavano altre narrazioni su san Nicodemo, ritenute però difettose:

un altro prima di me, avendo voluto fare discorsi sull’argomento, fu riprovato davanti a molti a causa dell’oscurità e della rozzezza del suo parlare, temo di subire anch’io con lui la medesima sorte.

Dobbiamo, tuttavia, rimpiangere la perdita di quei Discorsi: le notizie su san Nicodemo conservate dal monaco Nilo sono alquanto vaghe[1].

Nicodemo nacque nel 10° secolo nella Sicilia continentale, a Sikrò: un villaggio della regione delle Saline (all’incirca, il versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria o Piana di Gioia Tauro) non identificato[2]. È stata proposta la località Skrisi presso Palmi o una qualche altra località presso Cinquefrondi: la Vita di sant’Elia il Nuovo, l’ennese, parla di un fiume Sikrò che sembra poter essere lo Xiropotamo o Jeropotamo che scorre in quella zona.

Nicodemo, proteso verso quel pensiero che dice: Convincetevi di vivere sui monti e nelle spelonche, … discese alla Casa del taumaturgo San Fantino il Cavallaio dove, con altri fratelli, praticava vita esicasta un omonimo del santo cavallaio vissuto nel 4° o 5° secolo: quel celebre san Fantino, maestro di grandi asceti, che attorno all’anno Mille si addormentò a Tessalonica. Alla sua scuola Nicodemo mosse i primi passi.

Dopo alcuni giorni, vedendo che quello stava per fare progressi, avendolo spogliato di ogni veste mondana, lo rivestì, come con una corazza, del santo e beato abito e, avendogli coperto il capo con il velo del Salvatore, e avendolo fortificato con lo scudo della speranza, lo rivelò forte soldato di Cristo per affrontare i principi e le potenze di colui che ha il dominio di questo mondo… Era il beato perseverante, e restando con quel santo gheron, combatte la guerra con la carne per moltissimi anni, con digiuni, preghiere e veglie, impegnandosi in sommo grado con l’obbedienza e l’umiltà, abbellendosi con l’amore verso tutti e con infinita dolcezza…

E poiché i discendenti di Agar si levarono e devastavano tutta quella terra, il beato credette che fosse ira di Dio e, allontanatosi da quelli che stavano là, s’inoltrò, fuggendo per monti e spelonche, e si fermò in solitudine, essendo giunto in una regione, in luoghi molto elevati, detta Kellerana, boscosa e molto selvosa, per molti impraticabile, abitata piuttosto dai demoni.

Sulle aspre vette del Kellerana, che separano il versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria da quello ionico, il nobile asceta, avendo sopportato combattimenti oltre ogni umana natura, divenne famoso, avendo vinto eserciti di malvagi demoni e, dopo essere stato messo alla prova da costoro in molte cose, li scacciò da sé a guisa di onde come un forte scoglio. Avendo costruito un oratorio sacro all’arcangelo Michele, condottiero degli Incorporei, mente mortale e lingua umana non può dire la vita e l’esistenza, che egli condusse colà per moltissimi anni. Ogni giorno si affaticava non per se stesso, ma per quelli che accorrevano a lui e soddisfaceva il bisogno dei propri discepoli. Dal principio del mattino fino all’ora terza, coperto d’una pelle (secondo le sue abitudini non indossava tunica) impastava tre pani con la farina macinata da lui stesso con le pietre. Egli, però, non solo non gustava assolutamente di questo cibo, ma non mangiò mai neppure altro pane per oltre 50 anni, né bevve vino né assaggiò acqua. Egli aveva il seguente tenore di vita: gettando una certa qualità di castagne in una pentola per i cibi, a sera le gustava, bevendo, al posto dell’acqua, quella brodaglia. In mezzo a questa lunga astinenza, rendeva grazie a Dio, e, se qualche volta riceveva dai pescatori, che venivano da lui, pesci del mare, diceva a se stesso: “Nicodemo, desidera pure di mangiare ciò che io ti ho dato, ma non come vuoi”. Distendendoli, infatti, al sole, li asciugava come un pezzo di legno e li mangiava senza ammollarli.

Vivendo con questa severa educazione del corpo, apparve come un prodigio sopra chi vive nel mondo bassamente… Ogni giorno, fino all’ora terza, recitava la sticologia [del salterio] in luoghi deserti; passata la terza ora, ritornava di nuovo tra i suoi fratelli. Restava alzato tutta la notte, tra infinite prostrazioni, compunzione del cuore, lacrime come fiume dalle cime dei monti, preghiera continua…

Un giorno i suoi discepoli si recarono a dirgli:

“Fastidioso, o padre, é a noi vivere la vita qui, e assolutamente difficile”. Egli rispose: “Avete detto bene, figli; dove volete che io vi trasferisca?” Essi, non avendo compreso che la spirituale obbedienza è del saggio, ritennero che fosse schietto ciò che era stato detto da lui e, fattisi vicini a lui, dissero: “Vi è nelle parti d’Ivukito un tempio sacro alla Theotokos, bellissimo[3]; e la regione è adatta a noi. Se tu lo comandi, ci trasferiremo colà”. Egli non oppose neppure una parola; anzi li incoraggiava, conoscendo ciò che sarebbe successo, poiché era festa del Transito della purissima vergine Madre di Dio. Il celebre uomo sapeva che colà ogni anno si riuniva una moltitudine di popolo e, prima del giorno festivo disse: “Svegliatevi! Andiamo, figli, nel luogo dove proponeste che abitassimo”. Essendosi alzati, seguirono il beato. Quando, però, giunsero e videro la riunione di popolo, come ricordandosi della tranquillità e della beata esistenza di prima, cadendo ai piedi del grande uomo, dissero: “Perdonaci, padre, perché abbiamo soddisfatto un desiderio cattivo per noi stessi e, messici in disaccordo, imprudentemente non abbiamo obbedito alla tua virtù. Ecco, dunque, riportaci là donde noi siamo venuti”.

Vivere arroccati sulle montagne era, all’epoca, anche una garanzia contro le scorrerie dei saraceni. Infatti,

Mammola, eremo di s. Nicodemo di Kellerana, grotta di s. Fantino
 

Avendolo catturato, una volta, i caparbi figli di Agar, lo conducevano con sé insieme con altri prigionieri. Giunti in un luogo adatto per il loro riposo, essendo scesi colà, si sdraiarono. Essendosi egli alzato e avendo teso le mani al cielo, elevò al Signore le abituali preghiere. Ma essi, canzonandolo. lo deridevano, dicendo: “Quale vantaggio ti viene da questa preghiera? Non certo prima di cadere nelle nostre mani, hai pregato di non soffrire ciò. Ormai non avrai nessun giovamento”. Ma il Signore salva benevolmente il servo che l’invoca. Mentre insisteva nella preghiera, la potenza divina spinge quelli l’uno contro l’altro a lite e a rissa mortale; e avendo preso il santo dal mezzo di quelli, come una volta prese incolume Daniele dal mezzo dei leoni, lo salvò. Ma come esaltare quel grandissimo miracolo che il meraviglioso uomo compì proprio verso la fine della sua vita mortale? Nove uomini, dalla città di Bisignano [CS] gli Agareni conducevano schiavi in Sicilia. Ed essendo giunti in un certo luogo chiamato Pilio [?], essendo sbarcati, dormivano. Ma i prigionieri fortemente abbattuti dalla fatica delle catene e dal dolore, si rivolgevano a Dio col pensiero, invocandolo di venire in loro aiuto. Ma egli volendo rivelare compiutamente il suo servo, poiché viveva angelicamente, induce questo nella mente di uno di quelli, il quale dice agli altri: “Conosco un tale, fratelli, un monaco esicasta, un santo padre che è taumaturgo ed ardentissimo soccorritore di quelli che si trovano in necessità. Orsù, preghiamolo insieme fiduciosamente. La sua mediazione ci gioverà di fronte a Dio”. Tutti concordemente invocavano dicendo: “Santo di Dio, vieni a sottrarci da questa necessità. cosi l’aiuto dell’invocato li raggiunge rapidamente”.

Nicodemo morì vecchissimo, pare dopo settanta anni di vita monastica, un 12 marzo[4]; forse, all’inizio dell’anno Mille.

Il “monastero” di san Nicodemo sarà stato, inizialmente, nient’altro che una skiti di capanne, attorno alla chiesa dedicata all’arcangelo Michele: che sia stato fondato in Età normanna, se non è uno dei tanti luoghi comuni di cui è zeppa la storia ufficiale dell’Italia Meridionale, lo si dice forse in riferimento a una sua ristrutturazione cenobitica.

Sul Kellerana, sulle montagne che sovrastano Mammola, si scorgono ancora i ruderi del monastero e, da poco, è stato scoperto l’altare dell’antica chiesa. Gli ultimi monaci “greci” l’avevano seppellito con cura, nascosto sottoterra, per impedire che fosse usato come altare latino nella ricostruzione della chiesa (1588) voluta dal cardinale Antonio Carafa.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Nicodemo.htm


Immagine: http://it.wikipedia.org/wiki/San_Nicodemo_di_Mammola

[1] Seguiamo, per quanto difettosa, l’edizione di V. Saletta, Vita inedita di san Nicodemo di Calabria, Roma 1964. È introvabile, infatti, l’edizione di M. Arco Magrì, Vita di san Nicodemo di Kellerana, Roma 1969, che potrebbe essere più accurata.

[2] Nel fervore religioso della Controriforma cattolica, san Nicodemo fu spacciato per nativo di Cirò e nominato protettore di quell’importante centro vinicolo in provincia di Crotone. Più solido e antico è, invece, il culto riconosciutogli in territorio di Mammola, un comune alle falde dell’Aspromonte ionico, in territorio di Locri.

[3] Durante la Francocrazia in Sicilia e Grande Grecia, il tempio bellissimo della Madre di Dio è stato raso al suolo; la distruzione è stata così feroce che si ignora persino a quale località corrisponda oggi il toponimo Ivukito (Vucita, in territorio di Gallicianò (un villaggio ellenofono del reggino), ci porterebbe a troppi km di distanza dal Kellerana). Non si dimentichi che Daniele, l’autore materiale del Mess. Gr. 30, è copista di rara eleganza grafica ma, in pratica, incapace di scrivere dieci parole senza almeno dieci errori: particolare abilità dimostra nello storpiare proprio i nomi di località che non conosceva o che, forse, erano già state distrutte sin dai primi giorni dell’invasione normanna.

[4] Gli eruditi locali – ed è un particolare comune a molti altri santi di Sicilia e Grande Grecia – registrano altre date (per esempio, in questo caso, un improbabile 25 marzo), forse da riferire a traslazioni di reliquie.

 

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