COME COMINCIA LA VITA CRISTIANA NEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA[1]

 

di Teofane il Recluso

 

 

 

            L’inizio della vita cristiana secondo la grazia ha luogo nel sacramento del Battesimo. Ma rare sono quelle persone che conservano questa grazia; la maggior parte dei Cristiani la perde. Vediamo che gli uni risultano nella vita reale più o meno corrotti, in preda a principi non buoni, che essi lasciano svilupparsi e radicarsi. Altre persone, può darsi, ricevettero buoni principi nei primi anni della giovinezza, ma, per una propensione personale o perché traviati da altri, li dimenticano, cominciano ad assuefarsi al male e si abituano ad esso. Tutti costoro non hanno ormai in sé una vita veramente cristiana, debbono, cioè, ricominciarla dall’inizio. La fede propone a tal scopo il sacramento della penitenza. “Se cadiamo nel peccato, possiamo contare sull’intercessore presso il Padre, Gesù il Giusto[2]. Se hai peccato, riconosci la tua colpa e pentiti. Dio ha perdonato il peccato e darà a te “un cuore nuovo ed uno spirito nuovo[3]. Non c’è altra via: o non peccare o pentirti. Anzi, giudicando in base al gran numero di coloro che cadono dopo il Battesimo, bisogna dire che la penitenza è per noi l’unica fonte di una vita veramente cristiana. Si deve sapere che nel sacramento della penitenza in alcuni si purifica solo e si riscalda il dono della vita secondo la grazia, che già da loro era stata ricevuta ed in essi operava. In altri invece si pone solo il principio di questa vita, oppure questa vita viene data ed è accolta di nuovo. Noi considereremo la penitenza solo da questo punto di vista. In questo secondo caso, la penitenza è un cambiamento decisivo in meglio, un mutamento brusco della volontà, l’allontanamento decisivo dal peccato e il rivolgersi a Dio accompagnato dalla rinuncia al proprio io. Più di tutto caratterizza questo stato d’animo il doloroso cambiamento della volontà. L’uomo è abituato al male, per cui ora, per così dire, gli è necessario dilaniare se stesso. Egli ha offeso Dio: ora bisogna ardere sul fuoco di un tribunale non corruttibile. Colui che si pente prova i dolori della partoriente e nei sentimenti del cuore in certo qual modo si avvicina alle sofferenze infernali. A Geremia, che piangeva, il Signore comandò di “distruggere”, di “riedificare” e di “piantare[4]. E lo spirito doloroso della penitenza è inviato dal Signore sulla terra, affinché, attraversando coloro che lo accolgono sino al punto di dividere l’animo e lo spirito, le membra dal cervello[5], distrugga l’uomo vecchio e ponga le fondamenta per l’edificazione di quello nuovo. In colui che si pente si alternano la paura ed una lieve speranza, il dolore ed un leggero conforto, il terrore sino alla disperazione ed il soffio della consolazione frutto della misericordia. Questi sentimenti lo mantengono nella condizione di chi si decompone o si allontana dalla vita nell’attesa, tuttavia, di riceverne un’altra.

            Questa condizione dolorosa, ma apportatrice di salvezza, è a tal punto inevitabile che chi non ha provato questo mutamento doloroso, non ha cominciato a vivere nella penitenza. E non c’è speranza che l’uomo possa e si accinga a purificarsi in tutto, se non è passato attraverso questo crogiuolo. L’opposizione decisa e viva al peccato si ha solo grazie all’odio per esso; l’odio proviene dal sentimento del male che da esso promana; il sentimento del male si prova in tutta la sua forza in questo doloroso mutamento che è proprio della penitenza. Solo allora con tutto il cuore si sente quanto grande male sia il peccato, per cui si fuggirà da esso come dal fuoco della Geenna. Senza questa dolorosa esperienza, sebbene uno cerchi di purificarsi, si tratterà sempre di una purificazione superficiale, più esteriore che interiore, più nelle opere che nella disposizione dell’animo. Perciò il cuore resterà sempre impuro, come un minerale non fuso. Questo mutamento avviene nell’uomo per opera della grazia divina. Solo essa può entusiasmare l’uomo al punto di levare la mano contro se stesso per immolarsi ed offrirsi a Dio quale vittima.

Nessuno può avvicinarsi a me con fede, se non l’attira il Padre mio che mi ha mandato[6]. Un nuovo cuore ed uno spirito nuovo dà solo Dio[7]. L’uomo stesso ha pietà di sé. Fusosi con la carne ed in peccato, egli è diventato una cosa sola con essi. Dividerlo da essi ed armarlo contro di sé può solo una forza estranea e superiore. Così la grazia produce il mutamento dell’uomo, tuttavia solo in seguito al suo libero desiderio. Nel Battesimo la grazia ci è data nel momento in cui il sacramento ci viene amministrato; la libera decisione subentra in un tempo successivo e fa proprio ciò che è dato. Nella penitenza il libero desiderio deve essere presente nello stesso atto del mutamento. Il mutamento nel meglio, la conversione a Dio deve essere, per così dire, istantanea, come di fatti lo è. Ma precedentemente passa attraverso alcune fasi che manifestano l’unione della libertà con la grazia. In esse la grazia assume il sopravvento sulla libertà e quest’ultima si sottopone alla grazia. Sono fasi necessarie in ognuno di noi. Alcuni attraversano queste fasi velocemente, in altri esse durano interi anni. Chi può indagare tutto ciò che accade nell’animo tanto più che i modi in cui opera la grazia in noi sono molto diversi? E numerosissime sono le condizioni delle persone nelle quali essa comincia ad operare. Tuttavia bisogna ritenere che pur nella varietà dei casi, c’è un processo comune nel mutamento, che nessuno può evitare. Chi pecca è uno che vive nel peccato e quanti si trovano in questa condizione sono trasformati dalla grazia. Perciò, fondandosi su quella che è in genere la concezione del peccatore e sul rapporto della libertà nei confronti della grazia, possiamo ora esporre questo processo e determinarlo con regole.

 


Le condizioni del peccatore

 

La parola di Dio nella maggior parte dei casi rappresenta il peccatore, dinanzi al quale sta la necessità di rinnovarsi nella penitenza, immerso in un profondo sonno. Caratteristica comune di siffatte persone non è sempre la depravazione aperta, ma piuttosto l’assenza di quello zelo entusiasmante e pieno di spirito di sacrificio per il desiderio di accontentare Dio, accompagnato dal rifiuto deciso nei riguardi di tutto ciò che è peccaminoso. La pietà religiosa, cioè, non costituisce in loro il principale oggetto di preoccupazione e di fatiche, per cui essi, pur occupandosi di molte altre cose, sono indifferenti nei riguardi della loro salvezza e non si rendono conto in quale pericolo si trovano, non si curano di una vita onesta e trascorrono un’esistenza fredda nei confronti della fede, sebbene alle volte corretta ed irreprensibile esteriormente. Questa è una caratteristica generale. In particolare ecco come si manifesta chi è privo della grazia:

 

Allontanandosi da Dio, l’uomo si ferma su se stesso e pone se stesso come fine principale di tutta la sua vita e della sua attività. Questo perché non c’è nulla per lui che sia più elevato di se stesso e particolarmente perché, avendo ricevuto da Dio ogni perfezione ed essendo ora privo di Lui, s’affretta e si affatica cercando come ed in qual modo soddisfare se stesso. Il vuoto, che si è formato in lui in seguito all’allontanamento da Dio provoca incessantemente nel suo intimo una sete indefinita che non conosce alcuna fine né soddisfazione. L’uomo si è ridotto ad un abisso senza fondo; con tutte le forze si affanna a colmarlo, ma non vede né sente la possibilità di farlo. Perciò trascorre la sua vita nel sudore, nella fatica ed in gravi preoccupazioni. Si occupa di varie cose nelle quali spera di trovare un conforto alla sete che lo tormenta. Queste occupazioni consumano tutta la sua attenzione, tutto il suo tempo e tutta la sua attività. Esse costituiscono il primo bene in cui egli vive con il suo cuore. Da ciò si comprende la ragione per cui l’uomo, che pone solo se stesso quale fine, mai non è in se stesso, ma sempre fuori di sé, nelle cose fatte o inventate dalla vanità. S’è allontanato da Dio, che è la pienezza di tutto; egli stesso è vuoto. Non gli resta che uscire da se stesso per vivere in queste cose varie per natura. In tal modo il peccatore ha sete, si affatica invano intorno a cose fuori di sé e di Dio, che sono numerose e varie. Perciò la caratteristica della vita trascorsa nel peccato è, oltre il disinteresse per la salvezza, la preoccupazione per molte cose[8].

Le sfumature e le differenze di questa preoccupazione per molte cose dipendono dalle caratteristiche della vanità formatasi nell’anima. La vanità dell’intelletto, che ha dimenticato l’Unico il quale è tutto, genera la preoccupazione di sapere molto, il desiderio di informarsi, la curiosità. La vacuità della volontà, che s’è privata del dominio dell’Unico che è tutto, provoca il sorgere di molti desideri, la tendenza a dominare su molte cose o su tutte, affinché tutto sia nella nostra volontà, nelle nostre mani. Questo è il desiderio di possedere. Il vuoto nel cuore, che s’è privato del conforto dell’Unico che è tutto, diventa assetato di molti e vani piaceri oppure cerca quegli innumerevoli oggetti nei quali ci aspettiamo di trovare il piacere dei nostri sensi interni ed esterni. Così il peccatore è continuamente preso dal desiderio di estendere le sue conoscenze, di possedere di più, di godere di più, si diletta, aumenta i suoi possessi, è curiosa. È questo un circolo chiuso nel quale si aggira per tutta la sua vita. La curiosità lo attira, il cuore spera di gustare i piaceri ed attira la volontà. Che cosa sia ciò, ognuno lo può constatare volgendo la sua attenzione ai moti della propria anima nel corso di una sola giornata.

In questo circolo chiuso rimarrebbe il peccatore se lo si lasciasse solo: tale è la nostra natura quand’è schiava del peccato. Ma questo circolo chiuso si ingrandisce infinitamente e si complica poiché il peccatore non è solo. C’è una quantità infinita di persone che fanno la stessa cosa, curiosano, si dilettano, acquistano, le quali, entro quest’ambito, hanno ridotto ad un determinato ordine tutti questi modi di agire, li hanno sottoposti a leggi, ridotto alla costrizione quanti appartengono al loro ambiente e che, per una reciproca alleanza, venendo inevitabilmente a contatto tra loro, consumano l’un altro ed in tal modo crescono dieci, cento e mille volte la curiosità, il desiderio di possedere e la propria intima soddisfazione ed in questa eccitazione ripongono tutta la loro felicità, beatitudine e ragione di vita. Stando legato a tutto questo mondo, ogni peccatore si avvolge nella sua complessa rete, si avviluppa in essa profondamente tanto che non è più possibile vederlo. L’espressione provocata da un peso difficile a sostenere si manifesta sul volto del peccatore, che ama il mondo, e su ogni sua parte, al punto che non ha neppure la forza di muoversi, sia pur poco, fuori dei principi di questo mondo, poiché in tal caso a lui sarebbe necessario sollevare, per così dire, un peso enorme. Perciò nessuno si accinge ad uno sforzo simile, che non è secondo le sue forze, e nessuno neppure lo pensa, ma tutti vivono muovendosi su quella carreggiata nella quale sono finiti.

Ad aggravare la situazione, questo mondo ha il suo principe che non ha pari nella sua malignità, malvagità e nell’esperienza dell’arte delle lusinghe. Attraverso la carne e la materialità, a cui s’è unita l’anima dopo la caduta, egli può liberamente accedere ad essa e, entrandovi, accende in varie parti la curiosità, l’avidità ed il piacere fondato sull’appagamento dei sensi. Con varie infatuazioni non permette all’anima che si discosti da quelle tendenze, con vari suggerimenti la spinge a far piani per soddisfarle e poi l’aiuta nella loro realizzazione o l’abbatte mostrandole altri progetti più attraenti e tutto con un fine, quello cioè di prolungare e di approfondire la permanenza in essi. Ciò costituisce anche l’alternarsi di insuccessi e di successi in questo mondo non benedetti da Dio. Questo principe ha un’intera schiera di servitori, di spiriti del male a lui sottomessi. In ogni momento essi si spostano per tutte le parti del mondo abitato, per seminare in un luogo un vizio, in un altro uno diverso, per rendere più difficile la liberazione di coloro che sono avvolti nelle reti del peccato, per rinnovare gli ostacoli che si sono indeboliti o si sono spezzati e particolarmente per osservare che nessuno pensi di liberarsi dai loro legami. In questo ultimo caso essi in fretta si raccolgono attorno a colui che osa ribellarsi, dapprima uno solo e poi a gruppi e legioni ed infine con tutta la loro schiera, ed inoltre con vari aspetti e modi per impedire ogni via d’uscita e riparare i fili e le reti e, per usare un’immagine, per gettare nell’abisso colui che ha cominciato a risalire l’erta. In questo regno degli spiriti ci sono luoghi particolari in cui si preparano i piani, si ricevono disposizioni e vengono presentate relazioni che ricevono l’approvazione o il rimprovero di quanti agiscono. Queste sono le “profondità di Satana”, per dirla con San Giovanni il Teologo. Sulla terra, in mezzo al loro regno tra gli uomini, tali sono le associazioni di criminali, di depravati e particolarmente quelle dei non credenti e sacrileghi, i quali con le opere, con la parola e con gli scritti diffondono dappertutto le tenebre del peccato e nascondono la luce di Dio. L’organo con cui esprimono la loro volontà ed autorità è l’insieme di costumi mondani, nutriti di elementi peccaminosi, che allontanano sempre dalla ragione e distraggono da Dio.

Ecco la struttura dell’autorità del peccato! Ogni peccatore è tutto in essa, ma è attratto da qualcosa di particolare. E ciò a prima vista, ed alle volte è veramente sopportabile ed addirittura degno di approvazione. Satana ha un’unica preoccupazione, cioè che l’impegno dell’uomo, la sua consapevolezza, la sua attenzione ed il suo cuore, siano rivolti non unicamente ed esclusivamente a Dio, ma a qualsiasi cosa al di fuori di Lui, di modo che, legatosi ad essa con l’intelletto, la volontà ed il cuore, essa sostituisca per lui Dio, da essa tragga piacere e se ne impadronisca. Né si tratta solo delle passioni della carne e dell’anima, ma anche di cose serie, quali ad esempio, l’erudizione, l’arte e la raffinatezza del tenore di vita, che possono alle volte essere le catene a cui Satana tiene legati i peccatori accecati non permettendo loro di rientrare in sé. Se si considera il peccatore e la sua condizione interiore, risulterà che egli spesso sa molto, ma è cieco riguardo alle opere di Dio ed alla sua salvezza e che, sebbene in preda a faccende e preoccupazioni, è inattivo ed indifferente nei confronti della sua salvezza. Egli, per quanto incessantemente il suo cuore sia in stato di angoscia o in preda al diletto, è completamente insensibile riguardo a tutto ciò che è spirituale. Di conseguenza tutte le energie dell’anima sono distrutte dal peccato e nel peccatore predominano la cecità, l’indifferenza e l’insensibilità. Egli non vede le proprie condizioni, non sente i pericoli della sua situazione; non si rende conto del proprio pericolo, per cui non si preoccupa di liberarsi da esso. Non gli viene neppure in mente che bisogna cambiare e salvarsi. Egli è profondamente ed incrollabilmente convinto di trovarsi nella condizione dovuta, di non aver nulla da desiderare e di dover rimanere così com’è. Perciò considera inutile ogni menzione di una vita diversa, non le presta attenzione ed addirittura non può comprendere che scopo abbia, si stupisce e fugge.

 


L’opera della Grazia Divina

 

S’è detto che il peccatore è come un uomo immerso in un profondo sonno. Poiché dorme profondamente, qualsiasi difficoltà gli si avvicini, non si sveglia da solo e non si alza se non gli si accosta qualcuno che lo svegli. Così anche colui che è immerso nel sonno del peccato non si accorge e non si leva se non viene in suo aiuto la grazia divina. Per l’infinita misericordia di Dio, essa è a disposizione di tutti, s’aggira tra noi e a ognuno ripete con voce chiara: “Svegliati, tu che dormi, sorgi dai morti e il Cristo ti illuminerà[9].

Questo paragone dei peccatori con coloro che dormono offre la possibilità per un completo esame del loro atteggiamento verso Dio. Cioè, colui che dorme si sveglia, si leva e si appresta ad andare al lavoro. Anche il peccatore che si è convertito e si è pentito, si sveglia dal sopore del peccato, giunge alla decisione di mutare vita (si leva) ed infine si riveste di energia per una nuova vita nel sacramento della Penitenza e dell’Eucaristia (è pronto ad agire). Nella parabola del Figlio prodigo queste fasi sono così indicate: “ritornato in sé” – riprende i sensi; “levatomi andrò” – ha deciso di lasciare la vita precedente; e “levatosi andò”. E così dice al padre: “ho peccato” – la penitenza, ed il padre lo riveste di vesti nuove (la giustificazione e l’assoluzione dei peccati) e gli prepara un banchetto (Eucaristia).

In tal modo, nel rivolgersi del peccatore a Dio ci sono tre fasi: 1. il risveglio dal sonno del peccato; 2. il levarsi fino alla decisione di lasciare il peccato e di consacrarsi al servizio di Dio; 3. il rivestimento dall’alto di un’energia per realizzare tutto ciò nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.

 

 

Tratto da “Put’ Ko Spaseniju”, Mosca 1908, pp. 74-80; trad. di A. S.

 


 

[1] Il termine “penitenza” è in questo testo adoperato più come sinonimo di “conversione” che di “riparazione”, conversione nel suo significato più strettamente letterale e squisitamente biblico, che ha nella metanoia appunto il cambiamento di mentalità, il passaggio dalla mentalità del peccato a quella della Grazia, dalla logica egoistica ed egocentrica del peccato che perde alla logica del Logos che salva offrendo se stesso (N.d.R.).

[2] 1 Giovanni 2, 1.

[3] Ezechiele 36, 26.

[4] Geremia 1, 10.

[5] Ebrei 4, 12.

[6] Giovanni 6, 44.

[7] Ezechiele 36, 26.

[8] Cfr. Luca 10, 45.

[9] Efesini 5, 14.

 

 

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