L’icona: finestra sul Regno

 

Icona di Cristo Datore di Vita

 

L’Iconografia ortodossa è umile perché Dio che divenne Uomo è umile.
È umile perché si centra sul Dio-Uomo.
Non proietta l’immagine d’un Uomo autonomo ma il Dio-Uomo.
Nel Dio-Uomo deifica l’uomo.
Per questo mostra la vera gloria dell’Uomo...

Giorgio, abate di Grigoriou, Monte Athos.

La venerazione delle icone è conosciuta dalla maggioranza delle persone a riguardo dell’Ortodossia. Il mistero dell’icona è d’ordine sacramentale: il sacramento della presenza di Colui che vi è rappresentato. Una foto di una persona cara ci ricorda la sua presenza. Facendone memoria ci sentiamo vicini a lei, al meno sul piano affettivo. Nell’icona questa dimensione umana si apre nella realtà infinita di Dio, L’icona, infatti, non ha per fine quello di titillare i nostri sensi e fantasie ma ci permette di pregare alla presenza di Colui che viene rappresentato. Ciò avviene sia quando contempliamo la rappresentazione dell’economia divina (= il progetto di salvezza di Dio per l’uomo) sia quando viene rappresentata una scena evangelica come la trasfigurazione o la resurrezione di Cristo, sia di fronte al volto di Cristo, della sua Theotokos (Genitrice) o dei santi. Venerata dai fedeli, incensata dai celebranti, portata in processione, l’icona è un elemento integrato alla liturgia della Chiesa. A ciascuna festa liturgica corrisponde la sua icona che ne è l’espressione pittorica come i canti liturgici ne sono l’espressione verbale.

Monaco anziano mentre dipinge unicona

Facendosi carne e abitando tra gli uomini, Dio è uscito dalla sua trascendenza per abbassarsi (San Paolo usa addirittura il termine annientamento per indicare questo abbassamento cfr. Fil. 2, 7) rendendosi visibile e descrivibile nei tratti d’un uomo ma con la persona reale di Dio. Tutto ciò assume una dimensione liturgica nella Chiesa quando si rappresenta l’icona stessa del Figlio di Dio. Egli non è anonimo poiché porta un nome, quello di Gesù Cristo, il Salvatore e il Signore del mondo, vero Dio e vero uomo (Simbolo di fede di Nicea-Costantinopoli) Prima dell’inaudito evento dell’incarnazione non era possibile alcuna rappresentazione poiché non si era compiuta la rivelazione di Dio con una tale chiarezza e pienezza: il volto di Dio non si era ancora mostrato. Chi ha visto il Figlio ha visto il Padre (cfr. Gv 14, 9), ma anche lo Spirito che riposa in Lui. Effettivamente non è possibile alcuna rappresentazione del Padre e del Santo Spirito. La sola icona della Santa Trinità che sia accettabile per l’Ortodossia è un’icona simbolica: quella dei tre Angeli accolti da Abramo sotto la quercia di Mambre. L’icona non è dunque lo stesso Cristo, ma la sua immagine, immagine attraverso la quale Egli si rende misteriosamente presente. L’icona è un mezzo, un aiuto alla preghiera, un sostegno amorevole. La venerazione che gli viene attribuita è relativa: non va all’oggetto stesso ma a quanto vi è rappresentato. Al posto d’essere una realtà materiale chiusa su se stessa, come lo sarebbe un idolo, essa è una finestra sul Regno, un mezzo d’accesso all’invisibile. È per questo che essa deve rispondere a dei canoni e a un’estetica che le sono proprie. Contrariamente a un ritratto o a una foto, l’icona descrive in forma dinamica uno stato che non è di questo mondo: quello della natura umana trasfigurata, quella stessa natura che è apparsa ai discepoli al momento della Trasfigurazione di Cristo nel Monte Tabor. Tale natura è anche conforme a quella vista da tutti alla risurrezione di Cristo. Nelle icone, qualunque sia il momento della vita del Cristo o dei santi rappresentati, la carne è già risuscitata, illuminata al suo interno da una luce che non è di questo mondo. È per questo che le forme, le prospettive e i colori, il senso della luce e l’assenza di ombre nell’icona le donano questo aspetto che non è pari a nessun altro. Essa è completamente estranea all’arte figurativa che non fa altro se non imitare la realtà visibile. Questi canoni estetici si sono fissati nel tempo e sono assunti dagli iconografi che seguono una scienza pittorica ben determinata.

Il fedele quando venera l’icona, baciandola, è come se salutasse una persona cara. In questo rapporto e in questo gesto esiste un incontro dove nessuno dei due si impone sull’altro. È per questo che l’icona ha dimensioni contenute dal momento che è rivolta al singolo fedele. Icone di grandi dimensioni (come si riscontra talora in Occidente quando si vuole imitare l’Ortodossia senza conoscerne lo spirito) sono pertanto estranee alla mentalità Ortodossa secondo la quale Dio si rivela all’uomo nel diretto rapporto con lui senz’alcuna imposizione. Icone di dimensioni eccessive finiscono per far ricordare le immagini che i regimi dittatoriali ostentano nelle loro parate. In questo caso l’immagine ha grandi dimensioni perché non è rivolta al singolo, dal momento che l’ideologia, per sua stessa natura, non concepisce un rapporto personale ma si impone su una comunità di individui, su una massa nella quale l’individuo si fonde e si confonde. L’immagine deve avere grandi dimensioni perché deve obbedire alle caratteristiche impositive dell’ideologia. Vivere l’originale spirito del Cristianesimo significa rifiutare tutto ciò. È quindi fuori luogo l’utilizzo di artifici e di forme e dimensioni che creano stupore e soggezione. Come nel caso di gigantesche immagini, non ha senso utilizzare l’icona quale elemento decorativo alla base di un altare, di un ambone o come sfondo parietale. L’icona è fatta per essere incontrata e salutata, come se si incontrasse una persona. Questo principio è utile per identificare quei casi in cui l’icona viene rispettata nel suo significato simbolico (finestra del Regno) da altri in cui, pur rispettando alcuni canoni pittorici tradizionali, viene degradata ad abbellimento estetico, ad elemento contingente privo della sua originale valenza ultraterrena.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/icona.htm

 

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