Giovanni S. Romanidis
TEOLOGIA EMPIRICA
E TEOLOGIA SPECULATIVA(tratto da: Franchi, Romani, feudalesimo e dottrina)
Indice
Presentazione
Questo studio tratto da una pubblicazione, si concentra sugli aspetti spirituali della prassi cristiana. Nell’Ortodossia il rapporto del credente con Dio è “empirico”, ossia esperienziale. Per questo tutto ciò che non ha a che fare con l’esperienza e non conduce ad essa non è nemmeno considerato. Contrariamente a ciò la teologia occidentale, subendo l’influsso franco-germanico, è giunta ad interpretare il cristianesimo attraverso categorie metafisiche (per determinare la sostanza di Dio) e regole morali (per poter “meritare” Dio). Così mentre in Oriente viene posto attenzione all’aspetto mistico del cristianesimo parlando in termini apofatici (non si può affermare niente di Dio perché ogni concetto è inadeguato ad esprimerLo), in Occidente il cristiano si concentra particolarmente nelle realtà esteriori finendo, soprattutto oggi, ad assumere un livello spirituale insoddisfacente. Anche in questo esiste un’evidente distanza tra l’Occidente e l’Oriente cristiano, distanza che si potrà superare solo ritornando ai valori ecclesiastico-spirituali del primo millennio.
Il protopresbitero Giovanni Romanidis è nato nel 1927 a Pireo (Grecia). Nello stesso anno la sua famiglia si è trasferita negli USA. Qui egli è cresciuto compiendo i suoi studi teologici presso la scuola della Preziosa Croce, l’Università di Yale e quella di Harvard. Parigi ed Atene sono state altre due tappe fondamentali per la sua formazione teologica. Romanidis ha insegnato teologia nella facoltà teologica statunitense della Preziosa Croce e in quella di Salonicco. Attualmente è docente all’Università di Balamand (Libano). La semplice enumerazione degli interessi di padre Giovanni Romanides lo rende a pieno merito appartenente ai grandi esponenti della teologia ortodossa contemporanea.
Il curatore e traduttore
Introduzione
Nella prima parte abbiamo presentato un evidente riassunto per attestare che il feudalesimo in Europa occidentale non è provenuto da razze e costumi romano-germanici, come viene comunemente ritenuto, ma piuttosto dalla sottomissione dei romani d’Occidente ai loro conquistatori. In seguito a ciò i franchi concentrarono la loro attenzione per riuscire a schiavizzare ecclesiasticamente e dottrinalmente la Romània papale generando, in tal maniera, la scissione tra la Romània papale e l’Oriente. Questo sforzo è costantemente fallito fintanto che la nazione romana è rimasta sotto il controllo della sede papale [con un papa romano].
Gli storiografi europei e americani affrontano tale separazione come fosse stata inevitabile. Essa proverrebbe dalla dichiarata separazione dell’Impero romano tra Oriente ed Occidente, dalle evidenti differenze linguistiche e culturali nonché dalla differenza tra l’Occidente più attento alla legge e l’Oriente più propenso alla speculazione[1]. Tali osservazioni suggeriscono intensamente che questo tentativo di spiegare la separazione tra i due mondi è condizionato dai pregiudizi ereditati dalla tradizione culturale franca e dalla vecchia propaganda plurisecolare del papato franco.
L’area comune dell’unità nazionale, culturale e linguistica tra i romani orientali e quelli occidentali (che, all’epoca, rappresentava un grosso problema per la Franchìa), è evidente. Tale unità è sopravvissuta fino al momento in cui i papi romani furono sostituiti da quelli franchi. Che i papi romani pretusculani non avessero mai accettato la condanna dei romano-orientali – condanna franca per dichiarata eresia – ma, al contrario, partecipassero alla condanna dei franchi, pure senza nominarli, sono fatti da considerare seriamente.
I principi delle decretali nella procedura giuridica furono parte dell’amministrazione ecclesiastica del papato per almeno cent’anni di fronte ai franchi orientali sopraffatti. Comunque è certo che i papi romani non avrebbero mai pensato d’applicare questi principi all’amministrazione in maniera che i sinodi locali venissero sostituiti dal diretto principio monarchico papale, come accadde più tardi. I franchi resistettero al controllo giuridico dei papi romani. Non avrebbero mai accettato una legge imposta dal papa romano proprio come i romani orientali non accetteranno la legge imposta da un papa franco.
I franchi non ebbero facile presa sopra il papato. È molto probabile che il sinodo locale della Chiesa di Roma (sotto la presidenza papale), abbia sancito nel 769 un decreto che sarebbe sopravvissuto per venire in seguito approvato nell’ottavo sinodo ecumenico dell’879. Per tale decreto non ci sarebbero state differenze significative tra il papato e gli altri quattro patriarcati romani.
Comunque i fatti non cambiarono la loro rotta. Il papato è stato separato dall’Oriente per colpa dei franchi ed ora siamo davanti alla storia di quella separazione quando vogliamo considerare la riunificazione dei cristiani divisi. In qualche caso la struttura amministrativa della Chiesa non può essere giudicata e valutata semplicemente per se stessa o in rapporto con la consuetudine e la legge canonica antica, come solitamente viene fatto da parte ortodossa. Non ci si può nemmeno semplicemente richiamare ad un dichiarato bisogno di adattamento della Chiesa davanti alle mutate circostanze e ai nuovi tempi, bisogno volto ad apportare migliori acquisizioni per una maggiore efficienza.
Molti protestanti odierni accettano tale approccio ma non sono d’accordo che l’adattamento possa essere elevato a dogma, com’è stato fatto dallo stesso papato. I teologi ortodossi, latini e protestanti sono d’accordo che il cristianesimo autentico debba essere in continuità con il suo passato apostolico e che, allo stesso tempo, si debba adattare alle situazioni e alle necessità correnti. Si capisce allora come l’azione reciproca tra teologia e società sia accettata come una normale necessità nella storia del Cristianesimo. Ciononostante i cristiani restano divisi perché ciascun gruppo vede l’adattamento dell’altro come una seria frattura della continuità e, perciò, come un segno di inautenticità.
Teologia empirica
Forse la chiave per svolgere tale massa di questioni che attendono l’esame e il reciproco dialogo degli specialisti dovrebbe consistere nell’adottare i metodi usati dalle scienze positive, relegando i metodi già utilizzati dalle scienze sociali ad un livello dipendente. Naturalmente non si può applicare immediatamente tali metodi per esaminare Dio e la vita dopo la morte, ma si può certamente applicarli a questa vita, con un’attenzione particolare alle esperienze spirituali nelle varie religioni.
Nella peculiare Tradizione ortodossa la genuina esperienza spirituale è il fondamento delle formulazioni dogmatiche le quali, a loro volta, sono guide necessarie per condurre alla divinizzazione. Tradotto nel linguaggio della scienza, questo significherebbe che la verifica dell’osservazione viene espressa in simboli descrittivi i quali, a loro volta, agiscono come guide per altri affinché essi possano ripetere la medesima verifica dell’osservazione. In tal modo le osservazioni di astronomi, biologi, chimici, fisici e dottori della generazione precedente divengono le osservazioni di quella successiva.
Alla stessa maniera, l’esperienza di divinizzazione di profeti e apostoli e la loro santità vengono espresse con moduli linguistici, il cui scopo è fare da guida ai loro successori perché avvenga la medesima esperienza di divinizzazione.
La tradizione dell’osservazione empirica e della verifica è la pietra angolare per setacciare la realtà fattuale da tutte le ipotesi delle scienze positive. E ciò riguarda pure l’autentico metodo teologico patristico-ortodosso.
Una caratteristica basilare del metodo scolastico franco, che trae la sua origine dal platonismo agostiniano e dall’aristotelismo tomista, è la sua ingenua fiducia nell’esistenza obiettiva delle cose razionalmente speculate al di là di loro stesse[2]. Per seguire Agostino i franchi hanno sostituito alla preoccupazione patristica dell’osservazione spirituale – che era profondamente radicata in Gallia al momento in cui i franchi ne avevano appena stabilito il dominio – con il fascino per la metafisica[3]. Essi non sospettavano nemmeno che tali speculazioni avessero dei fondamenti sia nella realtà creata che in quella spirituale.
Nessuno potrebbe oggi accettare come vero quello che non è empiricamente osservabile o, almeno, verificabile da inferenza attraverso un effetto attestato. In tal modo si muove la teologia patristica. È perciò che la speculazione dialettica di Dio e l’incarnazione fine a se stessa vengono rigettate. Vengono ritenute solo quelle cose che possono essere esaminate dall’esperienza della grazia di Dio nel cuore. A questo proposito i Padri citano un passo della lettera di san Paolo agli ebrei:
Non vi lasciate trascinare da dottrine diverse e straniere, perché è bene che il cuore sia fortificato dalla grazia e non da alimenti che nulla giovarono a quelli che li seguirono[4].
Sacra Scrittura e Tradizione
I Padri non hanno compreso la teologia come se fosse una scienza teoretica o speculativa, ma come una scienza positiva da tutti i punti di vista. Infatti, la comprensione patristica dell’ispirazione biblica è simile all’ispirazione degli scritti nel campo delle scienze positive[5].
I manuali scientifici sono ispirati dalle osservazioni degli specialisti. Per esempio, l’astronomo registra quello che osserva attraverso l’utilizzo degli strumenti messi a sua disposizione. Egli trae ispirazione dall’analisi dei corpi celesti, vedendo cose invisibili ad occhio nudo grazie alla sua abilità nell’uso di tali strumenti. Ciò è vero per tutte le scienze positive. Tuttavia i libri di scienza non possono mai sostituire le osservazioni scientifiche. Questi scritti non sono le osservazioni ma le considerazioni sulle osservazioni stesse. È ugualmente vero quando vengono utilizzati degli strumenti fotografici e acustici. Gli apparecchi non sostituiscono le osservazioni, ma sono semplicemente a servizio di quest’ultime. Così gli scienziati non possono essere sostituiti dai libri da loro scritti e nemmeno dagli strumenti progettati per l’utilizzo scientifico.
Quanto appena esposto risulta ugualmente vero per la comprensione ortodossa della Bibbia e delle scritture dei Padri. La Bibbia e le scritture dei Padri non sono, ma riguardano la Rivelazione e la Parola di Dio. Spiego meglio il concetto. La Rivelazione è l’apparizione di Dio ai profeti, agli apostoli e ai santi. La Bibbia e le scritture dei Padri trattano di queste apparizioni, ma non sono le apparizioni stesse. Infatti, è il profeta, l’apostolo e il santo che vedono Dio, non chi semplicemente legge le loro particolari esperienze. Ovviamente né il libro che descrive la divinizzazione né il lettore possono sostituire il profeta, l’apostolo o il santo che vivono l’esperienza medesima.
Le scritture degli scienziati sono accompagnate da una tradizione interpretativa nata per coloro che gli subentrano. Questi successori conoscono quello che i loro maestri intendevano utilizzando un certo linguaggio e sanno ripetere le osservazioni descritte grazie al loro addestramento e alla loro esperienza. È così pure per la Bibbia e le scritture dei Padri. Solo quelli che hanno la stessa esperienza di divinizzazione dei loro predecessori, profetici, apostolici e patristici, possono capire ciò che le scritture bibliche e patristiche gli stanno dicendo quando descrivono la divinizzazione stessa e il livello spirituale al quale accedono. Quanti hanno raggiunto la divinizzazione conoscono come sono stati guidati fin là e sanno quindi come guidare altri. Essi sono i garanti della trasmissione di questa tradizione.
Questo è il cuore della comprensione ortodossa della tradizione e della successione apostolica e questo è il discrimine che separa l’Ortodossia dalle tradizioni latine e protestanti germogliate dalla teologia franca.
I franchi, seguendo Agostino, hanno identificato la Rivelazione con la Bibbia ed hanno creduto che Cristo dà alla Chiesa lo Spirito Santo come una guida per una corretta comprensione della Scrittura. Ciò sarebbe come chiedere che i libri di biologia siano rivelati dai microbi e dalle cellule senza il bisogno dei biologi che li hanno visti al microscopio o che questi stessi microbi e cellule ispirino i futuri insegnanti a capire correttamente tali libri senza l’utilizzo del microscopio.
I franchi hanno creduto che i profeti e gli apostoli non vedessero Dio, eccettuati probabilmente Mosè e san Paolo. Secondo quanto essi credevano, i profeti e gli apostoli videro e sentirono simboli fantasmatici di Dio il cui scopo era formulare dei concetti per una disquisizione intellettuale. Mentre questi simboli sono stati esclusi dall’impatto con l’esistenza umana, la natura umana di Cristo rimase la permanente realtà nonché il miglior veicolo per formulare concetti teologici.
Così non si ha bisogno di telescopi, microscopi o della visione di Dio ma, piuttosto, di concetti attorno a realtà invisibili. Secondo quanto venne addotto, tali concetti sono naturalmente compresi dalla ragione umana.
Gli storici hanno prestato attenzione all’ingenuità della mente religiosa franca disgustata dalle prime richieste per il primato dell’osservazione sopra l’analisi razionale. I telescopi di Galileo non potevano scuotere tale fiducia. Comunque, diversi secoli prima di Galileo, i franchi erano rimasti disgustati dalla richiesta romano-orientale espressa da san Gregorio Palamas (1296-1359) del primato teologico dell’esperienza e dell’osservazione sopra la ragione.
I teologi latini odierni, che usano ancora l’approccio metafisico dei loro predecessori nella teologia, continuano a presentare i teologi romano-orientali come esicasti preferendo l’ignoranza all’educazione per la loro ascesa all’unione con Dio. Questo equivale a sostenere che uno scienziato si sbaglia perché insiste sull’uso di telescopi e microscopi invece d’utilizzare la filosofia nella sua ricerca per l’analisi descrittiva dei fenomeni naturali.
Il cosiddetto movimento umanistico nella Romània orientale era un tentativo di rianimare l’antica filosofia greca, i cui dogmi erano stati già rigettati prima della nascita della scienza moderna che li sostituì in Occidente. Presentare questo cosiddetto movimento umanistico come un rinascimento culturale significa non considerare che il problema reale soggiaceva tra il primato della ragione e quello dell’osservazione e dell’esperienza.
Strumenti, osservazione, concetti e lingua
La scienza moderna è nata sottoponendo le teorie immaginate e proposte dall’intelletto al collaudo con le molteplici tecniche che si avvalgono di strumentazioni. L’osservazione che si è servita di questi strumenti artificiali ha aperto vaste aree di conoscenza che l’intelletto da solo non avrebbe assolutamente potuto cominciare ad immaginare e, tantomeno, uguagliare.
L’universo è diventato un mistero così grande che nessuno avrebbe potuto prevederlo. Abbiamo forti indicazioni che questo mistero crescerà ulteriormente. L’uomo d’oggi come quello di ieri non è in grado di immaginare la vastità di tale mistero. Alla luce di quanto appena esposto, risulta umoristico pensare a quei vescovi che non potendo afferrare la realtà ci hanno lasciato solo l’importanza di quello che hanno visto nel telescopio di Galileo. Ma la dimensione della ingenuità franca è ben maggiore quando si comprende che questi stessi capi della Chiesa, i quali non potevano capire il significato d’una semplice osservazione, chiedevano la conoscenza dell’essenza e della natura di Dio.
La tradizione latina non poteva capire il significato d’uno strumento con il quale i profeti, gli apostoli e i santi avevano raggiunto la divinizzazione.
Similmente alle scienze odierne, anche la teologia ortodossa dipende da uno strumento che non è identificato con la ragione o l’intelletto. Il suo nome biblico è “cuore”. Nel Vangelo, Cristo dice: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”[6].
Il cuore normalmente non è pulito. È questa la ragione per cui non funziona regolarmente come dovrebbe. Similmente alla lente d’un telescopio o d’un microscopio, il cuore deve essere deterso affinché la luce vi possa passare attraverso permettendo all’uomo di focalizzare la propria visione spirituale su cose non visibili ad occhio nudo.
Alcuni Padri hanno nominato nous la facoltà dell’anima che opera all’interno del cuore quando è ripristinata la sua normale capacità e hanno nominato logos e dianoia l’intelletto e la ragione cioè quello che oggi chiamiamo “cervello”. Per evitare ogni possibile confusione usiamo i termini facoltà noetica e preghiera noetica per designare l’attività del nous nel cosiddetto cuore.
Il cuore, non il cervello, è l’area nella quale viene formato il teologo. La teologia include l’intelletto come fanno tutte le scienze ma è nel cuore che l’intelletto e l’intero uomo osservano e sperimentano la grazia di Dio.
Una delle differenze di base tra la teologia ortodossa e la scienza è che, per la prima, l’uomo possiede naturalmente il proprio cuore, o facoltà noetica, mentre, per la seconda, ha dovuto creare appositi strumenti per l’osservazione scientifica.
Una seconda differenza di base è la seguente: attraverso i propri strumenti e l’energia irradiata da quanto osservato, lo scienziato vede cose che può descrivere con parole, sebbene si esprima sempre inadeguatamente. Queste parole sono simboli che esprimono una significativa esperienza umana.
Diversamente da ciò, l’esperienza della divinizzazione consiste nel vedere Dio, il quale non ha alcuna somiglianza con qualsiasi cosa creata non uguagliando nemmeno l’intelletto e gli angeli. Dio è letteralmente unico e non può essere in nessun modo descritto paragonandolo con qualche attributo che possa essere proprio, conosciuto o immaginato da qualche creatura. Nessun aspetto di Dio può essere espresso in un concetto o in una raccolta di concetti.
Si può immediatamente capire perché tanto la teoria delle idee di Platone quanto la forma agostiniana (per la quale le creature sono letteralmente “copie” di prototipi-archetipi reali presenti nella mente divina), sono state coerentemente rigettate dai Padri della Chiesa.
Così l’esperienza di divinizzazione non ha alcunché in comune con la speculazione agostiniana di Dio che utilizza analogie psicologiche e nemmeno con la teoria di alcuni teologi russi in base alla quale i Padri della Chiesa, com’essi ritengono, parlano di Dio utilizzando una specie di “personalismo”. Nessun termine o concetto viene applicato a Dio dai Padri. La ragione è chiara. Tutti i Padri, utilizzando determinate espressioni, vogliono rimarcare che non c’è assolutamente alcuna somiglianza tra Dio e le Sue creature. Ciò significa che i nomi di Dio e il linguaggio utilizzato per parlare di Lui non vengono sentiti come mezzi con i quali l’intelletto umano può formare dei concetti che gli rivelano l’essenza divina. Piuttosto, il linguaggio adoperato per descrivere Dio ha un unico fine: essere la guida per un padre spirituale che conduce il proprio allievo attraverso vari livelli di perfezione e conoscenza fino alla divinizzazione. In essa l’allievo vede da solo quello che i santi hanno visto prima di lui: la radicale diversità di Dio da qualsiasi concetto utilizzato per esprimerLo.
È per questa ragione che le asserzioni positive su Dio sono controbilanciate da asserzioni negative, non per purificare le prime dalle loro imperfezioni, ma per chiarire che Dio non è in nessun modo simile ai concetti veicolati dalle parole, poiché è al di sopra d’ogni nome e d’ogni concetto attribuitoGli.
Contro l’eresia di Eunomio i Padri hanno insistito che la lingua è uno sviluppo umano e non è stata creata da Dio. Traendo argomentazioni dallo stesso Antico Testamento, san Gregorio di Nissa rivendicò che l’ebraico è una delle lingue più recenti del Medio-Oriente. Tale posizione oggi non è ritenuta corretta. L’affermazione di san Gregorio è stata comparata con l’opinione di Dante secondo la quale Dio ha creato l’ebraico per far parlare Adamo ed Eva. Poi, Dio avrebbe fatto in modo di conservare tale parlata perché Cristo la potesse utilizzare. Naturalmente Cristo non ha parlato l’ebraico, ma l’aramaico.
L’opinione del nisseno sulla lingua biblica è sempre stata dominante tra gli scrittori romano-orientali. Finora ho trovato teorie simili a quelle di Dante solamente fra gli eunomiani e i nestoriani. Dato tali presupposti si può capire l’insistenza dei Padri sul fatto che lo studio dell’universo o l’impegno nella speculazione filosofica non aggiungono nulla alla guida verso la perfezione e la divinizzazione.
Le dottrine sulla santa Trinità e sull’incarnazione quando escono dal loro contesto empirico o rivelatorio divengono e sono divenute ridicole. Ciò è anche vero per la distinzione tra essenza ed energia increata di Dio. Conosciamo questa distinzione dal tempo dei profeti attraverso i racconti dell’esperienza delle loro divinizzazioni. A tal riguardo san Gregorio Palamas non ha inventato nulla. I moderni teologi ebrei continuano a vedere chiaramente la stessa cosa nell’Antico Testamento.
Dio ha creato l’universo che continua a dipendere da Lui. Eppure Dio e l’universo non appartengono ad una categoria della verità: la verità riguardo alla creazione non può essere applicata a Dio e la verità di Dio non può essere applicata a quella della creazione.
Diagnosi e terapia
Arrivati a questo punto, volgeremo la nostra attenzione a quegli aspetti che compongono le differenze tra la teologia romana e quella franca. Tali aspetti hanno determinato un forte impatto sullo sviluppo delle divergenze nella dottrina ecclesiastica. La fondamentale differenza può essere individuata come se fosse una diagnosi d’una malattia spirituale alla quale si deve applicare la sua terapia.
La divinizzazione è la visione di Dio nella quale viene sperimentata l’uguaglianza d’ogni mezzo e il valore assoluto di ciascun uomo. Dio ama tutti gli uomini ugualmente e senza discriminazioni, incurante d’ogni loro livello morale. Dio ama con lo stesso amore sia la santità che il diavolo. Insegnare diversamente, come Agostino e i franchi, significa dimostrare palesemente l’ignoranza di cosa sia la divinizzazione.
Dio si moltiplica e si divide incessantemente nelle Sue increate energie, indiviso fra realtà divise, cosicché è presente con l’azione ed è assente con la natura in ogni singolo elemento del creato. Egli è presente dappertutto ed è allo stesso tempo assente. Questo è il mistero fondamentale della presenza di Dio nelle Sue creature e mostra che gli universali, non esistendo in Dio, possono essere stati concepiti solo in uno stato di non illuminazione, come nella tradizione agostiniana.
Dio è sia cielo che inferno, sia ricompensa che dannazione. Tutti gli uomini sono stati creati per vederLo eternamente nella sua gloria increata. Egli sarà per ciascun uomo cielo o inferno, ricompensa o dannazione a seconda della risposta umana all’amore divino e a seconda della trasformazione umana dall’egoismo, nel quale l’amore gravita attorno al proprio io, all’accoglienza dell’amore divino che non cerca i propri fini.
Si può constatare come la comprensione franca del cielo e dell’inferno, descritta poeticamente da Dante, John Milton e James Joyce, sia perfettamente estranea alla tradizione ortodossa. Questa è un’altra delle ragioni per cui il cosiddetto umanesimo di alcuni romano-orientali (uniti al papato franco) fu un serio regresso e non un progresso culturale.
Quando tutti gli uomini vedranno Dio, nessuna religione potrà rivendicare a se stessa il potere di spedire le persone al cielo o all’inferno. Ecco perché i veri padri spirituali si preparano in modo tale da contemplare la gloria di Dio come beatitudine e non come tormento, come ricompensa e non come dannazione. Allora lo scopo primario del Cristianesimo ortodosso consiste nel preparare i propri membri ad un’esperienza che tocca, presto o tardi, ogni essere umano.
Mentre il cervello è il centro dell’adattamento umano all’ambiente, la facoltà noetica nel cuore è l’organo primario per la comunione con Dio. La caduta dell’uomo o lo stato ereditato dal peccato consiste:
a. nel fallimento totale o parziale della funzione della facoltà noetica;
b. nella sua confusione con le funzioni del cervello e del corpo in genere;
c. nel logico risultato di questo fallimento e confusione: la schiavitù all’ambiente.
Ciascun individuo sperimenta la caduta della propria facoltà noetica. Così è evidente perché la comprensione agostiniana della caduta dell’uomo vista nell’eredità della colpa per il peccato di Adamo ed Eva non è e non può essere accettata dalla tradizione ortodossa.
Ci sono noti due sistemi della memoria costruiti nel cervello degli esseri viventi:
1. nel primo si determina la funzione e lo sviluppo dell’individuo in relazione a sé;
2. nel secondo si determina la funzione dell’individuo in relazione al suo ambiente.
Oltre a questo, la tradizione patristica è consapevole dell’esistenza di un’altra memoria situata nel cuore degli esseri umani. Essa normalmente o non funziona o è poco sfruttata. Quando viene messa in azione dalla preghiera noetica, tale facoltà include una memoria incessante di Dio che comporta la normalizzazione di tutte le relazioni.
Se la facoltà noetica non è pienamente attiva, l’uomo è soggetto all’ansia e le sue relazioni con gli altri sono di tipo essenzialmente utilitaristico.
Così, il motivo radicale d’ogni anormale relazione tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e il suo prossimo – peculiare caratteristica dell’uomo decaduto – è la facoltà noetica mal funzionante che utilizza Dio e la natura in funzione d’una comprensione in grado di garantire la sicurezza e la felicità umana. L’uomo al di fuori della divinizzazione immagina l’esistenza di un dio o di idoli come proiezioni psicologiche del suo bisogno di sicurezza e felicità.
Tutti gli uomini hanno questa facoltà noetica nel cuore e ciò significa che tutti sono in diretta relazione con Dio anche se si pongono su diversi livelli. Tali livelli sono determinati dal grado di resistenza della singola persona alla schiavizzazione del suo ambiente fisico e sociale e da quanto l’uomo permetta d’essere diretto da Dio. Ogni individuo è sostenuto dalla gloria divina increata. Il risiedere di questa gloria divina increata e di questa luce increata, creativa e sussistente nell’uomo, viene nominato con diversi termini. Alcuni sono “regola”, “potere” e “grazia di Dio”. La reazione umana a questa diretta relazione o comunione con Dio può variare dall’indurimento del cuore (lo spegnimento della scintilla della grazia) all’esperienza della divinizzazione raggiunta dai profeti, dagli apostoli e dai santi.
Questo significa che tutti gli uomini sono uguali nel possedere la facoltà noetica, ma si diversificano nella qualità o nel grado di funzione della stessa.
È importante non cancellare la chiara distinzione tra la spiritualità, che è radicata principalmente nella facoltà noetica del cuore, e l’intellettualità, che è radicata nel cervello. Così:
1. Una persona con piccoli conseguimenti intellettuali può accedere al livello più alto della perfezione noetica;
2. oppure, un uomo dai più alti conseguimenti intellettuali può cadere al livello infimo dell’imperfezione noetica;
3. ma si possono anche raggiungere livelli elevati sia nell’intelletto che nella perfezione noetica;
4. o si può avere scarso compimento intellettuale a causa dell’indurimento del cuore.
Il ruolo del Cristianesimo era originalmente più simile a quello della professione di medico, particolarmente a quella degli odierni psicologi e psichiatri.
L’uomo ha una facoltà noetica nel cuore mal funzionante o totalmente disattivata ed è compito specialmente del clero applicare la cura dell’incessante memoria di Dio, ossia la cura dell’incessante preghiera che porta all’illuminazione.
La vera preparazione per la visione di Dio conosce due momenti: la purificazione e l’illuminazione della facoltà noetica. Senza questi è impossibile che l’amore egoista dell’uomo sia trasformato in amore altruista. Questa trasformazione avviene nello stadio più alto dell’illuminazione chiamato theoria, ottenuta tramite l’incessante ininterrotta memoria di Dio.
Coloro che rimangono egoisti e chiusi in loro stessi con un cuore indurito e sigillato all’amore di Dio non ne vedranno la gloria in questa vita. Alla fine la gloria di Dio da loro voluta sarà simile ad un fuoco eternamente acceso in un’esterna oscurità.
Nello stato della theoria la facoltà noetica è liberata dalla schiavizzazione all’intelletto, alle passioni, agli ambienti e prega incessantemente. Essa viene influenzata solamente da questa memoria di Dio. Così la preghiera noetica continua a funzionare simultaneamente con le attività normali della vita quotidiana. Quando la facoltà noetica raggiunge questo stato, l’uomo è diventato tempio di Dio.
San Basilio il Grande scrive che:
... la permanenza di Dio consiste nell’averci stabilito degli strumenti di memoria. In tal modo diveniamo templi di Dio, quando la continuità della sua memoria non è interrotta dagli impegni terreni, o quando la facoltà noetica non viene scossa da inaspettate sofferenze, ma riuscendo a fuggire da tutte queste cose questa [facoltà noetica] amica di Dio si ritira in Dio, rigettando le passioni che la tentano all’incontinenza e rimanendo fedele alle pratiche che la portano alle virtù[7].
San Gregorio il Teologo indica che:
Il ricordo di Dio deve essere più frequente del nostro stesso respiro; anzi, se è lecito dirlo, non dobbiamo far altro che questo… e se dobbiamo citare anche le parole di Mosè, dobbiamo farlo “dormendo, levandosi dal letto, viaggiando” o facendo qualunque altra cosa, e conformarsi con questo pensiero alla purezza[8].
San Gregorio insiste che far teologia “... è permesso solo a quelli che si sono esercitati ed hanno raggiunto la theoria, essendo stati purificati nell’anima e nel corpo o, almeno, cercando di purificarsi”[9].
Questo stato di theoria è duplice e conosce dunque due livelli:
a. l’incessante memoria di Dio;
b. la divinizzazione, dono che Dio dà ai suoi amici secondo i loro bisogni e quelli degli altri.
In questo secondo livello, l’incessante preghiera noetica viene interrotta quando è sostituita dalla visione della gloria di Dio in Cristo. In tale situazione le funzioni normali del corpo, come il sonno, il mangiare, il bere e la digestione sono sospese. In altri momenti, l’intelletto e il corpo funzionano normalmente. Certamente non si perde la consapevolezza, come accade nelle esperienze estatiche e mistiche dei cristiani non ortodossi e nelle religioni pagane[10]. Si rimane pienamente consapevoli e familiari col proprio ambiente e con coloro che ci circondano, mentre si vede tutto il mondo ed ogni persona ripieni della gloria increata di Dio che non è né oscurità né luce, non è in nessun luogo ed è dappertutto contemporaneamente. Questa condizione può essere di breve o di lunga durata. Nel caso di Mosè essa si è protratta per quaranta giorni e quaranta notti. I visi di coloro che vivono in questo stato di divinizzazione hanno un’impressionante luminosità, simile a quella mosaica, e alla loro morte i loro corpi divengono sante reliquie. Queste reliquie emanano uno strano dolce profumo che in certi momenti può divenire molto intenso. In molti casi queste reliquie rimangono intatte e in buon stato di conservazione, senza essere state precedentemente imbalsamate. Esse rimangono interamente compatte da capo a piedi, luminose, asciutte e senza alcun segno di decomposizione.
Non c’è alcun criterio metafisico per classificare le persone in buone o cattive. È molto più corretto distinguere le persone tra quelle malate e quelle più sane. Gli infermi sono coloro la cui facoltà noetica non è stata purificata e illuminata.
I livelli ora esposti sono inclusi nella struttura dei quattro Vangeli e nella vita liturgica della Chiesa. I vangeli di Marco, Matteo e Luca riflettono il catechismo pre-battesimale che deterge il cuore mentre il vangelo di Giovanni riflette il catechismo post-battesimale che guida alla theoria introducendo nel livello di illuminazione. Cristo stesso è il Padre spirituale che conduce gli apostoli, com’era stato fatto con Mosè e i profeti, attraverso la purificazione per l’illuminazione[11].
Questi tre stadi di perfezione si possono compendiare nei seguenti punti:
a. quello dello schiavo che compie i comandamenti perché ha paura di incontrare Dio come un fuoco divorante;
b. quello del mercenario che mira alla ricompensa della visione della gloria di Dio;
c. quello degli amici di Dio la cui facoltà noetica è completamente libera, il cui amore è divenuto altruista e, per questo, sarebbero disposti ad essere condannati pur di salvare il loro prossimo, come nel caso di Mosè e di san Paolo.
L’ascesa del monachesimo, il suo contributo e il suo declino
L’essenziale procedimento storico, col quale divenne consuetudine eleggere vescovi che non fossero arrivati all’esperienza spirituale della quale i dogmi sono la verbale espressione, è descritto da san Simeone il Nuovo Teologo (1042), riconosciuto come il più grande tra i padri della Chiesa. Questo riconoscimento significa che la sua analisi storica è parte della stessa comprensione della Chiesa ortodossa.
I tre stadi di perfezione sono tre stadi di comprensione spirituale ed un tempo esistevano in ciascuna comunità cristiana. Queste comunità potrebbero essere paragonate a quelle universitarie nelle quali esistono degli studenti, dei ricercatori e dei professori. È logico dedurre che i capi religiosi dovrebbero essere al più alto livello di illuminazione e, in nessun caso, dovrebbero essere al livello spirituale dei loro studenti.
La conseguenza del crollo della vita e della comprensione spirituale nel clero, causò l’espansione di un movimento ascetico parallelo alle comunità episcopali: il movimento monastico. Quest’ultimo conservò la tradizione profetica e apostolica nella spiritualità e nella teologia. Quando prevalse la consuetudine che i vescovi venissero eletti soprattutto dal monachesimo, l’antica tradizione dei vescovi come maestri di spiritualità e teologia venne potentemente ripristinata. Ciò avvenne anche grazie all’energico influsso di san Simeone il Nuovo Teologo. Tale restaurazione fu così forte da infondere alle Chiese romano-orientali la forza di sopravvivere non solo alla dissoluzione e alla scomparsa dell’Impero, ma di mantenere ad un livello particolarmente elevato la spiritualità e la teologia durante tutta l’occupazione ottomana dei quattro Patriarcati romano-orientali, fino alla cosiddetta rivoluzione greca.
Sotto l’influenza del cittadino e agente francese Adamantios Koraes, ufficialmente riconosciuto dalla terza riunione nazionale ellenica del 1827 come il padre del neo-ellenismo, il nuovo Stato greco decise che la Chiesa di Grecia dovesse seguire l’esempio di quella russo-ortodossa. Quest’ultima viveva in un avanzato stato di occidentalizzazione, iniziato dal tempo di Pietro il Grande (1672-1725). Lo Stato forzò letteralmente la Chiesa a separarsi dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, la Nuova Roma, creando così la Chiesa greca mentre, allo stesso tempo, dichiarava guerra al suo monachesimo. L’ignoranza incredibile di Adamantios Koraes è divenuta l’ideologia sulla quale è stata fondata la nuova spiritualità e la nuova teologia della Chiesa greca.
Condannando Massimo del Monte Athos e gli anziani del Trans-Volga nel sedicesimo secolo la Chiesa russa colpì profondamente la spiritualità e la teologia ortodossa. In altri termini, la Chiesa russa divenne come un custode di libri di astronomia, biologia e medicina, che aveva gettato i telescopi e i microscopi, utilizzati dagli scienziati. Questo fatto rese la Chiesa matura per accogliere l’occidentalizzazione promossa da Pietro il Grande.
Cogliamo una sorprendente ironia della storia se osserviamo che, mentre lo stato greco si sbarazzava della teologia e della spiritualità fondata sulla preghiera noetica, questa stessa tradizione veniva reintrodotta in Russia attraverso i figli spirituali di Paisios Velitchkovsky di Moldavia morto nel 1817.
Allo stesso tempo è stata una grande fortuna che i seguaci di Koraes al potere non estendessero lo Stato greco fino ai numerosi monasteri del Monte Athos abbandonati dall’Impero Ottomano. Altrimenti l’imbecillità di Adamantios Koraes avrebbe prodotto un effetto ancor più devastante sull’Ortodossia romana, ora denominata “bizantina”. Lo stesso Adamantios Koraes si impegnò a convincere gli abitanti della vecchia Grecia d’aver dimenticato la loro reale identità nazionale: essi non sarebbero stati dei romani [e quindi i discendenti dei romano-orientali, n.d.c.], ma esclusivamente dei greci [e precisamente i discendenti degli antichi pagani elleni, n.d.c.]. Questo era quanto veniva ritenuto più ragionevole. Il progetto di Adamantios Koraes consisteva nel sostituire la spiritualità e la teologia patristica nonché la nazionalità romana con una filosofia e un nazionalismo greco basati su una teologia e una filosofia politica. Forse non è causale che la Francia napoleonica avesse rianimato tali politiche verso i romano-orientali, politiche stranamente simili a quelle carolinge descritte nella prima parte di questo libro. Napoleone era, dopo tutto, un discendente della nobiltà franca di Toscana, stabilitasi in Italia dal tempo di Carlomagno.
Ora questo progetto è morto. I più remoti prodromi della moderna scienza, il revival molto forte della teologia, della spiritualità patristica e dell’identità nazionale romana, cosiddetta bizantina, hanno contribuito a seppellire tale disegno.
Spiritualità ortodossa, la stessa in Occidente ed in Oriente
Finora abbiamo semplicemente ricordato che la teologia e la spiritualità dei cristiani romani era la stessa sia in Oriente che in Occidente, anche se si scriveva in greco o in latino, per avere una chiara idea di ciò che i termini significano nei dialoghi ecumenici odierni. Agostino, comunque, rimane un’eccezione.
Le differenze tra la teologia franco-caroligia e quella romano-ortodossa, hanno una profonda radice. Esse sono chiaramente visibili nelle differenze tra il pensiero agostiniano e quello di sant’Ambrogio che è solitamente ritenuto il maestro di Agostino.
Tuttavia, non solo non è evidente che ci fossero intime relazioni tra i due, ma è addirittura chiaro che le loro teologie puntano verso differenti direzioni. Abbiamo già specificato altrove alcuni aspetti di questo argomento.
Volgeremo ora la nostra attenzione a Gregorio di Tours, il quale ci fornisce una chiara testimonianza sulla fioritura spirituale e teologica ortodossa nella Gallia franco-merovingica. In quella stessa epoca non si comprendeva molto bene la nuova classe amministrativa di vescovi aristocratici creati dal governo franco[12].
Gregorio di Tours era un grande ammiratore della spiritualità e della teologia descritta nel presente libro. Nutriva un’alta considerazione per san Basilio il Grande e per san Giovanni Cassiano di Marsiglia, già diacono di san Giovanni Crisostomo. Egli riconosceva che i due santi erano una guida per i monaci della Gallia. Nei suoi diversi scritti Gregorio di Tours non menziona mai Agostino. Inoltre la sua comprensione della spiritualità e della teologia di san Basilio e di san Giovanni Cassiano è molto limitata. Egli incappa in alcuni errori di base e, qualche volta, in umoristici travisamenti.
Gregorio racconta che nel tesoro della chiesa di San Martino trovò le reliquie dei martiri dell’Agaune, membri della legione tebana inviata in Gallia nel 287 per schiacciare una rivolta. Ad un certo punto aggiunge che “... una reliquia [era] molto disfatta dalla putredine”[13]. È chiaro che Gregorio non sapeva riconoscere le sante reliquie. I corpi in simile corruzione, per non parlare di “disfacimento dalla putredine”, non sono sante reliquie.
Gregorio termina la sua Storia dei franchi con i miracoli e la morte di sant’Aridio abate di Limoges. Egli scrive:
Un giorno mentre i chierici cantavano in chiesa i salmi, dall’alto del soffitto discese una colomba e, volando leggera attorno ad Aridio, si posò sul suo capo, indicando, come intendo, che quello era stato già riempito dalla grazia dello Spirito Santo. Poiché egli, non senza pudore, tentava di allontanare da sé la colomba, l’animale, volando ancora un po’ intorno, di nuovo si posava sul suo capo e sulle sue spalle; e non soltanto in chiesa, ma anche quando Aridio si recava nella celletta del vescovo, la colomba lo accompagnava. E il vescovo Nicezio con ammirazione contemplò per molti giorni l’episodio[14].
Aridio ricevette chiaramente e per lungo tempo la divinizzazione. Comunque l’ignoranza di questa tradizione ha portato Gregorio a confondere e sostituire il simbolo linguistico del colombo, usato per descrivere quest’esperienza, con un uccello reale. Gregorio evidenzia che Aridio ha tentato d’allontanare il colombo. Ciò depone che la visione sperimentata dal santo non era certamente demoniaca o allucinatoria. Il fatto che il colombo fosse tornato per rimanere sul santo per dei giorni consecutivi, significa che egli, da uno stato di breve divinizzazione, tornava nella medesima condizione ma per un periodo più lungo. Che egli si fosse occupato dei suoi usuali impegni in questo stato, che tale stato fosse percepito a coloro che lo circondavano, che essi stessi fossero in uno stato di illuminazione, depone evidentemente ancora in favore della sua particolare esperienza.
I malintesi di Gregorio si incontrano anche quando egli narra la vita di Patroclo il recluso. Gregorio scrive:
Il suo nutrimento era il pane bagnato nell’acqua e asperso di sale. I suoi occhi non si oscuravano mai. Era infatti costante nelle preghiere, e se talvolta le interrompeva, si metteva a leggere o a scrivere[15].
Gregorio crede che pregare incessantemente sia possibile solo rimanendo, in qualche modo, incessantemente svegli. Eppure Patroclo trascorreva il tempo anche leggendo e scrivendo. Questo significa, per Gregorio, che egli ha dovuto interrompere la preghiera per compiere tali azioni. Gregorio era inconsapevole che la preghiera incessante continua ininterrottamente, nel sonno, nella veglia, nella lettura, nella scrittura, nel camminare, nel parlare, nella fatica, ecc.
Insomma, il fatto che gli occhi di Patroclo, per Gregorio, “non si sono mai chiusi al sonno”, sarebbe stato un inaudito miracolo. Quando Patroclo viveva nella divinizzazione poteva contemporaneamente dormire e nutrirsi[16]. Tuttavia, in questa vita, una simile condizione non può prolungarsi indefinitamente. In tale stato egli interrompeva la preghiera. Quando non viveva quest’esperienza egli dormiva tre ore al giorno e pregava senza alcuna interruzione. In quel tempo, però, simili malintesi venivano normalmente riportati: c’erano molti vescovi in Francia la cui comprensione era inferiore a quella di Gregorio.
Un esempio in tal senso ci è fornito da alcuni vescovi che ordinarono ad un asceta lombardo, chiamato Vulfilaico, di scendere dalla sua colonna. Per essi l’asceta non aveva diritto di fare ciò che egli desiderava.
La via che tu segui non è giusta, e tu, che sei d’origine oscura, non puoi confrontarti con Simeone di Antiochia che vive su una colonna. D’altra parte il clima del luogo non ti permette di sostenere ancora questa prova[17].
Evidentemente la vita di san Daniele lo stilita di Costantinopoli era ancora sconosciuta in Francia.
Finché si rimane nella situazione spirituale sopra descritta, si raggiungono tali risorse fisiche che permettono di resistere alle situazioni ambientali più difficili. La preghiera noetica non ha nulla a che vedere con il tormento fisico o col tentativo di rappacificare Dio.
Essa ci dà pure la possibilità di comprendere con quale potere spirituale i cristiani ortodossi hanno perseverato nel martirio. Si capisce pure perché coloro che rinunciarono a Cristo nelle torture furono considerati fuori dallo stato di grazia e d’illuminazione cioè fuori dai frutti della stessa preghiera noetica.
Gregorio ci presenta Vulfilaico per sottolineare qualcosa che gli sta a cuore e che chiarisce nella seguente affermazione:
Alle parole di quelli, poiché non prestare attenzione alla richiesta d’un vescovo è considerata una colpa, scendevo, io dico, e andavo con loro ed insieme prendevamo il cibo. Un giorno, poi, mentre un vescovo mi aveva convocato in una località molto lontana, furono inviati alcuni operai con leve, martelli e asce e abbatterono la colonna sulla quale ero solito stare… Allora piansi di cuore, ma non volli erigere quello che avevano abbattuto, perché non fossi accusato d’oppormi alla volontà dei vescovi[18].
Abbiamo qui esposta un’emblematica distorsione del significato di obbedienza. È chiaro che né Gregorio né alcuno dei suoi confratelli sapevano quello che Vulfilaico fece. Comunque, ciò che sottolineavano era l’importanza dell’obbedienza dei fedeli per conservare nella maniera più efficace la legge e l’ordine del loro padrone: il governo franco che li aveva nominati. Perciò la disobbedienza ad un vescovo era divenuta un peccato particolarmente grave.
I vescovi, come ufficiali della legge, riuscirono ad accentuare la distinzione pagana tra cielo ed inferno, distinzione rinvenibile in Agostino e Gregorio di Tours. Entrambi erano inconsapevoli che il clero è stato istituito per preparare le persone alla visione di Dio, una visione che ognuno avrà o come beatitudine o come fuoco divorante. A quest’inconsapevolezza si aggiunse la mutazione della prassi con la quale si soddisfava il particolare bisogno umano di progredire in vista di Dio. Per Gregorio, allora, Dio deve essere soddisfatto con l’obbedienza al clero e con la partecipazione ai sacramenti. Queste sono le condizioni perché l’uomo possa entrare in paradiso.
La posizione di Agostino era molto più originale visto che, per lui, Dio ha già deciso in anticipo chi salvare e chi dannare. Per la nota colpa ereditata da Adamo ed Eva, tutto è degno dell’inferno. Così coloro che sono stati scelti per il cielo non hanno alcun merito personale in grado di garantire la scelta divina che rimane, perciò, incondizionata e libera. Tali idee agostiniane sarebbero piuttosto umoristiche se non fossero state condivise da milioni di europei e americani che vi aderirono come molti ancora fanno.
Criteri per la riunificazione
I criteri da utilizzare per la riunificazione dei cristiani divisi non possono essere diversi da quelli utilizzati per l’unione di associazioni scientifiche. Gli astronomi sarebbero disgustati all’idea d’unirsi con gli astrologi. I membri di un’associazione medica moderna sarebbero disgustati al suggerimento d’unirsi con un’associazione di dottori ciarlatani o con uomini dalla medicina tribale. Allo stesso modo i Padri sarebbero disgustati all’idea di un’unione tra l’Ortodossia e le superstizioni religiose prive addirittura della benché minima nozione per riuscire a riconoscere le reliquie autentiche dei santi. Evitare questo problema, dichiarando che la teologia ortodossa è solo per i monaci, è come dichiarare che la cura del cancro è solo per i dottori.
La corretta azione reciproca tra teologia e società non è molto diversa dalla corretta azione reciproca tra scienza e società. Così, come nelle scienze, la domanda della struttura organizzativa e amministrativa trova risposta in quella struttura dove la teologia può produrre con successo i risultati per la quale esiste.
“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.
Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/teolemp.htm
[1] La parte europea e medio-orientale dell’Impero romano era caratterizzata da aree con diversi elementi linguistici. Tra queste esistevano due zone parallele, una celtica e l’altra greca, che attraversavano l’Impero dall’Atlantico al Medio Oriente. La zona celtica correva a nord rispetto alla greca, tranne in Asia Minore, dove la Galazia aveva la zona greca ad est, a nord e a sud. La stessa Italia settentrionale era parte della zona celtica, mentre l’Italia meridionale – chiamata Magna Graecia – parte di quella greca che in occidente copriva il sud della Spagna, la Gallia e le sue isole mediterranee. Bisogna prestare particolare attenzione al fatto che la zona celtica e quella greca attraversavano ambedue l’Italia romana da occidente ad oriente. I romani conquistarono prima le zone greche e celtiche dell’Italia sottomettendo, in seguito, le popolazioni con parlata greca e celtica delle due parti. La zona celtica fu quasi completamente latinizzata, mentre la zona greca non solo rimase intatta, ma si espanse anche grazie alla politica romana che intendeva completare nelle province orientali l’ellenizzazione iniziata dai macedoni. Dal tempo della loro esplosiva espansione i romani erano sentimentalmente e praticamente bilingui. Essi avevano una forte preferenza per il greco ma parlavano pure latino. Questo spiega perché fu latinizzata la zona celtica e non la greca. Così, per la parte occidentale e per quella orientale della Romània europea, si è certamente obbligati a parlare di un Nord latino e di un Sud greco e non di un Occidente Latino e di un Oriente greco. Quest’ultimo è stato un mito franco, fabbricato per le ragioni propagandistiche descritte nella prima parte del presente libro. Esse sopravvivono nei libri scolastici fino ad oggi. I galati dell’Asia Minore nel quarto secolo parlavano proprio lo stesso dialetto come a Treviri nella provincia di Belgica della diocesi romana delle Gallie. (A. Grenier, Les galois, Paris 1970, p. 115). Che la divisione dell’Europa in Occidente-latino e Oriente-greco sia un mito franco è testimoniato ancora oggi dai 25 milioni di romani nei Balcani che parlano dialetti romanzi e dagli abitanti dei Balcani e del Medio-Oriente che si denominano romani. Si dovrebbe prestare attenzione al fatto molto probabile che i galati dell’Asia Minore parlino ancora la stessa lingua degli antenati dei valloni nell’area delle Ardenne quando, nel 995, il legato di papa Giovanni XV, l’abate Leone, pronunciava a Monson la condanna contro Gerberto d’Aurillac.
[2] [Questa mentalità ha tracciato profondi solchi rinvenibili ancor oggi. Il seguente passo è una testimonianza in tal senso: “Max Picard, lo scrittore che celebrò così altamente i valori in sé e l’oggettività, esaltava a me in un colloquio del 1942 l’oggettività assoluta del sacro; notava giustamente che il sacerdote celebrante deve perdersi nell’oggettività del rito, rendere inavvertibile la sua individualità. Aggiungeva pittorescamente che la Messa si celebrerebbe anche da sola, le campane da se stesse suonerebbero, l’ostia spontaneamente si eleverebbe”. Cfr. R. Amerio, Iota unum, studio sulle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Ricciardi, Milano-Napoli 1985, p. 537.
Con questa visione religiosa eccessivamente concentrata sull’oggettività è impossibile non subire il contraccolpo d’un perpetuo ed insanabile conflitto tra le esigenze dell’oggettività stessa e i bisogni della soggettività. Eppure il senso dell’oggettivo, per il soggetto, consiste proprio nella sua soggettivizzazione. “Così, la soggettività è sempre l’occhio che vede e considera la realtà... aderisce a questa realtà e la possiede... è lo strumento che afferra la realtà come partecipazione o conoscenza... Dal momento che si capiscono bene i confini tra l’oggettivo e il soggettivo... ogni scienziato lotta per una qualsiasi conquista dell’oggettività, ovvero per rendere soggettivo l’oggettivo”. N. A. Matsoukas, Teologia dogmatica e simbolica ortodossa, 1, Dehoniane, Bologna 1995, pp. 59-60. N.d.c.]
[3] [Francesco Quaranta ha fatto un interessante lavoro sugli scholia di un probabile vescovo calabro-greco vissuto nell’XI secolo il quale piange la cattività franca della Chiesa di Roma e riconosce nella scolastica il peggior nemico per l’ortodossia cristiana. Cfr. F. Quaranta, Gli scoli anti-latini del codice vaticano-greco 1650. Un’ipotesi di attribuzione, in “Folium”, 1.0, gennaio 1998, a cura dell’associazione Artecom, Roma 1998, pp. 22-30. N.d.c.]
[4] Ebr. XIII, 9.
[5] Per dettagli più specifici su questo soggetto si può consultare il mio studio: Critical examination of the theological questions, in “Procès-Verbaux du deuxième Congrès de Thèologie Orthodoxe”, Athens 1978, pp. 413-441 e i vari lavori in esso citati.
[6] Mt. V, 8.
[7] Basilii Magni, Epistola II, 4.
[8] Gregorii Theologi, Orationes Theologicae, I, 4.
[9] Ibid., I, 3.
[10] [Esiste un’evidente differenza tra questo genere d’esperienza mistica e quella d’alcuni mistici occidentali. Nel caso di Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607) abbiamo: “... assorbimenti repentini, alienazioni totali dal mondo circostante, visioni descritte nei particolari, voltate a sensi allegorici, applicate a realtà terrene motivate con elucubrazioni di raffinata astrattezza; sceneggiatura di fatti ultraterreni […] intramezzate da danze, corse, agitazioni convulsive o rigidità corporee; e soprattutto lunghissimi eloqui, svolti ad alta voce, con parole veloci o scandite, sommesse o urlate, ininterrotte o intercalate da silenzi contemplativi”. Cfr. M. M. de’ Pazzi, Le parole dell’estasi, a cura di Giovanni Pozzi, Milano 1984.
Maria Maddalena de’ Pazzi è stata canonizzata da papa Clemente IX nel 1660.
Le eccessive e quindi discutibili manifestazioni della santa cattolica non sono fatti rari. La conoscenza che il rapporto dell’uomo con Dio trascende ogni genere di fenomeno sensibile e sensuale è stata spesso oscurata nell’Occidente cristiano. Al suo posto de facto si è instaurato una specie di monofisismo. Si pensi, ad esempio, alla celebre scultura del Bernini sull’estasi di santa Teresa. Essa rappresenta un’evidente espressione d’intensa sensualità, è una vera “celebrazione carnale” di un presunto rapporto tra l’uomo e Dio. Tuttavia questo tipo di rapporto può essere concepito ed approvato solo quando esiste l’ignoranza di quello vero. N.d.c.]
[11] Sulle relazioni tra le tradizioni giovannee e quelle sinottiche del vangelo si veda il mio studio: Justin martyr and the fourth Gospel in “The Greek Orthodox Theological Review”, 4, 1958-59, pp. 115-139.
[12] Escludiamo san Giovanni Cassiano e la sua incontestata identificazione con la spiritualità e la teologia orientale, in quanto pre-franco.
[13] Gregory of Tours, The history of the franks, trad. Lewis Thorpe, London 1977, X, 31, p. 601.
[14] Ibid., X, 29, p. 589.
[15] Ibid., V, 10, p. 265.
[16] [Le normali attività del corpo nello stato di divinizzazione sono sospese ma non impedite. Questo scioglie l’apparente contraddizione dell’Autore tra il presente passo e quello riportato a p. 29. N.d.c.]
[17] Ibid., VIII, 15, p. 447.
[18] Ibid.