INGRESSO AL TEMPIO DELLA SANTISSIMA MADRE DI DIO
Η εν τω ναώ είσοδος της Υπεραγίας Θεοτόκου – Vvedenie v Chram Presvjatoj Bogorodicy
21 novembre (4 dicembre v. c.)
In Te si rallegra, o piena di grazia, tutto il creato: e gli angelici cori e l’umana progenie, o Tempio e razionale Paradiso, vanto delle vergini. Da Te ha preso carne Dio ed è divenuto bambino Colui che fin dall’eternità è il Dio nostro. Del tuo seno infatti Egli fece il suo trono, rendendolo più vasto dei cieli. In Te, o piena di grazia, si rallegra tutto il creato. Gloria a Te[1].
S. Giovanni Damasceno
I testi liturgici ci introducono al mistero di questa festa come giorno gioioso per il cielo, giorno proemio della benevolenza di Dio e annuncio della salvezza degli uomini, il giorno in cui la Vergine, Tempio purissimo del Salvatore, è condotta nella Casa del Signore, lì si presenta agli occhi di tutti dove preannuncia il Cristo, e viene salutata in terra quale compimento dell’Economia del Creatore, in cielo quale Tabernacolo celeste.
Il riferimento principale dei testi liturgici odierni è il Protoevangelo di Giacomo, testo del II secolo appartenente alla Santa Tradizione della Chiesa, che ci ha consegnato antiche memorie extraevangeliche e riflessioni teologiche locali della Chiesa Gerosolimitana sulla Madre del Salvatore. Da esso apprendiamo la storia di Gioacchino ed Anna, sposi devoti al Signore ma emarginati e colpevolizzati a causa della sterilità che li aveva colpiti; il loro lamento, la supplica al Signore e la promessa di consacrargli il bambino che fosse nato. Un angelo annuncia quindi ad Anna che il Signore ha ascoltata ed esaudita la sua preghiera. Al compimento da parte di Dio seguirà l’adempimento della promessa di Anna.
Quando giunse all’età di due anni, Gioacchino disse ad Anna: “Portiamola al tempio del Signore per compiere la promessa che abbiamo fatta, perché l’Onnipotente non mandi a chiedercela ed il nostro dono divenga così sgradito”. Ma Anna rispose: “Aspettiamo fino al terzo anno; così la bimba non cercherà più il padre o la madre”. Gioacchino rispose: “Aspettiamo!”. Quando la bimba ebbe tre anni, Gioacchino disse: “Chiamate le figlie senza macchia degli ebrei; prendano ognuno una lampada, la quale deve rimanere accesa, perché la bambina non si volti indietro e il suo cuore non rimanga prigioniero fuori del tempio del Signore”. E fecero così, finché furono salite al tempio del Signore. Il sacerdote la ricevette e, baciandola, la benedisse, dicendo: “Il Signore ha reso grande il tuo nome in tutte le generazioni. Per mezzo tuo, alla fine dei giorni il Signore manifesterà la sua redenzione ai figli d’Israele”. Quindi la pose sul terzo gradino dell’altare. Il Signore Iddio mandò su lei la sua grazia; ella allora cominciò a danzare sui suoi piedi e tutta la casa d’Israele le diede il suo amore. Ed i suoi genitori tornarono a casa, meravigliati e lodando il Signore Dio perché la bimba non s’era voltata. Ora Maria dimorava nel tempio del Signore, considerata come colomba. Il cibo lo riceveva dalla mano di un angelo.
Anche l’iconografia riprende questo testo della Tradizione: Gioacchino ed Anna, preceduti da un corteo di vergini, nell’atto di presentare la piccola Maria al sacerdote, perché l’accolga nel Tempio, ove rimarrà fino all’adolescenza. Maria ha la statura di una bambina e i tratti di un’adulta, è rappresentata in piedi sui gradini del Tempio mentre apre le mani al sacerdote in segno di offerta di sé. La tenda rossa stesa dai tetti degli edifici alla colonna del baldacchino rappresenta il lembo del manto del Signore della visione di Isaia[2], e indica che la scena avviene all’interno del Tempio. Nell’icona viene anche rappresentato il corteo di vergini recanti ceri accesi che accompagna Maria e, in una stanza alta del santuario, nel cuore del Tempio, la Vergine che riceve dall’angelo il nutrimento divino, il pane della contemplazione.
“Il tempio è il cielo terrestre, nei suoi spazi celesti Dio abita e passeggia”, scrive il santo patriarca Germano, esso è luogo e dimora di Dio: “Casa di Dio e Porta dei cieli”[3]. I santuari dell’Antico Testamento venivano edificati secondo le indicazioni di Dio stesso: l’arca dell’Alleanza[4], il tempio mosaico[5] e quello di Salomone sono costruiti secondo un “modello ispirato dallo Spirito”[6] che Dio aveva “preparato fin dall’origine”[7].
Nel mistero dell’Incarnazione del Logos, in cui si inserisce questo “proemio” della Storia della Salvezza, la Vergine e il Tempio si identificano: Ella è il nuovo Tempio che Dio si è scelto, il suo grembo il Sancta Sanctorum – Τα Άγια των Αγίων; in lei il tempio veterotestamentario esaurisce la sua funzione e si inaugura il Tempio vivente del Nuovo Testamento, quello in cui i credenti, a immagine della Madre di Dio, sono chiamati a incarnare spiritualmente Cristo in loro, così come lei lo generò nella carne[8]. “Nell’inneggiare al tuo parto, o Madre di Dio, noi Ti celebriamo tutti quale Tempio vivente, avendo fatto dimora nel tuo seno il Signore che in sua mano tutto contiene. Egli ti santificò, Ti glorificò, insegnò a tutti ad esclamarti: Rallegrati, Tenda di Dio e del Logos; Rallegrati, o Santa più grande dei Santi”[9].
Bene si colloca, quindi, all’inizio della Quaresima del Natale del Signore, questa celebrazione dove gli Angeli e gli uomini celebrano già “oggi” nella Vergine “il preludio dei prodigi di Cristo”, il proemio del mistero che inizia il suo divenire per condiscendenza divina, fino al suo compiersi nel grembo verginale della “Sede del Dio immenso e Porta d’augusto mistero…della Dimora incantevole di Colui che è sui Serafini…della Tenda spaziosa del Logos e Abitacolo della divina Sapienza…della Madre di Dio che ha generato il Logos, il più Santo di tutti i Santi”[10]. Maria vive all’interno del santuario come Gesù vivrà all’interno del suo corpo, dove la divinità di Cristo si nasconderà interamente nell’umanità, secondo la logica dell’incarnazione. Infatti il dimorare di Maria nel Tempio fino ai suoi dodici anni, non è altro che il suo prepararsi a divenire Madre di Dio. “Maria, che è questo fatto che io vedo in te?... Ti avevo ricevuta irreprensibile da parte dei sacerdoti, dal tempio del Signore, ed ora che è ciò che vedo?”[11], domanda Giuseppe alla Vergine, tormentato dal dubbio alla vigilia del parto. E anche noi, pur essendo stati “testimoni” dell’ingresso al Tempio, già prossimi al Natale del Signore, osiamo chiedere: Di’ a noi, Giuseppe, come conduci incinta a Betlemme la Vergine che hai presa dal santo dei santi? Giuseppe, confermandoci nella giustizia, “ci risponde: Io ho esaminato i profeti, e, ricevuto il responso da un angelo, sono persuaso che, in modo inesplicabile, Maria genererà Dio…”[12].
La data della celebrazione della festa corrisponde al giorno della dedicazione della basilica di “Santa Maria Nuova” a Gerusalemme, fatta costruire dal vescovo Elia e finanziata dall’imperatore Giustiniano: 21 novembre 543. Sembra che la costruzione fosse ubicata sul luogo dove sorgeva l’antico tempio di re Salomone, per cui in seguito la dedicazione della Chiesa giustinianea fu collegata alla memoria dell’Ingresso che la Madre di Dio fece nell’antico tempio per esservi consacrata al Signore, dando così origine all’odierna festa. La ricorrenza si diffuse poi a Costantinopoli tra VII e VIII secolo. Verso il X o XI sec., fu introdotta anche in Occidente, dove però ebbe minore importanza. È preceduta da un giorno di pre-festa il 20, la post-festa dura fino al 25 novembre incluso.
E. M. Palermo 2005
Bibliografia
G. E. Anastassìu, La Presentazione della Vergine, in Simposio Cristiano, edizione dell’Istituto di Studi Teologici Ortodossi San Gregorio Palamas, Milano 1987, pp. 59-66.
P. N. Evdokimov, Teologia della Bellezza, Cinisello Balsamo 1990.
A. Tradigo, Icone e Santi d’Oriente, Milano 2004.
E. Weidenger – E. Jucci (a cura di), Gli Apocrifi, Casale Monferrato 1993.
[1] Grande Megalinario della Divina Liturgia di San Basilio.
[2] Isaia 6, 1.
[3] Genesi 28, 17.
[4] Esodo 25, 8-9.
[5] Esodo 25, 8-9.
[6] 1 Cronache 28, 12.19.
[7] 1 Cronache 28, 12.19.
[8] Cfr. Origene.
[9] Inno Akatistos alla Madre di Dio.
[10] Ib.
[11] Dagli Idiomela del poema di Sofronio del 24 dicembre, ora Prima.
[12] Dagli Idiomela del poema di Sofronio del 24 dicembre, ora Terza.