Fozio Nikitopoulos

 

Pietro e la Pietra della fede

Un riferimento interpretativo negli atti del Niceno II su Mt 16,18*

 

Nella sua relazione sul “Ruolo di Pietro e sua importanza nella Chiesa del Nuovo Testamento: attuale problematica esegetica”[1], il Prof. Giovanni Karavidopoulos ha parlato dell’interpretazione contestata delle parole di Gesù a Matteo 16,18: “super hanc petram aedificabo ecclesiam meam”, mentre alla persona dell’Apostolo Pietro, attribuendo loro un peso di particolare valore a sostegno del primato jure divino del Vescovo di Roma in quanto successore di Pietro[2].

A questo punto mi si permetta come è noto, aggiungere una testimonianza rilevata dagli Atti del Concilio Ecumenico Niceno II, la quale rafforza la posizione degli ortodossi, che propongono, (nell’ambito della sincera ricerca della verità che tutti dobbiamo perseguire e al servizio della quale mira anche questo Colloquio), una diversa esegesi su tale passo[3].

Nella IV sessione di questo Concilio, tra gli argomenti presentati per sostenere l’ipotesi delle sacre iconi, fu letta anche una lettera del patriarca Germano I di Costantinopoli[4] diretta al Vescovo di Claudiopoli Tommaso[5].

Tutti i presenti udirono allora il riferimento del Patriarca al passo giovanneo, che esalta la fede come la vittoria che vince il mondo (1 Gv 5,4) ed intesero l’interpretazione secondo cui questa fede è la pietra nella quale Gesù edificò la sua Chiesa, che le forze degli inferi non possono abbattere.

Il testo suona così, nella sua versione latina: “Dicant igitur nobiscum beatissimus evangelista Joannes: Haec est victoria quae vicit mundum, fides nostra: addatur autem a nobis et dicatur: Haec est petra, supra quam Christus aedificavit suam ecclesiam, portis inferi, id est aggressionibus contrariarum virtutum inconcussam et inevertibilem”[6].

Certo il patriarca non si occupa direttamente del detto di Gesù a Pietro secondo Mt 16,18; importante però, ai fini del nostro dibattito, è il fatto che egli riprende quelle stesse parole di Gesù, riferendole appunto alla fede. Con tale connessione, considerata in base al principio esegetico “Scriptura per Scripturam” S. Germano offre una chiave valida e autorevole per l’interpretazione del passo matteano che ci interessa. Questa chiave assume la sua validità e autorevolezza in ragione appunto del contesto conciliare nel quale detta interpretazione fu enunciata e recepita.

In realtà nei Concili Ecumenici viene espressa ufficialmente la coscienza ecclesiale. La lettera del Patriarca Germano, presentata e accolta con plauso da un tale Concilio, come il Niceno II, manifesta senz’altro la coscienza ecclesiale dell’Oriente a tale proposito. Solo dell’Oriente o di tutta la Chiesa? Perché a Nicea, oltre ai Padri Orientali, erano presenti anche i Legati Pontifici, che non manifestarono alcuna obiezione o riserbo su quanto avevano ascoltato. Anzi la loro voce è da considerarsi in pieno accordo con quella degli altri Padri Conciliari, dal momento che proprio tutti coloro, designati negli Atti con termine collettivo di “Agia Synodos”, avevano espresso il loro unanime consenso riguardo al testo letto, affermando: ““ivinitus sonantium Patrum doctrinae nos correxerunt. Ex ipsis haurientes veritatem potati sumus. Eos sequentes, mendacium persecuti sumus”[7]. Inoltre la firma dei Legati Pontifici appare sotto gli Atti e le definizioni del Concilio, accettato in seguito dal Papa Adriano I[8].

È vero che la lettera in questione come tutto il Concilio, trattava il problema delle sacre iconi e non quello esegetico su Mt 16,18; per cui l’autorità delle firme e dell’accettazione va riferita proprio a quel punto fondamentale. Altrettanto vero è, però, che i verbali di un Concilio Ecumenico hanno sempre un particolare valore ai fini della comprensione dell’insegnamento che il Concilio stesso ha voluto confermare e del magistero della Chiesa, in genere. Di certo un errore udito in assemblea conciliare, non potrebbe passare tacitamente in essa. Ecco perché l’affermazione del Patriarca Germano, duita là sia pure per accidens, cioè con valore del tutto marginale rispetto al problema centrale che si agitava, dobbiamo ugualmente tenerla in considerazione: fu presentata in contesto conciliare, fu accettata da tutti e comunque non contestata da nessuno, neppure dai Legati Pontifici e dallo stesso Papa Adriano, divenuto come è noto – il grande sostenitore e difensore del Niceno II in Occidente[9]. Questi fatti ci inducono ad accogliere l’esegesi presentata in quella lettera, secondo la quale la pietra su cui Gesù volle edificare la sua Chiesa (stando a Mt 16,18) va intesa come la fede in Gesù Cristo il Figlio di Dio vivente confessata da Pietro (v. 16)[10].

Pubblicati originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Petra.htm

 

* Intervento nel corso del IX Colloquio Cattolico-Ortodosso (Bari 27-29 Maggio 1990) sul tema: “Il Primato del Vescovo di Roma: una problematica ecumenica”. Gli Atti del colloquio sono stati pubblicati nella Rivista di Theologia Ecumenico-Patristica Nicolaus (Bari) XIX (1992) 3 – 169; vi manca però il testo di questo intervento, pubblicato in seguito nel N° XX (1993) 163-165 della stessa Rivista. Lo riportiamo qui, con l’aggiunta di qualche dato bibliografico nelle note originali.

[1] Vedi negli Atti sopramenzionati, Jean Karavidopoulos, “Le rôle de Pierre et son importance dans l’Eglise du Nouveau Testament: problématique exégétique contemporaine”, in Nicolaus XIX (1992) 13-29.

[2] Vedi in proposito l’insegnamento del Concilio Vaticano I nella Costituzione Dogmatica “De Ecclesia Christi”, Pastor Aeternus 18 VII, 1870, in H. Denzinger – A. Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum ect., 34 ed. Herder, 1967, 3953 ss.

[3] Vedi, per es., Cr. Androutsos, Simbolica dal punto di vista Ortodosso (in greco), Salonicco3 [1963], p. 91, e P. N. Trempelas, Dogmatica della Chiesa Cattolica Ortodossa (in greco), t. 2, Atene2 1979, pp. 394-395.

[4] Eletto nel 715, dimesso nel 730 (a causa della politica iconoclasta dell’imperatore Leone III Isaurico), morto nel 740 e onorato come Santo (Confessore) in Oriente e in Occidente. Vedi J.-P. Migne, PG 98, 9-10.

[5] Vedi testo in J. D. Mansi – D. Passioneo, Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio, t. XIII, Parigi 1902, Ristampa Anastatica, Akademishe Druk-und Verlagsanstalt, Graz-Austria 1960, col. 107-127; PG 98, 163-187.

[6] Mansi, o.c., col. 111B; PG 98, 170 AB.

[7] Mansi o.c., col. 127 C; PG 98, 187 D. L’affermazione unanime dei Padri Conciliari venne dopo l’esclamazione del patriarca Costantinopolitano Tarasio, il quale, terminata la lettura della lettera del suo predecessore, disse: “Clamaverunt custodes ecclesiae catholicae, sancti videlicet patres nostri, qui semper supra intelligibile ejus vigilantes arientes, omne proelium et inane verbum repulerunt; et hanc indiscerptam servantes, universam phalangem adversantim persecuti sunt...”, Mansi, ob., col. 127 B; PG ib., 187 BC.

[8] La sua posizione attenta, per quanto riguarda la dichiarazione formale circa l’accettazione del concilio, si comprende bene nel contesto della politica ecclesiastica della Sede Romana di quel tempo, tanto nei confronti di Costantinopoli (pressione per la restituzione delle diocesi e dei possedimenti ecclesiastici dell’Italia Meridionale, della Sicilia e dell’Illirico Orientale, sottratti a Roma dall’Imperatore Leone III), quanto nei confronti dello Stato Franco (evitare la crisi nelle sue relazioni con Carlomagno, la cui posizione negativa nei confronti del Niceno II veniva respinta dal papa Adriano stesso) verso il quale aveva avvolto le sue preferenze per guadagnare appoggi. Cfr. anche, Salv. Manna, “Il ruolo della Sede Romana nella promozione del Niceno II, Papa Adriano I”, in Atti del III Convegno Storico Interecclesiale (Bari 11-13 Maggio 1987), Levante Ed., Bari 1988, pp. 232-234.

[9] Cfr. Salv. Manna, l.c., p. 224 s.

[10] Da notare che negli stessi termini si era espresso, prima di S. Germano, anche S. Giovanni Crisostomo: “Et ego dico tibi, tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, id est, super fidem confessionis” (In Mathaeum Hom. LIV, 2, PG 58, 534); “Petro namque nihil ultra adjecit Christus, sed quasi fides ejus perfecta esset, ecclesiam dicit se super confessionem ejus aedificaturum esse” (In Joannem Hom. XXI, 1, PG 59, 128); e altrove; “Itaque cum Petro dixisset Beatus est, Simon Bar Jona (Math. 16, 17), promisissetque futurum, ut Ecclesiae fundamenta super illius confessionem jaceret, ...” (In Epistolam ad Galatas Comm., 1, PG 61, 111). V. Pure Con. Mouratidis, L’essenza e il regime della Chiesa secondo l’insegnamento di Giovanni Crisostomo (in greco), Atene 1958, p. 227; idem, Ammetteva San Giovanni Crisostomo il Primato Papale? (ristampa dal bollettino Ecclesia, in greco), Atene 1959, p. 8. Per le diverse interpretazioni che sono registrate nella letteratura della Chiesa indivisa, sul concetto della parola di Gesù a Pietro (la “pietra” intesa come Gesù stesso oppure la fede a Gesù ossia ogni discepolo, gli Apostoli oppure Pietro o la Cattedra di Pietro o la fede di Pietro, v. J. M. Tillard, “La présence de Pierre dans le ministère de l’évêque de Rome” in Nicolaus. XIX (1992) 56, dove le rispettive citazioni alle fonti e alla sua opera: La présence de Pierre dans le ministère de l’évêque de Rome, Parigi 1982, pp. 134-154. A tale proposito osserva lo stesso autore: “Dire comme on le fait depuis Tertullien, à la lumière de Matthieu (16, 17-19), que l’Eglise est fondée sur Pierre c’est, quoi qu’il en soit de la façon dont on interprète ce fondament – la foi de Pierre ou la personne même de Pierre – dire que l’Eglise est bâtie sur le témoignage apostolique. Car, même dans la scène de Césarée telle que Matthieu la rapporte, Pierre n’est pas détaché des autres “disciples”. Il ne s’ajout pas à eux. Encore moins prend-il leur place. Il parle dans leur groupe et dit la réponse du groupe. Pierre fait émerger, en sa propre confession, la foi du groupe. Ceci explique pourquoi dans la grande Tradition, en Orient comme en Occident, on oscille – et parfois dans les écrits du même auteur, entre une interprétation personelle de la parole de Jésus à Pierre (elle vise sa personne) et une interpretation collective (elle vise la communauté apostolique)” (“La Présence de Pierre...”, l.c. pp. 55-56. Cfr. anche Cr. Androutsos, p.c., p. 91-92, P. N. Trempelas l.c. (nota 3)).

 

 

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