SAN BIAGIO

Biagio suona «blando», oppure belasius da bela, «abitudine», e syor, «piccolo»: fu infatti blando per la dolcezza della sua parola, ebbe l’abitudine alla virtù, fu piccolo per l’umiltà del suo agire.

 

        Era noto, Biagio, per la sua mansuetudine e santità, e i cristiani lo elessero a vescovo di Sebaste, città della Cappadocia. Era appena stato eletto che dovette rifugiarsi in una grotta per sfuggire alla persecuzione dell’imperatore Diocleziano. Là condusse vita eremitica: gli uccelli gli portavano il cibo e gli animali selvatici andavano da lui in pace, e finché non aveva steso la sua mano per benedirli non si allontanavano. Se qualcuno di loro si ammalava, subito veniva da lui, ed era guarito. Un giorno il governatore di quella regione mandò i suoi soldati a caccia. Quelli, dopo essersi inutilmente affaticati altrove, capitarono per caso alla grotta di Biagio e videro lì di fronte una grande quantità di animali, che non riuscivano però in alcun modo a catturare. Sbigottiti lo riferirono al loro signore, che mandò moltissimi soldati a prendere Biagio e tutti i cristiani.
        In quella stessa notte Cristo apparve tre volte a Biagio e gli disse:
        – Alzati, e offrimi un sacrificio.
        Arrivati i soldati che gli dicevano:
        – Esci, il governatore ti chiama!
        Biagio rispose:
        – Benvenuti, figli; ora so che Dio non mi ha dimenticato.
        Incamminatosi con loro non smise un attimo di predicare e fece di fronte a loro molti miracoli.
        Una donna aveva un figlio moribondo perché una lisca di pesce gli si era conficcata in gola. Lo portò ai piedi di san Biagio e fra le lacrime gli chiese di guarirlo. Egli, imponendo la mano su di lui, pregò che quel giovane e tutti quelli che avessero chiesto qualche cosa in suo nome, ottenessero il dono della salute. E subito il giovane fu guarito.
        A una poveretta non era rimasto che il maiale, ma un lupo glielo portò via con la forza. Supplicò san Biagio di farle riavere il suo maiale, e lui sorridendo le disse:
        – Non essere triste: riavrai il tuo maiale. Subito arrivò il lupo e rese il maiale alla vedova.
        Quando Biagio entrò in città, per ordine del signore fu messo in carcere. Il giorno dopo il governatore se lo fece portare innanzi e appena lo vide lo salutò gentilmente dicendogli:
        – Salve, Biagio, amico degli dei.
        – Salute a te, ottimo signore, – gli rispose Biagio, – ma non chiamarli dei, chiamali demoni, perché sono dati al fuoco eterno come quelli che li adorano.
        Il governatore infuriato lo fece bastonare a lungo e poi ricacciare in carcere. Ma Biagio gli disse:
        – Sei pazzo se credi di poter spegnere in me, con i tuoi supplizi, l’amore per il mio Dio: non sai che lui è dentro di me e mi da forza?
        Udite queste parole, quella vedova cui aveva reso il maiale, uccise l’animale, ne prese la testa e i piedi e li portò a san Biagio con una candela e del pane. Il santo la ringraziò, mangiò di quel cibo e le disse:
        – Offri ogni anno in chiesa una candela a nome mio: te ne verrà del bene. La donna non se ne scordò mai ed ebbe grande prosperità.
        Biagio fu poi condotto fuori del carcere, ma non riuscendo il governatore a piegarlo ad adorare gli dei, lo fece appendere a un legno e gli fece squarciare la carne con dei pettini di ferro; poi di nuovo lo rinchiuse in carcere. Sette donne che lo seguivano raccolsero le gocce di sangue e subito furono prese e costrette a sacrificare agli dei. Ma dissero:
        – Se vuoi che adoriamo i tuoi dei, falli portare con tutti gli onori allo stagno: puliti li potremo adorare nella loro purezza.
        Il governatore se ne rallegrò e ordinò che si facesse subito come avevano detto. Ma quelle donne presero gli dei e li gettarono mezzo allo stagno dicendo:
        – Lo vedremo, se sono dei!
        Sentite queste parole il governatore diventò pazzo di rabbia e disse ai suoi ministri: – Perché non avete tenuti stretti i nostri dei e li avete lasciati cadere in fondo al lago?
        – Le donne ti hanno ingannato con le loro parole, – risposero quelli –, e hanno gettato gli dei nello stagno.
        Ma quelle intervennero:
        – Il vero Dio non può essere ingannato: se fossero stati dei avrebbero saputo prima quello che volevamo far loro.
        Furibondo il governatore fece preparare da una parte del piombo fuso, dei pettini di ferro e sette corazze incandescenti, e dall’altra parte sette camicie di lino. Quando fu detto alle donne di scegliere ciò che preferivano, una di loro che aveva due bambini si fece avanti con coraggio, prese le camicie di lino e le gettò nel fuoco:
        – Madre dolcissima, – le dicevano i bambini –, non lasciarci; tu che ci hai riempito della dolcezza del latte, riempici ora della dolcezza del regno celeste.
        Allora il governatore le fece appendere tutte a dei pali e fece loro squarciare il corpo con pettini di ferro: la loro carne era bianca come neve e al posto del sangue scorreva latte. Quando cominciarono a tollerare con maggior pena i supplizi, venne a loro un angelo del Signore e le confortò energicamente dicendo:
        – Non temete: il buon operaio che incomincia bene e finisce bene merita la benedizione del sorvegliante per aver fatto tutto il lavoro, è ricompensato per il lavoro e gioisce per la ricompensa. Il governatore ordinò poi che fossero staccate dai legni e gettate nella fornace; ma il fuoco miracolosamente si spense e le donne uscirono illese.
        – Smettetela con le vostre magie e adorate i nostri dei! – disse il governatore.
        E quelle:
        – Fa’ fino in fondo ciò che hai iniziato, perché noi siamo già state chiamate al regno celeste.
        Il governatore dette la sentenza e dispose che fossero decapitate. Mentre aspettavano che la sentenza fosse eseguita, in ginocchio pregavano:
        – Dio che ci hai separato dalle tenebre e ci hai portato in questa luce dolcissima, accogli le nostre anime e facci raggiungere la vita eterna.
        Così fu loro mozzato il capo e migrarono al Signore.
        Il governatore poi si fece portare Biagio e gli disse:
        – È l’ultima occasione che ti do per adorare i nostri dei.
        – Non ho paura delle tue minacce, empio, – gli rispose Biagio. – Fa’ quello che vuoi: ti offro tutto il mio corpo.
        Allora il governatore lo fece buttare nello stagno: ma Biagio segnò l’acqua, e subito divenne solida come terra. Poi disse:
        – Se i vostri dei sono veri, dimostrate il loro potere, e venite qua.
        Entrarono sessantacinque uomini e furono subito sommersi. Scese poi un angelo del Signore che gli disse:
        – Esci fuori, Biagio, e ricevi la corona che Dio ti ha preparato.
        Biagio uscì e il governatore gli disse:
        – Sei ancora deciso a non adorare gli dei?
        – Sappi, misero, che io sono servo di Cristo e non adoro i demoni.
        Allora il governatore lo fece decapitare. Biagio intanto pregava il Signore che chiunque, malato alla gola o con qualsiasi altra malattia, invocasse il suo aiuto, fosse esaudito e potesse subito guarire. Ed ecco che dal cielo una voce disse che sarebbe stato come chiedeva. Fu così decapitato con due giovinetti.
        Era circa l’anno 283.

Dalla Legenda aurea di Iacopo da Varrazze, cap. XXXVIII;
(edd) A. e L. VITALE BOVARONE, vol I, 2006.

 

Immagine: http://www.oca.org/

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