I FONDAMENTI DELLA TEOLOGIA ORTODOSSA:

L’ESSENZA E LE ENERGIE DIVINE

 

Lo stile patristico nell’esporre l’argomento

Oggi non è facile rinvenire delle opere teologiche veramente chiare perché in tale campo regna una certa confusione. Il ricercatore coscienzioso deve fare un lavoro ingrato e pesante, muoversi tra una grande quantità di articoli e di libri, la maggior parte dei quali gli è più d’ostacolo che d’aiuto. Ciò significa che è raro trovare qualcosa d’illuminante.

In mezzo a questa situazione caotica il cristiano confuso può chiedersi: su quali riferimenti si appoggia il pensiero teologico occidentale? Che tipo di pensiero su Dio ha maturato l’Occidente cristiano?

L’opinione che il pensiero agostiniano trinitario sia alla radice della prevalente impostazione teologica che s’è affermata in Occidente dal IX secolo in poi, si è diffusamente imposta e ha un fondamento scientifico. Non gode di altrettanta diffusione l’opinione che esiste una vera e propria incomprensione in Agostino tra ciò che Dio è e ciò che Egli fa. La mancanza d’una conoscenza diffusa su questo punto, continua a rendere oscura l’origine della problematica comprensione del rapporto tra Dio e il mondo (teonomia o autonomia?) e non può spiegare il motivo per cui l’Occidente non ha sviluppato una profonda riflessione pneumatologica. Nella maggioranza delle loro opere, i Padri non confondono mai la maniera con la quale il Padre incausato esiste e con la quale il Figlio e lo Spirito Santo ricevono la loro esistenza dal Padre, con l’essenza e l’energia che il Padre comunica al Figlio e allo Spirito Santo. Questa distinzione è già chiara nello scritto Contro Eunomio di Basilio Magno. È frutto di questa chiarezza l’aver attribuito a Dio un’essenza inconoscibile e delle energie partecipabili. Così non si possono introdurre equivoci non solo nel piano della riflessione intratrinitaria ma anche su quello del rapporto tra Dio e il creato. Quindi se la Trinità si relaziona con il cosmo e l’uomo sulla base dell’invio delle energie divine, è difficile confondere l’aspetto divino trascendente con quello immanente.

Una delle manifestazioni dell’energia divina è la luce increata sfolgorata nel monte Thabor al momento della trasfigurazione di Cristo. Tale luce viene partecipata ai credenti divinizzati. A tal proposito San Gregorio Nazianzeno afferma:

Nei secoli, vuoti di tutto, il Sommo Regnatore si muoveva contemplando lo splendore, a lui caro, della sua bellezza, cioè il congiunto, uguale lampeggiare della triplice luce divina, nel modo che è noto solo a Dio e a quelli che possiedono Dio[1].

Tale posizione non è isolata ed è spesso rinvenibile in Oriente. In Occidente testimonianze di questo genere sono più rare ma non meno certe (Gregorio Magno e Cassiano).

In quest’ambito, dunque, Dio viene descritto come Essenza inconoscibile e come energie partecipabili e conoscibili. In tal maniera la verità biblica della contemporanea trascendenza e immanenza divina rimane inalterata e viene spiegata coerentemente. Ciò non comporta che venga svelato il contenuto inaccessibile della sostanza di Dio trattandolo alla stregua di un elemento naturale del quale descrivere la composizione chimica. I Padri, rifiutando di operare in questa maniera, non rifiutano di utilizzare la ragione ma lo fanno solo nell’ambito nel quale essa si può muovere. Dalle loro esposizioni emerge un’intrinseca ragionevolezza; i Padri non procedono introducendo assiomi apodittici che spiazzano il lettore o slogans privi di spiegazioni che paralizzano la mente.

 

La tradizionale posizione teologica occidentale davanti all’argomento: stile e problematiche discendenti

Purtroppo questo stile, che sviluppa un pensiero coerente partendo da presupposti biblici e aderisce alle possibilità della ragione senza sopravalutarne o ipovalutarne le potenzialità, non viene spesso seguito. Prendendo in mano un saggio pubblicato in una collana teologica di un certo rilievo[2] spicca subito un altro modo di procedere e di argomentare.

Il saggio in esame, nonostante la poca chiarezza delle citazioni e l’esiguo apparato critico, affronta il pontificato di Eugenio IV e, tra l’altro, l’unione con la “chiesa greca” al concilio di Ferrara-Firenze. L’autore deve necessariamente parlare di san Gregorio Palamas la cui impostazione, erede delle posizioni patristiche suaccennate, veniva fedelmente mantenuta da San Marco Eugenico al tempo dell’assise fiorentina. Per Gregorio Palamas, Dio è essenza ed energie. L’autore incontra questa distinzione ma finisce per liquidarla senza fornire alcuna spiegazione con la seguente frase: “Una distinzione della natura dall’azione di Dio era ed è inaccettabile”[3]. Questa frase apodittica è supportata da una nota i cui riferimenti non sono ben chiari. La citazione rimanda ad un contributo di Hans-Georg Beck, il quale non pare per nulla obiettivo oltre ad introdurre affermazioni caustiche e contraddittorie. Il contributo in questione è inserito nella Storia della Chiesa di Hubert Jedin (editrice Jaca Book, Milano 1975). In tale scritto non viene per nulla spiegato perché la distinzione patristica tra natura ed azione di Dio “era ed è inaccettabile”. L’unica spiegazione a questo modo di procedere può essere dedotta pensando che tali autori conoscano che alcune parziali ed inesatte affermazioni trinitarie agostiniane sull’argomento sono state assunte nella teologia di Tommaso d’Acquino, teologia canonizzata da Leone XIII agli inizi del ‘900. L’autorevolezza della teologia tomista vincola in coscienza tali autori impedendo loro di comprendere la più autorevole prospettiva patristica in merito.

L’adesione coscienziosa dell’autore cattolico al magistero papale si può comprendere. Si comprende certamente molto meno la mancanza di argomenti a supporto delle proprie argomentazioni.

Perciò questi fatti impongono alcune domande:

    –    Con queste posizioni e questa maniera di argomentare che genere di “dialogo” può fare il Cattolicesimo romano con la cristianità ortodossa, erede diretta delle posizioni cristiane patristiche?
   
–    La mancanza di riferimenti concreti non suggerisce, tra le altre cose, una vera incapacità ad affrontare questi argomenti, difficoltà con la quale, alla fine, questi autori devono trincerarsi in un tautologico “è così perché è così”?
   
–    Ciò non mostrerebbe ulteriormente una rottura con l’antica tradizione cristiana nello stile e nei contenuti?

È probabile che a questo genere di domande non verrà mai data una risposta.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Fondamenti.htm

 

[1] GREGORIO NAZIANZENO, I cinque discorsi teologici, Città Nuova, Roma 1986, p. 247.

[2] P. SARTORELLI, Eugenio IV nel vortice di eventi drammatici, Pontificia Accademia Teologica Romana, Libreria Editrice Vaticana, 1990, Città del Vaticano.

[3] Ibidem, p. 112.

 

 

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