LA CHIESA E LA SUA UNITÀ COME LA VEDE LORTODOSSIA E IN RELAZIONE AL MOVIMENTO ECUMENICO

 

 

Oggi le persone esprimono molte idee riguardo alla Chiesa sulla base delle loro convinzioni, del loro vissuto e di ciò che le ha maggiormente colpite. Ma la Chiesa è definibile o esauribile nelle nostre idee o non riflette, piuttosto, un mistero ampio e profondo che attinge al mistero dello stesso Cristo[1]?

Scorrendo le pagine del Vangelo si nota come gli Apostoli hanno seguito Cristo non perché li ha colpiti un’idea ma perché sono stati toccati da un fatto. Nella loro vita è entrata una Persona che ha cambiato inaspettatamente i loro piani e i loro progetti. Ecco perché quando Natanaele esclama : “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” Filippo non gli risponde con una teoria o con un’idea. Gli risponde con l’argomentazione di chi è stato testimone di un fatto: “Vieni e vedi”[2]. Tutta la vita di Cristo è un susseguirsi di fatti al punto che i suoi insegnamenti sono posti tra un semeion e un altro. Il semeion (segno) è il miracolo dovuto a una Presenza che ferma e cambia lordine delle cose nella natura (la tempesta sul lago – Mc 4,37) e nelle persone (la malattia personale – Gv 5,7). Ma tutto ciò è preludio per molto più. La Trasfigurazione e la Resurrezione di Cristo, così incomprensibili all’uomo chiuso nella sua razionalità, rompono i limiti della natura avvilita dal peccato umano e mostrano cosa esiste dietro allo scenario della nostra vita passeggera. Tutto ciò non rientra nell’ordine delle idee ma dei fatti, fatti così chiari e tangibili che i primi cristiani inventavano nomi nuovi per i loro figli ispirandosi agli eventi della redenzione.

La Chiesa non è un’altra cosa da tutto ciò perché è inserita profondamente in Cristo, essendone il suo stesso Corpo[3]. Tale Corpo non è qualcosa di spirituale in senso astratto, non si pone al di sopra e al di là della vita umana. È qualcosa di reale, pienamente incontrabile nei Santi. Il Santo è così inserito nel Corpo di Cristo che lo esprime con le parole e i fatti fino al punto da operare come Cristo. È per questo che egli cambia la vita di chi incontra. Ecco perché Nicholas Motovilov, nel suo famoso incontro con lo starets Serafino di Sarov, uscì profondamente trasformato.

Tutto ciò ci indica che il Mistero della Chiesa è il Mistero di Cristo e che la Chiesa è, prima di tutto, una realtà misticamente radicata ma esemplarmente incontrabile nel volto degli uomini deificati di coloro, cioè, che sono divenuti realmente un altro Cristo[4]. Sono solo costoro che, meglio di qualsiasi altro, sanno com’è la Chiesa perché la vivono e comprendono che la sua Tradizione è una scala per giungere a Dio. Quando ascendono nel loro cammino verso Dio, capiscono, meglio di qualsiasi altro, che non si può modificare la Tradizione senza correre il rischio di rompere i pioli di tale delicata scala. In tal modo, si comprende che l’autentica Tradizione della Chiesa è stata posta per cambiare l’uomo, non è l’uomo che la deve irresponsabilmente cambiare.

Nell’esperienza indicibile dei Santi e dei redenti, la Chiesa rimane sempre una realtà una e unica (Credo la Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica). L’unicità e l’unità della Chiesa è avvertita immediatamente dopo il lavacro battesimale, quando il neobattezzato sperimenta in forma indicibile che qualcosa di nuovo gli è accaduto. Si può inadeguatamente esprimere questo stato nel seguente modo: è come se i frammenti con i quali si compone una dissociata personalità si fossero istantaneamente “fusi” tra loro fino a formare un unico insieme. Il neobattezzato è simile ad un vaso spaccato e incollato alla meglio che ritorna nello stato originale quando non esisteva traccia di rottura! Questo senso empiricamente tangibile di unità spirituale è quello appartenuto originariamente ad Adamo il quale viveva in armonia con Dio, con il prossimo e con il creato. È solo la disobbedienza e quindi la distanza delluomo da Dio[5] che ha causato la perdita dunità delluomo in se stesso e in relazione a tutto ciò che lo circonda. Tale empirica unità non è unillusione psicologica perché, precedentemente, il battezzando non lo immagina neppure! LOrtodossia riconosce in questi segni lazione della Grazia increata divina. Tutto ciò può mai essere donato da un semplice uomo o da una realtà che non la può veicolare? Solo queste semplici considerazioni permettono di concludere che l’unità della Chiesa non è qualcosa di esterno ma, prima di tutto e soprattutto, qualcosa d’interiore e mistico. Lesterno è solo conseguenza di qualcosa dinterno. Se questa interna “particolarità” comincia a mancare, lunico modo per mantere lunità esteriore è quello dimporre una legge ferrea, evidenziando canoni severi e scomuniche. Se prescindiamo dallazione interiore della Grazia quale garanzia dellunità ecclesiale e ci concentriamo solo sugli aspetti esteriori siamo in grado di trovare una sola epoca nella quale la Chiesa abbia avuto una perfetta unità esteriore? I problemi sull’unità e la concordia ecclesiale cominciano già tra le prime comunità fondate dall’Apostolo Paolo[6]. Più tardi non fanno che aggravarsi! Ma questo ha forse pregiudicato quell’unità che rende la Chiesa Una quale espressione dell’Unico Corpo di Cristo? Pare proprio di no al punto che, pur in mezzo alla drammatica divisione ecclesiale provocata dalle idee di Ario, al primo Concilio niceno e a quello seguente costantinopolitano si confessò l’integra unità della Chiesa con assoluta certezza. Da dove derivava questa solida certezza, dal momento che quasi tutta la Chiesa era caduta nellarianesimo e quindi era gravemente divisa? Non certo da un fatto esteriore ma dal fatto che la Chiesa Una, sempre esistente, è sperimentabile solo nella pienezza della vita di Grazia, sempre possibile in chi si dispone con umiltà e ortodossia verso Dio.

È perciò che, ancor oggi, la Chiesa Ortodossa crede fermamente all’esistenza della Chiesa Una e Unica, quella Chiesa che la Scrittura definisce senza ruga e senza macchia[7]. A questa Chiesa ci si unisce non fondandosi su una particolare persona (papa, patriarca) ma vivendo, prima di tutto, nell’ortodossia della fede e della prassi[8]. Non è infatti né la Chiesa di Paolo, né quella di Apollo o Cefa che deve avere la precedenza nel vissuto dei fedeli ma la Chiesa di Cristo[9]. “Quando uno dice: ‘Io sono di Paolo’, e un altro: ‘Io sono di Apollo’, non vi dimostrate semplicemente uomini?”[10]. Tale affermazione paolina mostra bene che nella Chiesa il ruolo personale non deve mai essere assoluto o al di sopra della Chiesa stessa ma totalmente subordinato e al servizio di una realtà comune che è stata ricevuta da Cristo e che dev’essere intangibilmente trasmessa. In tal modo, la Chiesa nel Nuovo Testamento si rivela come quella realtà che non offre spazio a personalizzazioni o individualizzazioni o, per dirla filosoficamente, alla precedenza del soggetto e della realtà soggettiva sulla realtà comune. Tutto il discorso ascetico proposto dalla Chiesa ortodossa mostra come la persona deve rinunciare ad una volontà personale propria. Se non personalizza la sua volontà legandola al capriccio della sua soggettività, segue quanto Dio ha scritto nel suo cuore. È per questo che l’Ortodossia crede che la natura non sia una realtà negativa in se stessa e che il pagano, che non conosce Cristo, si salverà ugualmente se segue quanto il cuore rettamente gli dice. Sulla stessa linea, la Chiesa del Nuovo Testamento chiede ai suoi aderenti di rinunciare a se stessi affinché non siano più loro a vivere ma Cristo in loro[11]. Questa Chiesa dei Santi, visibile e spirituale allo stesso tempo, esiste nella Chiesa Ortodossa nella quale i ruoli personali sono assolutamente subordinati alla fede e alla Tradizione dei Padri teofori. Allontanarsi da essa è come allontanarsi progressivamente da un sole dagli infiniti raggi: la luce e il calore si disperdono sempre più. Non c’è, dunque, alcun dubbio che esista l’unità della Chiesa quale realtà mistica e reale partecipata a chi pratica la vita cristiana nella Tradizione, nonostante l’esistenza di migliaia di cristiani divisi tra loro e che rivendicano a se il titolo di autentica Chiesa.

Nell’orizzonte dell’attuale movimento ecumenico, che ricerca l’unità tra i Cristiani, molti parlano di unità della Chiesa o d’indivisibilità della Chiesa nel primo millennio, un’indivisibilità da ricostituire quanto prima. Molti cristiani ci credono profondamente e nascono discussioni e convegni su tale tema. Tuttavia, dietro a ciò, pare che manchi la coscienza che l’unità non è un’idea astratta, semplicemente esteriore, istituzionale o morale. Pare essere assente la convinzione che la struttura esterna, che la Chiesa si è data lungo il tempo, deve rispondere principalmente ad un motivo d’ordine spirituale. Quando si perde di vista tutto ciò, nascono deviazioni, personalizzazioni e assolutizzazioni di cose, in realtà, molto relative perché correlate a elementi mistici che, ai più, sfuggono. Si finisce così per credere che il piolo della scala sia un punto d’arrivo e che, perciò, sia assolutamente necessario un potere umano universale.

Cercare di determinare o di rinvenire una struttura esterna essenziale alla Chiesa lascia il tempo che trova se non viene considerata l’“anima” della Chiesa, il motivo per cui la Chiesa esiste. Determinato il motivo, la struttura esterna, serve unicamente ad evidenziarlo. Ovviamente la struttura, perché non sia fuorviante, non deve soffocare la sua stessa “anima”. Come si diceva precedentemente, se nella Chiesa deve esistere un primato universale tale titolo non può essere personalizzato perché è individuato solo nelle realtà comuni a tutte le Chiese cioè nella Tradizione, nella fede e nellortodossa prassi spirituale ad esse conseguente[12]. Si può chiarire tale discorso con unanalogia: ciò che individua il pane non è il suo appartenere ad una o ad un’altra cesta ma il suo modo d’essere. Così nella Chiesa non ha senso che uno rubi ad un altro, che uno strappi il pane di un’altro e lo qualifichi “pane” oppure “pane migliore”, solo perché è entrato in suo possesso. Il pane non è tale perché appartiene ad una particolare cesta ma perché ha certe caratteristiche. Ecco perché l’Ortodossia non ha mai promosso il proselitismo e ha sempre condannato l’uniatismo incoraggiato apertamente o nascostamente dalla Chiesa di Roma. Il primato personale inteso come un potere su tutti gli altri, lungi dall’unire, ha sempre diviso.

È molto significativo che, nella riflessione teologica, i Padri abbiano determinato la causa d’unione della Trinità non in una delle divine Persone (che è, semmai, un elemento di distinzione) ma nella divinità comunemente condivisa e in tutte le altre realtà comuni[13]. È per un motivo molto simile a questo che il famoso brano evangelico di Mt 16,18 non è mai stato interpretato nell’Ortodossia personalisticamente. La pietra sulla quale si edifica la Chiesa non è la persona di Pietro (e dei vescovi di Roma che si sentono suoi leggittimi successori) ma la fede di Pietro nella quale l’Ecumene cristiano deve sinfonicamente concordare se si vuole mantenere integra la possibilità di sperimentare un nuovo modo di vita non più solo umano.

Se si prescinde da tutto ciò, si può correre fortemente il rischio di trasformare la realtà ecclesiale in qualcosa di secolare e mondano, con la conseguenza di slegare la persona dalla comunità, il dogma dalla spiritualità e dall’ecclesiologia, il clero dai laici, il pensiero dalla vita, e via discorrendo.

Determinare o rinvenire una struttura esterna essenziale alla Chiesa in vista di un’eventuale unione tra i Cristiani non deve solo non prescindere da quanto sopra detto ma deve anche tenere conto che nessuno ha il diritto di creare qualcosa di assolutamente nuovo. Al Sabato Santo dellantica liturgia romana (e quindi in una delle liturgie ortodosse occidentali), al momento d’inserire i grani d’incenso nel cero pasquale, il celebrante proclamava: “Cristo ieri e oggi, principio e fine, alfa e omega”[14]. Come ciò è vero per Cristo così lo è anche per la Chiesa, suo Corpo, la quale non può che avere una perfetta continuità tra il suo ieri e l’oggi dal momento che riflette, con il suo Capo, una presenza che è nella storia ma, contemporaneamente, la supera. Qualcuno, cercando di trovare una via di uscita alle difficoltà ecumeniche del presente momento, propone una futura chiesa che possa unire tutte le altre o che sia al di sopra di esse. Questo, però, sembra individuare qualcosa che non ha continuità nè con loggi né con il passato. Sembra che, a monte di tale progetto, ci sia chi dice: “Facciamo una cosa nuova!” Ma questo non è nulla di nuovo perché è proprio tale caratteristica che si rinviene nei fondatori di ogni nuova chiesa protestante. È solo un’idea personale in più che fonda unulteriore frattura…

In campo ecumenico non sarebbe, forse, molto più realistico cominciare a individuare le caratteristiche spirituali della Chiesa nel Nuovo Testamento e pensare a quale realtà e in quali condizioni esse possono emergere con maggiore chiarezza? In quella realtà cè il modello strutturale con il quale confrontarsi e al quale eventualmente adeguarsi. Tutto questo, però, obbliga le persone a spostare progressivamente la loro attenzione dal ragionamento individuale teorico al campo della pratica spirituale per dare sempre più ascolto ai Santi dell’ascesi cristiana. Dopo decenni d’infinite discussioni che toccano solo alcuni addetti ai lavori e nelle quali ognuno cerca di restare ciò che è sempre stato, non è finalmente giunto tale momento? Se ognuno dichiara che, tutto sommato, il suo patrimonio è equivalente a quello di altri non si corre il rischio di pervenire ad un vero e proprio indifferentismo nelle cose di fede? E questa non potrebbe essere la peggiore delle illusioni? Sono domande serie ma che è onesto porsi.

Daltronde discorsi che analizzano solo le forme storiche della Chiesa concentrandosi sulla sua struttura sono stati fatti anche da teologi ortodossi[15] ma, proprio perché si restringono a ciò che umanamente si vede muovendosi su un piano esclusivamente umano, lasciano, alla fine, il tempo che trovano.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Chiesaunita.htm

 

[1] Ef 3,9.

[2] Gv 1,46.

[3] Ef 5,23 ; Col 1,18, 24.

[4] Non è nell’istituzione umana o in un suo ruolo che si diviene alter Christus ma nella partecipazione alla realtà carismatica dello Spirito che anima la Chiesa. In altre parole Cristo non abita pienamente che nelle persone che abbiano ricevuto il dono dello Spirito dopo essersi preparate con unimpegnativa e seria attività ascetica. Il dono divino richiede sempre un dono umano! Luomo non diviene alter Christus per essere stato toccato, quasi magicamente, da unimposizione di mani!

[5] Gen 4,14.

[6] Gal 3,1.

[7] Ef 5,27.

[8] È ovvio che non si nega il valore di un ruolo istituzionale nella Chiesa ma la sua eccessiva preponderanza in Occidente obbliga chi scrive a fare una simile sottolineatura.

[9] I Cor 1,12.

[10] I Cor 3,4.

[11] Gal 2,20.

[12] «Infatti se uno solo, comegli si crede, è universale, resta che voi non siete “vescovi” (episcopi)». San Gregorio Magno, Epistola del Maggio 599 indirizzata a Eusebio di Tessalonica, Urbico di Durazzo, Andrea di Nicopoli, Giovanni di Corinto, Giovanni della Prima Giustiniana, Giovanni di Creta, Giovanni di Larissa, Giovanni di Scutari.

[13] Cfr. ad esempio San Gregorio Nazianzeno, Orazioni teologiche, 39,12. La causa dunione nella Trinità non deve essere confusa con la sorgente di vita nella Trinità che risiede unicamente nella Persona del Padre. In effetti non è sufficiente il solo principio di vita nel Padre (arxe delle persone-distinzioni trinitarie) a determinare l’unità trinitaria perché anche gli dei dellOlimpo erano tutti nati da Zeus ma erano, appunto, dei e non formavano una sola realtà con lui. Comè che le tre distinzioni sono un solo Dio? Perché hanno una sola natura e una energia. Le distinzioni, infatti, non personalizzano la natura e l’energia. Quindi non ci sono tre libertà distinte, tre volontà distinte e tre amori distinti, ma una natura, una volontà, una libertà, un amore.

[14] Cfr. Ap. 22, 13.

[15] Si può rinvenire tale impostazione “estrinseci sta” in parecchi discorsi del Metropolita di Pergamo, Giovanni Zizioulas.

 

 

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