CHI È IL MONACO CRISTIANO?

 

 

 

 

Μοναχός εστίν τάξις κατάστασις ασωμάτων εν σώματι υλικώ και ρυπαρώ επιτελουμένη.

 

 

Monachós estin táxis katástasis asomáton en sómati ylikó kai ryparó epitelouméne. (Monaco è colui che, sebbene in corpo materiale e impuro, raggiunge in sorte di far parte dell’ordine degli incorporei e di condividerne la condizione)

 

 Scala 1.5 PG 88, col. 6331

 

 

 

 

È questa la prima definizione esplicita che Giovanni Sinaita dà della condizione monastica nel primo capitolo della Scala. Tutta la pagina è ricca di definizioni dello stato monastico, ad ogni frase il concetto viene ripreso e ampliato, come vedremo in seguito. Ad una lettura superficiale di questa semplice frase la definizione pare essere di tipo puramente mora1e in realtà si tratta di una descrizione ontologica, metafisica o, come direbbero i Padri, teorica[1]. Monaco, dice Climaco, è quell’essere che, pur essendo corporeo, raggiunge la condizione degli angeli incorporei. Nell’immaginario moderno occidentale il concetto di vita angelica viene sempre associato all’illibatezza dei costumi morali e forse riecheggia nelle nostre orecchie il celebre giudizio dato a suo tempo delle austere e gianseniste monache di Port Royal: Pure come angeli, orgogliose come demoni.

 

La figura dell’angelo

Per quanto riguarda l’antica cultura cristiana e la tradizione monastica ortodossa anche nelle epoche successive, lo stato monastico è sovente definito “vita angelica” e il monaco è detto lισάγγελος [isággelos][2], ma l’accento è diverso; il significato e il modo di questa somiglianza non sta tanto nell’astinenza da rapporti sessuali, quanto soprattutto nel fatto che il monaco, alla stregua degli angeli rivolge notte e giorno un culto incessante a Dio. Nell’ambiente semitico l’angelo[3] è detto anche il vigilante, colui che veglia: “Mentre nel mio letto stavo osservando le visioni che mi passavano per la mente, ecco un vigilante, un santo, scese dal cielo...”[4]. Gli angeli, ovviamente, in quanto esseri incorporei non sentono affatto lo stimolo della fame, della sete, del sonno, del freddo, del caldo ecc. Le grandi visioni profetiche della Bibbia ce li presentano in continua lode al cospetto di Dio, come un esercito sconfinato che acclama l’imperatore seduto sul suo trono. Lo stesso titolo biblico, attribuito a Dio: Κύριος Σαβαώθ [Kyrios Sábaot] non ha altro significato che: Signore delle Potenze Celesti, cioè delle armate incorporee. A nostro avviso il Climaco, nell’usare il termine Τάξις [Táxis], riferito agli incorporei, immagina appunto le schiere angeliche secondo la descrizione biblica e non solo biblica. Nella cultura e nell’immaginario cristiano dei primi secoli questo sarà un tema alquanto sviluppato. Ad esempio, l’Ora Notturna, detta più propriamente: Ora di Mezzanotte, dell’Horologhion della Chiesa Copta[5] si apre con un inno invitatorio[6] del quale forniamo la parte iniziale:

 

Alzatevi figli della luce[7], lodiamo il Signore delle Potenze[8], affinché si degni di concederci la salvezza dell’anima quando con i nostri corpi compariremo davanti a lui. Togli l’indolenza del sonno dalle nostre palpebre e dacci, Signore, la vigilanza per poter rimanere desti al tuo cospetto nell’alto dei cieli, al tempo della preghiera di mezzanotte e Ti glorifichiamo come conviene, per trovare perdono dei nostri molti peccati[9].

 

Alcune pagine dopo, il riferimento si fa più esplicito:

 

Poiché solo il suo nome viene esaltato, o voi tutti che temete il Signore, non siate pigri nel mezzo della notte; pregate perché in questa stessa ora le stelle del cielo, la luce del sole e della luna, le folgori e le nubi, gli angeli, i loro comandanti[10], i principati, le dominazioni e le loro schiere[11], gli abissi, i mari e i fiumi, le fonti, il fuoco, l’acqua, la rugiada e tutto ciò che piove, i temporali e il vento e tutte le anime dei giusti e dei santi lodino il suo nome e coloro che sempre pregano siano assimilati all’essenza di Dio...[12]

 

Secondo un’antica tradizione pre-cristiana, cui si riferisce lo stesso testo appena citato, tra gli angeli vi sarebbero differenze e gerarchie. Sono stati elencati nove Τάγματα [Tágmata][13], nei quali gli angeli si suddividono secondo la natura e il particolare tipo di servizio che svolgono. Il testo seguente, sempre tratto dall’Horologium Aethiopicum giunge a elencarli esplicitamente:

 

Tutte le schiere spirituali degli Angeli, i santi Cherubini di fuoco e i Serafini dalle sei ali Ti lodano a gran voce e cantano incessantemente, dicendo: Santo, Santo, Santo, il Signore Sabaoth[14], il Perfetto; i cieli e la terra sono pieni della santità della Tua gloria. E tutta la moltitudine di angeli, arcangeli, troni, dominazioni, virtù e principati, cherubini e serafini[15], acclama dicendo: Benedetto il Signore Dio Sabaoth[16].

 

È interessantissimo il passo seguente:

 

Questa chiesa benedetta delle genti[17] assomiglia alle potenze dei cieli; giorno e notte, con cuore puro e animo saldo così cantano e dicono: Miriadi e miriadi di schiere del Signore lodano il Signore sul santo Monte Sinai, i cieli e quanto contengono si prostrano davanti a Te, poiché tu sospendesti come firmamento il cielo e stabilisti la terra sulle acque[18] e hai dato un nome a ciascuna stella fra la sterminata moltitudine…[19]

 

Sempre nello stesso testo, ma questa volta nella “Preghiera prima del Riposo”[20] leggiamo questo tropario[21]:

 

Le creature angeliche, i cherubini incorporei con canti ininterrotti Ti lodano e i Serafini incorporei dalle sei ali, notte e giorno ti acclamano lodandoti senza fine nell’alto dei cieli, con voce instancabile. Le moltitudini degli Angeli ti lodano in santa letizia poiché Tu sei prima dei secoli eterni, o Padre, con il Figlio tuo dal principio a Te uguale[22] e lo Spirito Santo vivificante e a te eguale in potenza e onore, Trinità unica e indivisa essenza[23].

 

Fin qui il nostro percorso si è limitato all’esame delle antiche fonti copte ed etiopiche e si potrà obiettare che il Climaco è un greco, vissuto in un periodo che già possiamo considerare bizantino, quando ormai era stato consumato lo scisma che, dopo il Concilio di Calcedonia (451) divise Copti ed Etiopici dall’ortodossia greca e latina. Non bisogna dimenticare, però, che il Sinai, il santo monte sul quale visse in ascesi il nostro autore, non è poi così lontano dall’Egitto; nella biblioteca del monastero di S. Caterina, inoltre, sono stati reperiti non pochi chirografi in lingua etiopica, opera di etiopici, divenuti monaci in quel monastero.

Non è importante stabilire se il Climaco conoscesse o no i testi che abbiamo citato; ciò che è importante, a nostro avviso, è che essi esprimano quel tipo di cultura religiosa, quel tipo di sensibilità, di spiritualità, di teologia tipicamente orientale, quell’Oriente oggi purtroppo quasi scomparso, in cui mondo greco e mondo semitico, ellenismo e giudaismo si erano incontrati prima ancora della nascita del cristianesimo. E comunque, se è vero che vi fu scisma nel 451, è altrettanto vero che esso non interruppe i rapporti ipso facto, dall’oggi al domani tra copti e cosiddetti “melchiti”[24], ma anzi, pur nella polemica e nell’astio che seguì, notiamo proprio nei testi liturgici e innografici copti ed etiopici non poche influenze bizantine; lo stesso tropario appena citato sembra ricalcare, con qualche modifica un analogo tropario che troviamo nell’Ωρολόγιον το Μέγα[25] della tradizione bizantina guarda caso, previsto proprio nel Μέγα Απόδειπνο[26] della Quaresima di Pasqua; ecco il testo:

 

La natura incorporea dei Cherubini Ti glorifica con inni ininterrotti. Gli esseri viventi dalle sei ali, i serafini, con voce incessante Ti esaltano. Tutta l’annata degli Angeli Ti benedice cantando l’inno Trisagio[27]. Tu che sei Padre, infatti, vieni prima di tutte le cose e anche tuo Figlio come Te è senza principio[28]. E pertanto lo Spirito di vita, degno di eguale onore[29], mostri l’unità della Trinità[30].

 

Con questo testo che ho usato come ponte tra ambiente copto-alessandrino e ambiente greco-costantinopolitano siamo entrati nell’area più propriamente bizantina, ma prima di passare in esame i testi, o meglio, una piccola quanto significativa parte di una così ricca, estesa ed esuberante innografia, vale la pena soffermarsi su una breve considerazione. Assuefatti come siamo, noi occidentali, all’invadenza kitsch e capricciosa del barocco nell’arte religiosa cattolica, quando pensiamo agli angeli è come se ripescassimo dall’infanzia certe immagini goffe, paffute e innocue di puttini seminudi che nelle intenzioni degli artisti dell’epoca, avrebbero dovuto rappresentare le creature incorporee. Nell’antica arte cristiana, tanto orientale, quanto occidentale, come ancor oggi nell’iconografia ortodossa le creature angeliche sono rappresentate come soldati, con tanto di lancia e spada al fianco. Come si vede è proprio l’immagine che ne dà il mondo semitico, sia nelle visioni di Isaia[31], sia in quelle di Giovanni Apostolo, nell’Apocalisse. Le armate celesti, ministri e servi della gloria di Dio, re dell’universo, dominatore universale: Παντοκράτωρ [Pantokrator]. Così, infatti, da tempi immemorabili, la Chiesa ortodossa canta l’8 novembre, festa della “Sinassi dell’Archistratega Michele e di tutte le Potenze Incorporee”:

 

Grandi capi delle angeliche milizie, noi indegni vi supplichiamo di proteggerci con le vostre preghiere, custodendoci all’ombra delle ali della vostra gloria immateriale. Prostrati dinanzi a voi imploriamo: liberateci dai pericoli, o condottieri dei supremi eserciti[32].

 

E subito dopo:

 

Principi delle divine schiere, ministri della gloria di Dio, guide degli uomini e capi degli spiriti celesti, chiedete per noi quanto ci è necessario e la grande misericordia, come Archistrateghi degli Incorporei[33].

 

Molto appropriati sono i cosiddetti “inni Triadici”, riservati alla Grande Quaresima[34]; si tratta di tropari per un’ufficiatura penitenziale. Cantati nel cuore della notte nei monasteri o con le prime luci dell’alba nelle parrocchie, secondo un venerabile e antichissimo uso che dura fino ai giorni nostri. Ne scegliamo alcuni, non potendo citarli tutti, per ovvi motivi di spazio:

 

Tono I:[35]

Per l’apparizione corporea della Potenze incorporee siamo stati condotti all’intelligenza spirituale e immateriale e cantando il Trisagio abbiamo ricevuto l’illuminazione della tripersonale Divinità e come i Cherubini gridiamo: Santo, santo, santo sei Dio.

Gloria al Padre, al Figlio e al Santo Spirito.

Con tutte le Potenze celesti, come i Cherubini acclamiamo a Colui che abita nell’alto dei Cieli proclamando l’inno Trisagio: Santo, santo santo sei Dio; per le preghiere di tutti i Santi, abbi pietà di noi.

E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin.

Risvegliati dal sonno, davanti a Te ci prostriamo, o Buono, e Ti proclamiamo l’inno degli Angeli, o Potente: Santo, santo, santo sei Dio per le preghiere della Madre di Dio, abbi pietà di noi[36].

Tono IV:

Come le schiere degli Angeli nel cielo, ora, con timore, l’assemblea degli uomini sulla terra ti offre un inno di vittoria o Buono: Santo, santo, santo sei o Dio; per le preghiere di tutti i Santi, abbi pietà di noi!

E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin.

Noi mortali osiamo presentarti l’inno dei tuoi servi spirituali, dicendo:

Santo, santo, santo sei, o Dio. Per le preghiere della Madre di Dio, abbi pietà di noi...

Tono V:

Noi che osiamo rappresentare le tue armate spirituali. Trinità senza principio, a Te acclamiamo con le nostre indegne labbra: Santo, santo, santo sei, Dio. Per le preghiere di tutti i santi, abbi pietà di noi.

E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin.

Tu che senza lasciare il seno del Padre sei stato racchiuso nel seno di una Vergine, Cristo Dio, riunisci insieme con gli Angeli anche noi che ti gridiamo: Santo, santo, santo sei, o Dio. Per le preghiere della Madre di Dio, abbi pietà di noi.

Tono VI:

Con le loro bocche immateriali, con incessanti dossologie, gli Esseri dalle sei ali Ti cantano l’inno Trisagio, o nostro Dio; e poi sulla terra, con le nostre labbra impure proclamiamo la tua lode: Santo, santo, santo sei, o Dio.

Gloria al Padre, al Figlio e al Santo Spirito.

I Cherubini, che con timore stanno davanti a Te, i Serafini in rapimento estatico, con voce incessante Ti offrono l’inno Trisagio; con loro anche noi peccatori a Te acclamiamo: Santo, santo, santo sei, Dio. Per le preghiere di tutti i Santi, abbi pietà di noi.

E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin.

Glorifichiamo la Divinità in unità senza confusione[37] della Triplice Monade e gridiamo l’inno degli Angeli: Santo, santo, santo sei, o Dio[38].

 

Siamo veramente imbarazzati nel selezionare testi dai libri innografici bizantini; ogni tropario è come un piccolo gioiello poetico, musicale, teologico. I pochi che abbiamo riportato possono darci un immagine sufficiente di come il popolo ortodosso praticante nutra la sua vita interiore. Non mi soffermo a sottolineare i temi che avevo già enunciato, ma mi permetto di far notare, in tanta ricchezza di contenuti, alcuni aspetti interessanti che possono completare il nostro discorso. Quanti hanno dimestichezza con il Corpus dello Pseudo Dionigi l’Areopagita[39] noteranno una certa somiglianza terminologica e non solo quella; nel tropario iniziale del tono primo riscontriamo un idea molto cara allo Pseudo Dionigi:

 

Per l’apparizione corporea delle Potenze Incorporee siamo stati condotti alla intelligenza spirituale e immateriale e cantando il Trisagio abbiamo ricevuto l’illuminazione della tripersonale divinità...[40]

 

Secondo lo Pseudo-Dionigi[41] la creazione sarebbe ordinata in modo gerarchico. Gli Angeli a loro volta suddivisi gerarchicamente costituiscono la creazione immateriale di Dio; poi vi è, discendendo, la creazione materiale, il cui vertice è l’uomo; gerarchicamente al di sotto dell’uomo vengono gli esseri animati, le piante, gli esseri inanimati. Anche Plotino aveva elaborato un sistema analogo che dal principio assoluto e tutto divino e trascendente, l’Uno, discendeva in una prima “ipostasi”: il Νούς[42] poi in una seconda: l’Anima: e quindi il mondo materiale, sempre meno divino, fino alla pura materia, concepita come assoluta privazione di bene, assoluta assenza di divino. Nel modello dello Pseudo-Dionigi, però, vi sono, a mio avviso due differenze sostanziali; la prima è il principio divino: non è l’Uno a se stante e indifferente, ma l’Uno Trino, o meglio, la Triplice Monade, tripersonale monadica essenza, in cui le ipostasi non sono delle emanazioni che partecipano ad un rango inferiore e con una intensità impoverita alla condizione divina, ma anzi, le ipostasi sono tre e la sostanza, l’essenza è unica. Quello dello Pseudo-Dionigi, in realtà, è un modello molto più biblico-semitico di quanto non sembri; la filosofia greca, infatti, ha come problema l’essenza, o meglio, la sostanza (ousia); per Aristotele sarà l’essenza o forma, per Platone l’idea. La persona non è altro che una riproduzione della forma ideale, che è la vera essenza, solo accidentalmente diversa da un’altra. Per lo Pseudo-Dionigi, come per tutto il mondo biblico-semitico, il problema reale è la persona; è la persona a determinare la sostanza, mentre per la filosofia greca e l’ellenismo in genere la sostanza determina gli individui. Per Aristotele, infatti, il fatto che esistano diversi individui di un’unica specie dipende semplicemente dalla materia; è la materia a rendere possibile la moltiplicazione degli individui di un’unica specie[43]. Quest’approccio filosofico ellenistico al mistero trinitario porterà inevitabilmente al monarchianismo[44], al modalismo[45], all’arianesimo, in cui, a nostro avviso, pare risaltare il modello plotiniano, all’interpretazione tomistica del filioque che i latini aggiunsero al Credo definitivamente nel 1014 e alla Teologia Scolastica tardo medievale della Chiesa romana[46].

Gregorio Palamas, celebre teologo bizantino, monaco all’Athos prima, arcivescovo di Tessalonica poi, darà una brillante e acutissima soluzione al rapporto Uno-Tre, Essenza-Persona, affermando che la Divinità, la sostanza divina si ritrova totalmente sia nell’essenza, che per natura è inconoscibile, sia nelle energie, che sono la rivelazione divina attraverso il Logos incarnato e lo Spirito effuso nella Pentecoste e comunicato attraverso i sacramenti della Chiesa[47].

La seconda differenza sostanziale che separa lo Pseudo-Dionigi da Plotino e dal pensiero filosofico ellenista in genere è il concetto di gerarchia. Per Plotino la discesa è perdizione, caduta nella materia, uscita dalla divinità: l’Uno è perfettamente indifferente e pago di sé, della sua perfezione autocontemplante; nello Pseudo-Dionigi la tripersonale Monade non è immobile nella sua inarrivabile e incomunicabile trascendenza. Essa è sì per natura inconoscibile e incommensurabilmente trascendente, ma suscita in sé le “energie”. tramite le quali si manifesta comunicandosi, secondo le capacità di ciascun ente e comunicandosi trasfigura e assimila a sé e cioè: divinizza.

Avevamo letto poco più sopra nell’Orologion copto-etiopico: “coloro che sempre pregano sono assimilati all’essenza di Dio”[48]. La divinizzazione, l’assimilazione in Dio, cioè, avviene non praticando la filosofia, la meditazione stoica, la virtù socratica, la dialettica o la seconda navigazione platonica o la ricerca delle cause di tipo aristotelico, ma solo attraverso la libera iniziativa della Tripersonale Monade che suscita le sue divine energie e cioè per grazia. Quando le energie divine raggiungono un ente, una persona la glorificano, la rendono cioè, atta a ricevere la gloria divina e a rendere gloria alla divinità: ed è questo il motivo per cui gli esseri incorporei glorificano incessantemente la Trinità e “coloro che sempre pregano sono assimilati all’essenza di Dio”.

In Plotino i vari grandi della gerarchia, inoltre, sono rivolti verso l’alto, nell’assidua contemplazione dell’Uno per quanto possano contemplano con le loro facoltà. Nello Pseudo Dionigi e nel pensiero biblico-semitico le sole facoltà dell’uomo sono insufficienti alla contemplazione divina; è Dio che deve squarciare le nubi, per usare un’immagine biblica e rendersi accessibile. E se ciò avviene, vuol dire che non si tratta di una Monade perfetta e senza tempo, ma di un Essere vivente personale. Scopo della gerarchia, precisa inoltre lo Pseudo-Dionigi, è “l’assimilazione in Dio”; secondo lo Pseudo-Dionigi, infatti, ogni ordine della gerarchia raggiunge il suo scopo non solo nel contemplare, ma anche nell’aiutare gli ordini inferiori ad essere assimilati in Dio: anzi, la contemplazione, essendo partecipazione e non pura visione, non si attua se non imitando la discesa e l’abbassamento della Monade Triadica attraverso le sue energie increate. Gli Angeli, ad esempio, raggiungono la loro contemplazione aiutando gli ordini inferiori, primo fra tutti quello degli uomini, a realizzare il loro. Non si tratta dunque di un’estasi come fuga dalla materia, tutt’altro: le energie divine discendono fino ad essa e si rendono visibili e sperimentabili attraverso la materia; l’universo materiale viene trasfigurato, santificato, assimilato in Dio, con una “unione senza mescolanza o confusione”, come preciserà il Concilio di Calcedonia. Questa è la luce in cui i Padri vedono la storia, il destino dell’umanità, l’incarnazione, i misteri[49] della Chiesa, la gerarchia celeste ed ecclesiale... Questa è quell’ “intelligenza spirituale e immateriale”, quel fulgore che vuole raggiungere gli uomini e investire tutto il cosmo ed è compito degli Angeli, come dice lo Pseudo-Dionigi e gli stessi testi citati poc’anzi, aiutare gli uomini a predisporsi all’azione trasfigurante delle divine e increate energie, di modo che scoprano e sperimentino “l’illuminazione della Tripersonale Divinità”, attraverso l’inno Trisagio; gli Angeli, “ministri della gloria di Dio”, apparendo a Isaia mostrano e rivelano agli uomini l’effetto di questa economia divina: “La natura incorporea Ti glorifica con inni ininterrotti... con voce incessante Ti lodano”… “Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi”[50]. E quanti ripetono incessantemente questa offerta di lode s’inseriscono nella dossologia eterna e a loro volta vengono glorificati e “assimilati all’essenza di Dio”.

Nell’iconografia tradizionale, si diceva, gli Angeli sono raffigurati come militari, ma non solo: sopra la tunica infatti indossano il cosiddetto “Orarion”. cioè la stola diaconale, consistente in una lunga fascia ornata di sette croci appuntata sulla spalla sinistra, mentre quella anteriore viene tenuta, ora con tre dita alla mano destra, ora appoggiata sulla spalla destra, a seconda del momento liturgico. Gli Angeli, dunque, sono equiparati al diacono nella liturgia celeste, o meglio, il diacono, nella liturgia visibile della Chiesa svolge i compiti che assolvono gli Angeli nella liturgia perenne e in tutta l’economia della salvezza e della dossologia eterna.

Duplice, dunque, è l’attività della natura angelica: difesa e custodia del popolo di Dio e nello stesso tempo ufficio diaconale; assistenza e aiuto agli ordini gerarchici inferiori e servizio liturgico nella dossologia trinitaria.

 

L’angelo e il monaco: il senso dei termini utilizzati

Nelle stesse fonti monastiche viene ribadito il legame tra angelo e monaco, ma la traccia interpretativa da seguire, a nostro avviso, è questa, come abbiamo cercato di dimostrare. Come l’angelo anche il monaco trascorre il tempo nella lode ininterrotta, offrendo a Dio l’incenso spirituale delle sue preghiere; trascurando o limitando i bisogni naturali (cibo, sonno, vestito, sicurezza economica) il monaco assomiglia alle nature incorporee, del tutto libere dai condizionamenti fisiologici e dagli appetiti sensibili. La stessa castità, osservata e custodita dal monaco lo colloca senza dubbio in una condizione di notevole somiglianza con gli angeli incorporei, ma questo è solo uno degli elementi, non l’unico. Come l’angelo il monaco protegge con le sue preghiere quanti vi si affidano; e si potrebbe continuare a elencare tratti di somiglianza.

Nel tropario[51] dedicato a un santo monaco troviamo qualche spunto interessante:

 

Abitatore del deserto, angelo quanto al corpo, ti sei rivelato taumaturgo santo padre Teoforo… (N.); conquistando con il digiuno, la veglia, la preghiera i carismi celesti, guarisci i malati e le anime di coloro che con fede ricorrono a te. Gloria a Colui che ti ha conferito la forza; gloria a Colui che ti ha incoronato; gloria a Colui che, per mezzo tuo, opera la guarigione di tutti[52].

 

Scopo di quest’incessante lotta che è l’ascesi non è dunque semplicemente il raggiungimento di una virtù, come se si trattasse di una condizione statica; nel farsi imitatore degli angeli quanto al corpo, abitatore del deserto, digiunatore, vegliante, orante incessante, il monaco che indirizza i suoi sforzi nella via rivelata da Dio ai Padri, si pone nella condizione di ricevere i carismi divini; non certo allo scopo di strabiliare le folle, quanto piuttosto perché Dio possa salvare e guarire attraverso di lui. La virtù e l’ascesi sono dei semplici mezzi, dei pedagoghi che preparano il terreno all’azione trasfigurante delle energie increate. La stessa vita monastica non è altro che un mezzo, universalmente riconosciuto alquanto efficace, non un fine.

Per completare l’analisi è necessaria un’ultima osservazione sull’aggettivo ryparós, usato dal Climaco nel definire il corpo materiale. Ryparós che possiamo tradurre con: impuro è un termine sul quale si potrebbe discutere a lungo. Quali sono l’accezione e la sfumatura da attribuirgli, quelle dategli dall’Autore? In quale contesto culturale collocarlo? È evidente che, secondo la cultura neo-platonica ed ellenistica in genere un corpo materiale non può che essere impuro ontologicamente, come si è già detto. Se invece ci spostiamo in area biblico-semitica, allora la corporeità non ha in sé alcunché di ontologicamente negativo, e l’impurità è sempre legata ad una situazione morale di peccato. Nel bacino mediterraneo del tardo-antico questi due mondi si erano proficuamente incontrati già da diversi secoli; il massimo centro culturale in cui ebbe luogo questo incontro era Alessandria d’Egitto, del resto non lontana dal Sinai, nonché sede patriarcale sotto la cui diretta giurisdizione è ancor oggi il Sinai. D’altra parte il fondo innografico ed eucologico più antico della tradizione bizantina, comune, in parte, come abbiamo visto, alla tradizione copto-etiopica, fa uso abbondante di questo termine quando si vuole definire la condizione del peccatore davanti a Dio. L’uomo compare impuro al cospetto di Dio e dei suoi Angeli non perché corporeo, ma perché peccatore o almeno connivente con i vizi e le passioni. E lo scenario della grande visione di Isaia, al capitolo sesto del suo libro: Dio, seduto sul suo trono, Serafini, Cherubini e tutti gli ordini angelici in adorazione e al profeta vengono meno le forze:

 

“E dissi: Ahimè! io sono perduto perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”[53].

 

Tra i libri canonici della Bibbia dei Settanta, che non figurano nella Vulgata compare un brevissimo testo intitolato: Ευχή του Μανασσή Βασιλέως της Ιουδαίας [Euchè tou Manasse Basileos tes Ioudaias][54]. Secondo la Bibbia, Manasse regnò in Giudea cinquantacinque anni reintroducendo i culti pagani e il sincretismo religioso, nonché riti orgiastici, sacrifici umani e arti magiche, ma, dopo essere stato sconfitto dagli Assiri e deportato a Babilonia, “ridotto in tale miseria egli placò il volto del Signore suo Dio e si umiliò molto di fronte al Dio dei suoi padri”[55], fu rimesso in libertà e poté tornare a Gerusalemme. “Le altre gesta di Manasse, la sua preghiera a Dio … ecco, sono descritte nelle gesta dei re d’Israele”[56]. Questa preghiera, che costituisce un libro a sé nella Settanta, ha trovato una sua collocazione liturgica nell’ufficiatura bizantina durante il Méga Apodipnon[57] che si recita da lunedì a venerdì durante la Grande Quaresima che precede la Pasqua, a conclusione della giornata. Nello stesso tempo, con il suo respiro cosmico, con il suo forte accento penitenziale, con i suoi profondi sentimenti di contrizione e di compunzione ha fornito l’ispirazione e il canovaccio a numerose altre preghiere cristiane a partire dall’età apostolica. In realtà essa è a sua volta densa di citazioni dal Salterio e ricca di assonanze con altre grandi preghiere bibliche, rabbiniche e sinagogali e doveva essere conosciutissima sia in ambienti giudeo-ellenistici, sia in quelli giudeo-cristiani. In essa il termine in questione ryparós, non compare, ma si esprimono alcuni concetti piuttosto illuminanti; forniamo solo una minima parte del testo, per ovvie ragioni di spazio:

 

… Tu, infatti, Signore delle Potenze, non hai stabilito la penitenza per i giusti, per Abramo, Isacco, Giacobbe, che non hanno mai peccato contro di Te, ma hai stabilito la penitenza per me peccatore, perché ho commesso peccati senza numero come la sabbia del mare. Le mie colpe si sono moltiplicate. Signore, le mie colpe si sono moltiplicate e io non son degno di alzare gli occhi e guardare verso l’alto dei cieli a causa delle mie innumerevoli colpe, piegato sotto il peso di una onerosa catena di ferro, incapace di alzare la testa a causa dei miei peccati e non c’è per me sollievo...[58]

 

Come risulta dal testo, ciò che impedisce all’uomo di “guardare verso l’alto dei cieli”, ciò che lo rende “indegno di alzare gli occhi” verso Dio, sia realmente, sia metaforicamente, non è la corporeità, ma il peccato e il peccato, in questa ottica, non è una filosofica assenza di bene (in fondo è quello che sosteneva Plotino), ma una trasgressione, e anche qui bisogna puntualizzare: trasgressione non di una legge, ma di un’alleanza. Nella mentalità giudeo-semitica l’uomo pecca quando trasgredisce l’alleanza stipulata con Dio. L’effetto di questa violazione è la schiavitù morale (idolatria, paganesimo, empietà) in primo luogo; non di rado anche materiale. Secondo questa concezione tipica del mondo giudaico, non c’è situazione intermedia; al di fuori dell’alleanza con il Dio dei Padri c’è la schiavitù del peccato e la schiavitù politica. Si legga a questo proposito il libro del Deuteronomio, che conclude il Pentateuco[59], e che viene giustamente considerato il riassunto di tutta l’alleanza tra (Jahwé) e il suo popolo. È ovvio che, se in un primo tempo il significato di questa alleanza poteva essere più materiale e politico, col passare del tempo, cessate le speranze e le velleità politiche del regno di Giuda, le scuole rabbiniche ne avevano sottolineato l’aspetto morale e personale; il regno di Dio non poteva identificarsi con il regno di Giuda, anche se per un po’ di tempo poteva essere sembrato: doveva essere, dunque, una dimensione morale e spirituale accessibile attraverso l’osservanza del patto sacrosanto stipulato sul Monte Sinai. Per i Giudei della diaspora, per lo più di lingua greca e per questo denominati “ellenisti” senz’altro fu più facile questo passaggio a un’interpretazione più spirituale. Comunque le attese messianiche, come ben sappiamo, in tutta la Palestina e la Giudea erano vivissime ai tempi della nascita del cristianesimo.

Troviamo un interessante uso di ryparós, invece, nella “Preghiera di Basilio il Grande” prevista all’ora di Mezzanotte nell’Orologion bizantino, ma solo limitatamente al periodo che va dal 22 Settembre fino alla domenica delle Palme[60]: è il periodo in cui la notte è più lunga del giorno e quindi è previsto un prolungamento per le ufficiature notturne. Ecco il passaggio che ci interessa:

 

Re immortale, accogli le nostre preghiere che Ti presentiamo in quest’ora della notte, anche se con labbra impure, confidando nella grandezza della Tua misericordia e rimettici i peccati commessi in azioni, parole, pensieri, consapevolmente o inavvertitamente e purificaci da ogni macchia della carne e dello spirito, rendendoci Templi dello Spirito Santo...[61].

 

“Anche se con labbra impure...” pare una citazione di Isaia al capitolo 6 della sua profezia (“… un uomo dalle labbra impure io sono...”) ma il testo ci dice qualche cosa di molto interessante poco più sotto: “… purificaci da ogni macchia della carne e dello spirito...”.

Nella cultura greco-romana lo spirito, l’anima è l’elemento nobile, divino dell’uomo, l’impurità è piuttosto qualcosa che riguarda la greve materialità del corpo. Secondo Platone il corpo è carcere dell’anima: per Aristotele è materia inerte e passiva solo accidentalmente differenziata; per Epicuro esso è un aggregato casuale di atomi, destinato a dissolversi, come del resto l’anima stessa è un composto di atomi sottilissimi e tenui; secondo gli Stoici il Lógos è eterno e divino, il corpo è fonte di vizi e di passioni impure: per Plotino l’anima è divina, il corpo un semplice simulacro terreo e insignificante, privo di positività. Questa preghiera attribuita a Basilio Magno, in perfetta sintonia con la tradizione giudaica prima, giudeo-cristiana e apostolica poi, parla di una impurità possibile tanto alla carne, quanto allo spirito e non può trattarsi d’altro, se non di un’impurità morale; secondo questa concezione non esistono impurità ontologiche di alcun genere; tanto l’anima, quanto il corpo rischiano di cadere nella impurità morale e cioè nel peccato. La purificazione del peccato è invocata come indispensabile premessa al dono dello Spirito santo, che è, appunto, l’artefice della divinizzazione sia per il corpo, sia per l’anima.

In questo testo, come in numerosi altri, il valore del termine ryparós è del tutto morale e non ontologico. Di nuovo, ad esempio, troviamo questo uso di ryparós nella “Preghiera alla Santissima Madre di Dio, di Paolo, Monaco del Monastero dell’Evergete”, là dove si dice:

 

Ma Tu, quale Madre del Dio amante degli uomini, intenerisciti e sii compassionevole per me peccatore. abbandonato al vizio e ricevi la preghiera che ti offro, anche da labbra impure;[62]

 

ed è nuovamente una citazione o quasi da Isaia 6,5. I testi citati in merito ci paiono sufficienti a dimostrare nel patrimonio innografico ed eucologico, nonché teologico della Chiesa ortodossa la prevalenza del filone di pensiero che è in continuità con il mondo biblico-giudaico. L’affermazione di Giovanni Climaco:

“Monaco è colui che, sebbene in corpo materiale e impuro, raggiunge in sorte di far parte dell’ordine degli Incorporei e di condividerne la condizione”[63], presa così come suona, può oggettivamente, per assonanza condurci agli ambienti filosofici pagani non molto più in voga ai tempi di Climaco, è vero, ma dal peso culturale non del tutto irrilevante. Non ci sentiamo, pertanto, di affermare drasticamente che non siano stati possibili legami o influssi, anche solo indiretti, con quel tipo di cultura. Personalmente siamo più inclini a ritenere che il Climaco, come ogni monaco che si rispetti, si applicasse con assiduità alla lettura della Bibbia e che dunque gli fossero molto familiari sia le grandi preghiere penitenziali bibliche, tra le quali un posto di spicco ha la Preghiera di Manasse, re di Giuda, sia, ovviamente, le preghiere di Basilio il Grande e l’innografia bizantina, già abbastanza sviluppata nel suo periodo. Altri indizi, senza dubbio, ci verranno dalla lettura completa della Scala.  


Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/monachos.htm

 

[1] Contemplativa, teologica dal verbo greco: θεωρώ [theorò] = contemplare.

[2] Pari agli angeli.

[3] Malak.

[4] Dan 4,10.

[5] Trattasi di un testo antichissimo, sostanzialmente invariato, se non in minima parte, fin dal V secolo.

[6] Termine tecnico del vocabolario liturgico: l’invitatorio è o un inno o un salmo o più salmi rivolti ai partecipanti alla funzione, allo scopo di esortarli a partecipare con alacrità, attenzione e compunzione al servizio liturgico che seguirà.

[7] I cristiani secondo Lc 16,8.

[8] Le potenze incorporee, gli angeli.

[9] A cura di V. Lantshoot, Horologium Aethiopicum iuxta recensionem Alexandrinam-Coptam, Typis Vaticanis, 1941.

[10] Gli Arcangeli o come dice la tradizione bizantina: gli Archistrateghi.

[11] Si tratta di vari ordini di creature angeliche.

[12] Ibidem.

[13] Ordini.

[14] Κύριος Σαβαώθ, Κύριος των Δυνάμεων [Kyrios Sabaot, Kyrios ton Dynameon].

[15] Sono questi, appunto, i nove Τάγματα των Αγγέλων [Tagmata ton Aggelon].

[16] Ibidem.

[17] Ekklesia, in greco: convocazione; era il nome che si attribuivano le comunità ebraiche di lingua greca: quando il cristianesimo cominciò a diffondersi, per un certo tempo il nome fu condiviso tanto dalle comunità di osservanza mosaica, quanto da quelle cristiane, ma subito queste ultime cominciarono a raccogliere masse di proseliti fra i pagani, le genti; queste nuove comunità cristiane presero il nome di Εκκλησία των εθνών [Ekklesia ton ethnon], Ecclesia gentium, Chiesa delle genti, contrapposta alla Εκκλησία των Ιουδαίων [Ekklesia ton Ioudaion]. Forse nel testo citato, che si presume piuttosto antico vi si può trovare una traccia di polemica contro la sinagoga, nel senso che la Chiesa rivendicherebbe a sé sia la somiglianza con l’adunanza degli Angeli al cospetto del Κύριος Σαβαώθ [Kyrios Sabaot], sia il posto che la sinagoga occupava spiritualmente alla corte celeste.

[18] Sl. 135.

[19] Ibidem.

[20] Corrisponde all’Apodipnon dell’Orologhion bizantino e alla Compieta latina.

[21] Termine tecnico dell’innografia copta e orientale in genere: trattasi di una breve composizione poetica di lode e di supplica: molto spesso i Τροπάρια [Tropari] racchiudono una ricchezza e una creatività artistica notevole sia per ciò che riguarda il testo, sia per ciò che riguarda la musica. Nell’ufficiatura bizantina i tropari hanno nomi diversi a seconda della loro collocazione: Στοιχιρά [Stichirà], se inframmezzati ai versetti dalla salmodia del Lucernario o delle Lodi; Δοξαστικά [Doxasticà], se intercalati dopo il primo versetto del “Gloria al Padre...”; Απόστοιχα [Apòsticha], se intercalati ai versetti del Salmo 122 a Vespro o dopo la Grande Dossologia o Mattutino; Απολυτίκια [Apolytikia], se cantati al termine del Servizio liturgico. Si chiamano invece Θεοτοκία [Theotokia] quei tropari rivolti alla Θεοτόκος [Theotokos], la Genitrice di Dio. Com’è noto l’innografia in Oriente risentì degli accesi dibattiti teologici e seguì, commentando e approfondendo e volgarizzando per le masse, lo sviluppo della dogmatica dei grandi concili ecumenici; era un metodo molto in voga, a quei tempi, per diffondere le idee e proclamare i dogmi tanto che si sviluppò un’innografìa ortodossa ed una eterodossa; scopo principale di questi componimenti è la celebrazione del mistero divino, il culto, la professione di fede, l’approfondimento dogmatico e costituiscono una vera e propria catechesi in versi e musica, di notevole valore letterario e artistico; la massa dei fedeli può, in questo modo semplice e attraente penetrare intellettualmente, artisticamente e spiritualmente nel dogma, il quale, altrimenti, rischierebbe di rimanere di dominio esclusivo delle scuole teologiche.

[22] Anche qui si può supporre un intento polemico contro i cosiddetti pnematomachoi, coloro, cioè, che negavano la consostanzialità al Padre e al Figlio dello Spirito Santo.

[23] Ibidem.

[24] Melchita, dalla radice semitica “melk”, melek in ebraico, melk in aramaico, malk in arabo = re; furono designati con questo nome quei cristiani che accettarono il Concilio di Calcedonia, nel quale aveva prevalso la dottrina e l’importanza di Costantinopoli, “nuova Roma”, sede dell’Imperatore e del senato e quindi professavano la fede del “melk”, l’imperatore, appunto.

[25] [Orologion to Mega] Grande Libro delle Ore.

[26] [Méga Apódipnon] Grande Compieta.

[27] Inno Trisagio: tre volte santo – l’inno con cui le armate celesti proclamano l’inconcepibile e l’ incommensurabile santità e trascendenza di Dio: “Santo, santo, santo è il Signore Sabaoth. Tutta la terra è piena della sua gloria” (Isaia 6,3).

[28] Ancora più esplicita l’affermazione antiariana.

[29] Isotienon Pneyma, dice il testo greco: quindi è un onore, o meglio, una venerazione attribuita a Dio e ai suoi tremendi misteri, come la Croce = Ύψωσις του Τιμίου και Ζωοποιού Σταυρού [Ypsosis Tou Timiou kai Zoopoiou Stavrou] e la Risurrezione.

[30] Orologion to Mega, Ediz. Ogdai Atene, 1992, pg. 168.

[31] Isaia, 6, 1-55.

[32] Orologion to Mega, pg. 256, Apolytikion.

[33] Ibidem, Kontakion. [N.B. Il Κοντάκιον [Kontakion] non è un tropario, ma un genere poetico e innografico anteriore e più arcaico, rapidamente soppiantato e sostituito dal cosiddetto “Canone”, il quale non è altro che una raccolta di tropari anticamente intercalati a nove odi bibliche, che costituiscono il corpo centrale dell’ufficiatura del Mattutino: i Kontakia ci sono giunti per lo più inframmezzati e nell’uso liturgico sono sopravvissute solo le strofe iniziali con qualche eccezione notevole: il celebre inno Ακάθιστος εις την Υπεραγίαν Θεοτόκον [Akathistos eis ten Yperagian Theotokon], attribuito a Romano il Melode, o al Patriarca Sergio di Costantinopoli ne è uno splendido esempio. Vedi Orologion to Mega, pg. 553 e segg.]

[34] La Chiesa d’Oriente celebra quattro Quaresime: quella di Natale, dal 15 novembre al 24 dicembre, quella degli apostoli, dal lunedì dopo la domenica di Tutti i Santi fino al 28 giugno; quella della Genitrice di Dio, dal 1 al 14 agosto e la Grande Quaresima che inizia quaranta giorni prima di Pasqua.

[35] La musica Occidentale, classica o moderna che sia, conosce solo due toni, il maggiore e il minore; il canto bizantino ne ha otto, ognuno con la sua scala.

[36] Ibidem, pg. 53.

[37] Esplicito riferimento alla confessione di fede calcedoniana.

[38] Ibidem, pgg. 53-55.

[39] Autore ignoto di epoca difficilmente databile, probabilmente tra IV e VI secolo, che diffuse le sue opere attribuendole a Dionigi, membro dell’Areopago di Atene che divenne discepolo dell’apostolo Paolo, cfr. Atti 17, 34.

[40] Ibidem, pg. 53.

[41] Cfr. Gerarchia Celeste.

[42] Intelletto.

[43] Forma, idea, sostanza.

[44] Monarchia del Padre: le altre due ipostasi sono sue creature.

[45] Un’unica divina sostanza, con tre modi di manifestarsi.

[46] L’interpolazione del filioque (lo Spirito Santo... procede dal Padre e dal Figlio...) originariamente era una semplice innovazione liturgica concepita e introdotta a scopo anti-ariano limitatamente nella penisola iberica. Nel corso dei secoli prese ad assumere contenuti eterodossi, soprattutto quando sotto il regno di Carlo Magno, un sinodo franco-tedesco, tenutosi ad Aquisgrana nell’809 lo impose al resto dell’Occidente. Essendo cessato il pericolo ariano i vescovi carolingi ricorsero per la prima volta alla dottrina eterodossa secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come un’unica fonte e quindi non solo, attraverso il figlio, come insegnarono i padri della Chiesa, commentando il Vangelo di Giovanni: “…lo spirito di verità che procede dal Padre” (Gv 15, 26), ma “immediate” (e cioè direttamente) dal Figlio. Questa novità dottrinale, in contrasto evidente con i testi biblici e il pensiero patristico (Cfr. Basilio Magno, Epistola 38 Al fratello Gregorio PG 32, 329; Gregorio Nazianzeno, PG 35, 1220, Gregorio di Nissa, PG 45, 336; Cirillo di Alessandria, PG 76, 553, 556; Massimo il Confessore, PG 91; Giovanni Damasceno, De fide Orthodoxa, Libro I, 12, PG 94; Agostino, De Trinitate V 14-15; PL 42, 921; Gerolamo, In epistula ad Galathes II, cap. IV) fu abbozzata per la prima volta in un ambiente e in un periodo non scevro di ostilità tra Occidente e Oriente. La stessa Chiesa di Roma inizialmente tentò di opporsi al sinodo di Aquisgrana, ma alla fine vi si adattò, non senza riserve. Precedentemente Leone condannò come eresia il “Filioque” e, per sancire pubblicamente il ritorno alla formula originaria del Credo, fece appendere due scudi di bronzo all’ingresso della basilica di San Pietro; su uno scudo era inciso il testo del Credo in greco, nell’altro il testo latino originario, perfettamente identico a quello greco, senza filioque. La didascalia recitava così: Haec Leo posui amore et custodia ortodoxae fidei (Io, Leone, ho fatto porre queste cose per amore e difesa della fede ortodossa). [Liber Pontificalis III]. La restaurazione dell’ortogrografia (e dell’ortodossia romana) soccombette nuovamente alla rinascita della potenza germanica, sancita dal Privilegium Othonis, grazie al quale l’imperatore del Sacro romano impero germanico si assicurava il controllo dell’elezione del papa. Nel 1012 si ebbe il ritorno definitivo all’uso del filioque, questa volta con una decisione unilaterale della sede romana. Com’è facile intuire, la cosa risultò assai sgradita alla Chiesa d’Oriente, soprattutto filioque dal credo e di aver permesso al clero di sposarsi (1054). Con le successive affermazioni di infallibilità della Chiesa romana, contenute nel Dictatus Gregorii papae (1072) la svolta fu definitiva: quella teoria fino ad allora appena abbozzata nel sinodo franco-carolingio dell’809 conobbe uno sviluppo notevole soprattutto nel nuovo sistema teologico-filosofico elaborato in Occidente, assai più rispondente al nuovo assetto gerarchico, disciplinare e politico maturato e compiutosi tra l’VIII e il XII secolo, che vedeva sempre più emergere il papato, assurto ad un ruolo egemonico, non solo come monarchia territoriale, ma anche come unico vertice della Chiesa sotto tutti gli aspetti, liturgico, disciplinare, dogmatico. I nuovi sistemi teologici occidentali del tardo medioevo erano completamente improntati al Dictatus Gregorii Papae e alla serie dei cosiddetti sinodi di riforma che si terranno a più riprese, nei quali verrà ridisegnato il ruolo del papato in chiave sempre più monarchica. Fu gioco forza che la questione del filioque assumesse valenze sempre più polemiche, sempre più politiche. Le nuove istituzioni (ordini religiosi, cardinalato, sacra inquisizione, ecc.), i nuovi dogmi, il nuovo assetto ecclesiastico occidentale sono il risultato delle scelte politiche e dottrinali dei vescovi di Roma, nel periodo a cavallo tra i due millenni, compendiate per la prima volta, come si è detto, nel Dictatus Gregorii Papae (1072).

[47] Gli ortodossi però non parlano di sette sacramenti, ma di mystiria, di misteri che sono in numero indefinito.

[48] Op. cit. g. 3 – cfr. pg. 3.

[49] Sacramenti.

[50] Ibidem, pg. 1.

[51] Composizione liturgica impostata ritmicamente e di metro variabile, elemento portante dell’innografia bizantina. Il tropario può assumere appellativi diversi a secondo del contenuto: αναστάσιμος [anastasimos] – della resurrezione; σταυροαναστάσιμος [stavro-anastasimos] – della croce e della resurrezione; θεοτοκίον [theotokion] – della Genitrice di Dio, απολυτίκιον [apolitikion] – o tropario di congedo.

[52] Orologion to Mega, pg. 224.

[53] Isaia, 6,5.

[54] Preghiera di Manasse, Re di Giuda.

[55] 2 Cron, 33, 12.

[56] Ibidem, v. 18.

[57] Grande Compieta.

[58] Orologion to Mega, pg. 176.

[59] I primi cinque libri della Bibbia.

[60] La domenica che precede la Pasqua.

[61] Orologion to Mega, pg. 23.

[62] Ibidem, pg. 196.

[63] Scala 1,5; PG 88, col. 633.

 

(p. Iossif Restagno)

 

 

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