L'icona del Sacro Mandylion

RIGUARDO LA RIPRODUZIONE
FOTOGRAFICA DELLE
ICONE

 

«Risplenda su di noi, Signore,
la Luce del tuo Volto.»

Salmo 4, 7

 

Cos'è l'icona, cos'è una sua immagine | Una testimonianza


 


Attualmente l'uso di riprodurre immagini d'icone è sempre più presente e tale abitudine tende ad insinuarsi anche nella Chiesa Ortodossa. Tale pratica non fa parte della Tradizione orientale. In questo breve articolo, particolarmente diretto ai cristiani di fede ortodossa, si desidera illustrare l'originario senso dell'icona perché, se si perde ciò, subentreranno idee e consuetudini errate. È dunque meglio essere chiari per impedire che ciò avvenga. Infatti, i Padri dicono che, quando una consuetudine sbagliata prende piede, è difficile sradicarla.

Inoltre, bisogna tenere conto che, oggi, la venerazione dell'icona non procede di pari passo con la sua conoscenza teologica e con l'iconografia.

 

Cos'è l'icona, cos'è una sua immagine.

L'icona è una realtà che non ha nulla a che fare con la riproduzione di una fotografia. Se nell'icona la persona (di Cristo, della Tuttasanta e dei santi) è realmente presente, pure in maniera misteriosa, nella riproduzione fotografica non lo è. La riproduzione ha unicamente un valore pedagogico, non può comunicare quello che l'icona simbolicamente nasconde. Può mai essere possibile che un foglio stampato o una fotografia rappresentino il contenuto della fede ortodossa? Ciò che normalmente non viene immediatamente colto e valutato è che una riproduzione fotografica o a stampa non richiama alcun diretto rapporto con il mondo di un pittore che prega dipingendo, come prevede la prassi pittorica orientale, nessun immediato rapporto con la Chiesa ortodossa. Una riproduzione di questo genere può nascere in un ambito molto distante da quello ortodosso e cristiano. Non è più la reale espressione di una vita e di una Tradizione. Viceversa, l'icona è espressione di una vera fede, di una vera Luce, dello Spirito celeste. Tale espressione non si manifesta magicamente ma passa attraverso la fatica e la vita di chi, unito alla Chiesa, la esprime con pienezza nell'arte sacra, nella parola vivificante, nell'esempio quotidiano. Al di fuori di ciò, l'iconografia non è che un'imitazione, una realtà opacizzata e umbratile perché slegata da un'autentica prassi cristiana. L'icona che ne risulta potrebbe quindi collocarsi nella vetrina di un gioiellere o di un antiquario tra tanti altri oggetti completamente eterogenei alla sua autentica realtà.

L'iconografia è un carisma, un dono, come lo è la profezia. Tale carisma, quando non è imitazione formale, non è concepibile al di fuori della Chiesa proprio come non si può concepire un fiore senza la sua pianta. Se il mistero racchiuso dalla Chiesa potesse essere trasmesso da una macchina o da chi non appartiene alla Chiesa stessa, si potrebbe tranquillamente sostituire il cantore liturgico ortodosso con una registrazione o con una persona non ortodossa. Con tali escamotage si avrebbe magari un canto più armonioso e bello ma tale bellezza, oramai concepita per se stessa, perderebbe la sua profonda utilità e valore spirituale.

C'è un'altra conseguenza: la riproduzione fotografica di un'icona finisce per determinare l'indifferenza verso le vere icone. Nel XVII secolo il patriarca russo Joachim scrisse: "A causa di quei fogli di carta [le riproduzioni a stampa], viene deprezzata la venerazione alle vere icone". Questo, portò il patriarca a proibire completamente sia la stampa delle immagini sacre sia la vendita e, a maggior ragione, il loro utilizzo nelle chiese e nelle case al posto delle vere icone.

Ovviamente, per determinate ragioni legate all'impossibilità di reperire autentiche icone, viene permesso l'utilizzo di riproduzioni fotografiche. Nella Chiesa ortodossa tale permesso è l'applicazione di una concessione "per economia". Non intacca la normale regola che prevede autentiche icone. Invece è diverso il caso del cristiano che può avere un'icona vera ma continua a preferire una sua riproduzione. Egli non è più nella situazione dell' "economia" perché ne è evidentemente fuori. È preferibile una sola icona, venerata con sincera pietà, a molte riproduzioni le quali, spesso, non servono che a decorare una parete.

Chi pensa che tali realtà non abbiano importanza non tiene conto che, nell'epoca iconoclasta, molti cristiani e monaci si facevano martirizzare e mutilare nel tentativo di difendere le icone.

Per mostrare come una pratica errata può, con il passare del tempo, far parte di una tradizione citiamo una piccola storia indiana.
Un sacerdote indù veniva disturbato da un gatto ogni qual volta officiava. Ad un certo punto, stanco di quanto avveniva, cominciò ad allontanare il gatto prima dell'inizio di ogni officiatura. Quando il sacerdote morì, il figlio subentrò nell'incarico paterno e continuò a trattare il gatto alla stessa maniera. Quando il gatto a sua volta morì, il figlio si procurò un altro gatto pensando che l'animale facesse parte della cerimonia.

 

Una testimonianza.

Per far riflettere i lettori sul valore dell'autentica icona terminiamo quest'articolo con la testimonianza di un cristiano convertito all'Ortodossia che ha voluto mantenere l'anonimato. La sua storia è particolarmente interessante perché dimostra come l'icona e tutte le autentiche realtà della Chiesa siano permeate da una forza indescrivibile ma vera. È questo che crea quel senso del sacro che il mondo secolarizzato ha perso.

 

Cinque anni fà mi trovavo sul Monte Athos come pellegrino. Era la prima volta che mi recavo in quel luogo e ci giunsi con un insieme di sentimenti molto contrastanti. Non riuscivo più a identificarmi con la confessione cristiana nella quale ero stato battezzato ma non volevo lasciarla. Tutto il mio precedente mondo m'infondeva un senso di vuoto ma non ero in grado di staccarmi da esso. Mi sentivo come il naufrago che si attacca ad una tavola di legno perché è l'unica cosa che ha e che conosce. Nel Monte Athos vedevo una realtà che aveva conservato senza interruzione un'antica tradizione, una realtà che, nonostante i limiti umani, aveva prodotto degli uomini santi. Qualche anno prima non sarei mai riuscito ad immaginare che, al di fuori della mia confessione, avrebbero potuto esserci dei santi e che quindi avrei potuto confrontarmi anche con una realtà diversa dalla mia! Ora ero portato a crederlo e quindi cercavo in questa direzione. Sarei stato determinato ancor più a farlo dai fatti che cominciarono ad accadere.

Appena arrivato nell'Athos alloggiai in un piccolo monastero poco distante dalla capitale amministrativa (Karyes). I monaci erano molto gentili e discreti. Nessuno mi tormentò con discorsi apologetici nonostante intuissero il mio stato d'animo. Cominciai a pregare per chiedere a Dio d'essere aiutato a capire, a vedere con chiarezza la mia situazione personale e a vivere meglio il Cristianesimo. Frequentavo come potevo le lunghe liturgie e parlottavo con qualche monaco. Un giorno, fui accompagnato ad un'agripnìa (veglia di preghiera che dura tutta la notte) nel grande monastero di Koutloumousion. Mi sedetti sullo stassidi nel quale amava stare un vecchio santo monaco morto da poco: p. Paisios. Con il passare delle ore mi addormentai lì, cullato dal canto e dalle lunghe ininterrotte preghiere...

Il giorno dopo tornai nel piccolo monastero e progettai che il giorno avanti mi sarei recato a visitare quello d'Iviron perché là viveva un vecchio monaco che conosceva la lingua francese. Con lui sarebbe stato più facile parlare e confrontarmi! Così l'indomani, dopo alcune ore di cammino su una strada polverosa e calda, giunsi ad Iviron. Lungo la via avevo continuato a pregare senza interruzione. Dal momento che l'anziano monaco da me desiderato non si trovava, mi recai ad attenderlo nella grande chiesa.

Mi sedetti e vidi che, dopo un poco, l'unica persona presente, un monaco sacrestano, se ne andava. Rimasi da solo in silenzio, un silenzio che cominciò ad impossessarsi di me. Ad un certo punto ebbi una sensazione molto particolare. Sono certissimo che accadde anche se è terribilmente difficile descriverla. Percepii una forza strana e misteriosa provenire da tutti gli oggetti della chiesa: dalle icone, dal lampadario, dai candelieri... Avevo la sensazione che tutto l'ambiente si trasfigurasse. Mi sentii invadere da qualcosa di completamente ignoto e penetrare internamente fino quasi a sentirne dolore, ma dolore non era. Rimasi il più distaccato e scettico possibile perché nella mia vita avevo imparato a diffidare dalle cose strane. Nonostante la mia resistenza, il fenomeno continuava a durare aumentando sempre più la sua intensità. Le icone mi sembravano vibrare anche se, nel mondo fisico, non pareva succedere nulla dal momento che il silenzio era totale. Nel mio sforzo di descrizione mi rendo perfettamente conto di quanto inutili possano essere queste parole per chi non ha avuto simili percezioni. Tutto l'ambiente "tremava" senza tremare infondendomi una sensazione di particolare benessere. Quando comiciai ad abbandonarmi al piacere che la cosa mi infondeva, il fenomeno finì. Erano passati almeno dieci minuti. Nell'arco di poco, entrò un gruppo di chiassosi visitatori . Un italiano di Milano, che faceva parte del gruppo, mi rivolse la parola e mi stupì grandemente per la sua leggerezza e superficialità. Ero tornato nel mondo degli uomini!

Incontrai il vecchio monaco e, dopo il colloquio, mi diede la sua benedizione e il suo abbraccio. Non è facile dimenticare il suo sguardo e la sua espressione composta, eppure così paternamente affettuosa!

A casa non potevo dimenticare l'esperienza passata anche se cercavo di banalizzarla dicendomi: "Sarà stata la stanchezza, sarà stato il caldo...". Cercavo spiegazioni anche più sofisticate e complesse: "Nella chiesa di Iviron i monaci pregano da secoli. Forse mi avrà colpito l'energia che essi, con la loro plurisecolare presenza, hanno lasciato su tutti questi oggetti ..."

Rimanevo immerso in questi pensieri mentre, riposato e rinfrescato, me ne stavo in panciolle su una poltrona. Nella parete di fronte a me erano appese tre icone due delle quali vere. Le vere erano state benedette secondo l'uso tradizionale ortodosso che prevede la recita di particolari preghiere e la giacenza sulla mensa eucaristica per quaranta giorni. Ad un certo punto, quando meno me l'aspettavo, percepii solo da queste due la medesima energia sentita ad Iviron la settimana prima. Fu un istante ma mi bastò. Senza venir meno nella prudenza, ne dedussi l'unica conclusione possibile ad un credente: attraverso oggetti particolarmente consacrati si manifestano realtà ed energie che noi razionalmente non conosciamo e che la scienza non potrà mai misurare. Tali realtà sono sempre state identificate dalla Chiesa come realtà appartenenti ad un altro mondo (energie increate, le chiama l'Ortodossia!!). È proprio un altro mondo che, sotto le apparenze di quello presente, si manifesta e pare abbondantemente traboccare. Esserne toccati sensibilmente fa immediatamente comprendere il senso del sacro che, così, non viene banalizzato o intellettualizzato. È qualcosa che s'innesta profondamente nella vita umana e la cambia.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/iconografia.htm

 

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