Passione dei santi Alessandro, Evenzio e Teodulo

 

I morti in Cristo, particolare dall’icona del Giudizio Universale
Chiesa Serbo Ortodossa di San Sava – Merrillville, Indiana

 

            Presentiamo di seguito la Passio dei santi Alessandro, Evenzio e Teodulo nella versione volgarizzata dal Dandolo, il cui testo è leggermente diverso rispetto ad un’altra passio poco più lunga e più conosciuta trasmessa nei codici della Biblioteca Vaticana.

         Per molto tempo è stata ritenuta una delle tante passiones romanzate prive di fondamenti storici, fino alla scoperta nel 1854 di una catacomba sulla Nomentana, risalente nel suo nucleo più antico a un periodo tra il II ed il III secolo, sovrastata da due ambienti basilicali risalenti al IV-V secolo. Gli scavi confermarono in parte le testimonianze oltre che della passio, sia del Martirologio Geronimiano[1] sia del Liber Pontificalis, che associano anch’essi i tre nomi ad un comune martirio. Fu infatti rinvenuto un altare con fenestella, recante l’iscrizione frammentata …ET ALEXANDRO……DELICATVS VOTO POSVIT DEDICANTE AEPISCOPO VRS(O); stando agli Atti della Biblioteca Vaticana, Evenzio ed Alessandro furono deposti insieme, mentre Teodulo in un luogo a parte. A conferma del racconto, poco distante fu trovata anche un’altra cappella all’interno della quale era ubicato anticamente il sepolcro di Teodulo, su di un frammento di transenna nel quale si legge ancora la scritta MARTYRI.

         Nonostante ciò buona parte degli studiosi ritiene che questi martiri debbano risalire al IV e non al II secolo, perciò escludono anche, per ovvie ragioni cronologiche, che l’Alessandro in questione sia il papa Alessandro I. Andando oltre la storicità della passio, in cui comunque permangono pur sempre tracce di verità storiche anche se non tutte verificate e verificabili, resta l’edificazione spirituale, che in fondo era e resta lo scopo principale della passio così come voluta nelle intenzioni del suo anonimo autore, per cui “la fede nasce dalla grazia non dalla discussione”.

 

 

Martyrium illustre Alexandri papae
et Eventii atque Theoduli presbyterorum
item Quirini et aliorum

 

Alessandro giovane d’età, canuto di fede per santità, come per dignità, superiore a tutti, occupava la Catedra, quinto successore di Pietro. Tal era la benevolenza, che, soccorrendo la divina grazia, egli si era acquistata presso l’universale, che moltissimi avea convertiti al Signore, e tra questi numerosi senatori, Ermete prefetto di Roma, la moglie, la sorella, i figli di questo, e milledugento cinquanta suoi servi: il padrone, alla ricorrenza della Pasqua, nel punto ch’erano stati battezzati, li aveva affrancati, facendo loro, per giunta, larghi donativi.

Questi fatti essendo stati riferiti ad Adriano[2] imperatore, da Seleucia, ove allora trovavasi, spedì precipitosamente Aureliano, capitano d’ambo le milizie, a Roma, con mandato di sterminare i Cristiani. Giunto in città, e accoltovi con ogni dimostrazione d’onore, quasi fosse il principe stesso, lo circuiron tosto i sacerdoti degl’idoli a malignamente raccontargli tutto quanto er’accaduto; onde, sempre più acceso di sdegno, comandò che venissero posti in ceppi, primi tra tutti, il Prefetto, e il Papa. Sorse tumulto nella plebe fanatica gridando alcuni morte ad Alessandro! – altri – brucisi Ermete, che tante migliaja di cittadini distolse dal culto degl’Immortali, insegnando loro a detestare i delubri, a spezzare gli Dei!

Quirino tribuno, dinanzi al quale fu tradotto Ermete incatenato, disse al prigioniero: Come mai accadde, illustre uomo, a te, che andavi insignito dell’alto mandato di giudicare gli altri, che venga ora menato in giudizio tu stesso, con tanta jattura della tua dignità, scaduto dalla prefettura, avvinto di ceppi? E sopporti ciò con animo sereno?

Ermete: Non iscaddi dalla prefettura, l’ho solamente tramutata in dignità migliore; avvegnachè le magistrature mondane vengono accordate e tolte; la dignità celeste dura perpetuamente sublime.

Quirino: Stupisco d’uom prudente qual sei, caduto in istoltezza sì da reputare che una qualche parte di te abbia a sorvivere, lorchè il corpo si sarà sciolto in polve, e nemmeno delle ossa resterà vestigio.

Ermete: Anch’io, tempo fa, mi faceva beffe di questa opinione, e reputava non avervi per noi altra vita che questa fugace, sola meritevole d’essere tenuta in pregio.

Quirino: Dimostrami di grazia l’esistenza d’un’altra vita dopo la presente, acciò mi persuada che non se’ uscito di senno.

Ermete: A convincermene fu il santo vescovo Alessandro, stato arrestato con me.

Quirino: Sia maledetto il seduttore! E tu mio Signore, torna in te; riassumi la prefettura, riprendi il patrimonio, la famiglia, il decoro della prosapia: a questo delegommi Adriano.

Ermete: Non mi lasciasti svolgere la risposta alla interrogazione che mi facesti.

Quirino: Volea conoscere i fondamenti della tua credenza, e tu mi nominasti un tristo che tengo serrato nel carcere più profondo, del qual non ti ebb’io appena udito fare menzione che non seppi ad altro pensare; perocchè mi cuoce vederti divenuto somigliante a quel tuo zotico ingannatore miserrimo, il qual attende nelle tenebre il rogo dovuto alle sue iniquità: s’è investito d’alcun potere liberi sé e te.

Ermete: Gli Ebrei insultavano il mio signor Gesù Cristo pendente dalla croce, con dire “scendi e ti crederemo”, ed Egli, se non avesse abbominati lor petti colmi di perfidia, se gli avesse visti inchinevoli a credere, sarebbe disceso dalla croce. Tu pure, se lealmente parli, vanne al prigioniero Alessandro e gli dì “vuoi che ti reputi banditore del Dio vero? Fa che tu venga ad Ermete, o che Ermete sia teco, e porrò fede nelle tue parole”.

Quirino: Ben pensato! Triplicherò le tue, le sue catene; poi gli dirò che lo attendo ad ora di cena.

Partissi il tribuno, e fe’ quanto avea detto; invitò, cioè, a cena Alessandro, accresciutigli i ceppi, che gli vietavano persino di muoversi. Alessandro diessi a pregar Dio: Signor mio, che mi chiamasti a sedere sulla catedra del tuo apostolo Pietro, mandami un angelo che mi adduca al tuo servo Ermete, e sull’alba mi riconduca, senza che le guardie se ne avvedano.

Poiché fu scesa la notte, un fanciullo portatore di accesa face comparve nel carcere, e disse al Papa: Seguimi! Quello, a cui erano caduti i ceppi, sclamò: viva il mio Signor Gesù Cristo! Se tu non ne reciti in questo punto la orazione, ricuso di accompagnarti[3].

Il fanciullo (mostrava d’avere cinque anni), piegate le ginocchia pregò qualche tempo interiormente, poi pronunziò ad alta voce l’orazione dominicale; indi, preso Alessandro per la mano destra, lo addusse a fenestra che spalancò quasi porta, e n’uscì con lui, menandolo ad Ermete confinato in casa del Tribuno. Venuto poco dopo Quirino alla camera del suo prigioniero, mirandovi Alessandro ed Ermete che oravano genuflessi senza darsi pensiero di lui, restò conquiso da terrore.

Finito ch’ebbero di pregare, e vedutolo come fuor di sé – Dichiarasti, gli dissero – che avresti condivisa la nostra fede, se, disgiunti dalla persona, comechè associati dalle anime, tu non saresti riuscito a serbarci separati anche di corpi: or bene, eccoci qui riuniti; dunque credi. E perché tu non tema, vedendoci sciolti dalle catene, ch’evadiamo, domattina ci troverai di nuovo incatenati, ciascuno nella propria prigione: facemmo questo per provvedere non alla nostra, ma alla tua liberazione, acciò tu creda Gesù Cristo essere vero figlio di Dio, il qual esaudisce i suoi credenti, ed a te pure concederà checché gli chiederai.

Quirino: Qui c’è magia!

Ermete: Fu pensier nostro rompere la clausura del carcere? Fosti tu a dire che avresti creduto se ci avessi trovati insieme, nonostante le precauzioni da te prese de’ ceppi e di guardiani triplicati: dunque, ti ripetiamo, credi. Cristo si manifestò mediante benefizii con illuminare cechi, sanare infermi, liberare ossessi, risuscitare defunti. Or ascolta come a me avvenisse di credere alle parole di Alessandro: mirando l’unico mio figlio languire, nel punto che attendeva a’ suoi studii letterarii, la madre ed io lo conducemmo al tempio di Giove Capitolino; ma ciò non ci valse avere colà sagrificato, e profusò doni a’sacerdoti; il figlio ci morì. Rimproverommi la sua balia dicendo: “Se tu l’avessi portato là dov’è sepolto l’apostolo Pietro, ponendo fede in Cristo, possederesti incolume il figlio!”. Le risposi: “Io ti miro ceca, né risanasti; perché dici che mi avrebbe valso a risanare il figlio ciò che non valse a risanar te?”. Essa replicò: “Se cinque anni fa, quando diventai ceca avessi creduto in Cristo, sarei guarita”. Ed io: “Vanne ora che se’ divenuta credente: se Alessandro ti restituisce la vista, crederò alla mia volta ch’ei possa restituirmi il figlio”. Udendo ciò la donna se n’andò via affrettata ch’era l’ora terza; sulla sesta tornò che ci vedeva, si prese sulle spalle il cadavere di mio figlio, ed uscì correndo in guisa, che, più giovine di lei e scarico, io durava fatica a tenerle dietro. Giunta alla presenza d’Alessandro, gli depose appiedi l’adolescente sclamando: “Tornami cieca, purché costui riviva!”. Rispose Alessandro: “Tu conserverai la vista, e costui risusciterà”, e fatta orazione su di lui, mel restituì rianimato. A quella vista caddi genuflesso, domandando di esser fatto cristiano. Ecco, o Quirino, come mi accadde di credere in Cristo. Nominai al giovinetto un tutore, al qual rinunziai l’amministrazione del suo patrimonio materno, cola giunta di parte del mio; quindi liberai i miei schiavi convertitisi meco[4], e quanto del mio asse rimasemi, lo distribuii a’ poveri. Da ciò comprenderai che non temo le confische, né m’impaurisco di qualsia minaccia od offesa d’uomo, dacché credo d’essere diventato compartecipe d’assai miglior patrimonio, insieme a coloro, che, in nome di Cristo, si avviano al martirio, o già ne conseguirono la corona.

Quirino: Guadagnerai al tuo Cristo anche la mia anima se ti riuscirà fare ciò che ora sto per dirti. M’ho una figlia che son presso a maritare, di vaghe forme, ma scrofolosa, con gonfie glandole al collo: me la sana e riconosco Cristo.

Alessandro: Adducimela domani al carcere: domani sarà guarita.

Quirino: Ma se ti trovi or qui in casa mia, come ti rinvenirò io domani in prigione?

Alessandro: Non darti pensiero di ciò. Chi mi addusse qui, avanti che tu arrivi al carcere mi avrà restituito.

Quirino uscì; e voleva lasciare aperto l’uscio della camera d’Ermete. Alessandro gli disse: Chiudilo a chiave come suoli; quei resisteva; alla fine dovette cedere.

Riapparì il bimbo dalla face, che, aperta la finestra, fe’ cenno ad Alessandro di seguirlo; e restituitolo prigioniero e incatenato scomparve.

Passata appena l’ora, ecco Quirino al carcere: trovate vigili le scolte da lui quivi collocate, e ben chiavate le porte, come le avea lasciate, si affacciò alla segreta d’Alessandro, e vel trovò che lo attendeva: ne abbracciò allora i ginocchi gridando: Ti scongiuro intercedere per me, acciò non mi fulmini lo sdegno del Nume di cui sei ministro.

Alessandro: Il mio Signore non vuole che il peccatore perisca, ma che si salvi[5].

Quirino: Eccoti la figlia mia.

Alessandro: Quanti hannovi prigioni qui entro?

Quirino: Venti.

Alessandro: Informati se tra costoro se ne contano di catturati per essere cristiani.

Quirino, prese ch’ebbe le domandate informazioni rispose: Ci abbiamo qui Evenzio prete, e Teodulo venuto d’Oriente, anch’esso prete.

Alessandro: Fa che vengano.

Partito Quirino, ecco il putto dalla face, che dice a Balbina, figlia del tribuno: Serbati vergine, ed io ti darò in isposo uno ch’effuse tutto il suo sangue per amor tuo. Ciò detto sparì.

Tornò Quirino con Evenzio e Teodulo, e, vedendo sanata la figlia, gridò: Esci di qua, o Alessandro, acciò la folgore che sta per colpire me peccatore, non ti offenda!

Alessandro: Mi avrai largamente corrisposto e beneficato s’esorterai quanti giacciono chiusi in queste carceri, a conseguire il battesimo, e diventare cristiani[6].

Quirino: Voi siete santi; coloro son ribaldi bruttati d’ogni misfatto.

Alessandro: Il mio Signor Gesù Cristo, è sceso appunto dal cielo per chiamare a pentimento i malvagi[7]; e per questo fa che qui vengano tutti.

Quirino, (radunatili): Chiunque di voi vuol farsi cristiano, lo può; e, battezzato che sia, lo restituisco in libertà.

Fecersi tutti intorno ad Alessandro, il qual, ispirato da Dio così parlò: Figliuoli uditemi, e credetemi. Dio creatore dell’universo, a cui obbediscon i fulmini, che spegne e vivifica, al qual servono il sole, la luna, le stelle, il sereno, e la piova, questo Dio mandò sulla Terra il Figlio suo a nascerci da una Vergine, Egli al cui nascimento in cielo giammai era stato dato principio: prese a chiamare il genere umano alla sua osservanza; e siccome gli uomini son duri, anzi ferrei a credere, volle vincerli coi miracoli, e cominciò con mutare il contenuto nelle anfore di Cana: penetrò altresì gli occulti pensieri, sanatore d’ogni infermità, vincitore dei demonii; sedò le procelle colla voce, e passeggiò a piedi asciutti sul mare: molti cedettero in Lui. Farisei e Giudei infanatichiti lo crocifissero; ned Ei si rifiutò al sagrifizio, come avrebbe potuto, volendolo, acciò il demonio, autore della nostra rovina, avesse a rimanere sconfitto. Morto, e sepolto, risuscitò il terzo giorno, e a vista di numerosi testimoni, salì al cielo, trasmessa a’ suoi discepoli la facoltà ch’era in Lui di operare miracoli. L’ultimo giorno dell’universo Egli verrà a giudicarlo, a gloria e premio dei buoni, a confusione e gastigo dei malvagi. Se voi siete per credere a quanto vi esposi datemi i vostri nomi ch’io vi faccio cristiani.

Avendo tutti affermato di credere, Alessandro commise ad Evenzio e Teodulo d’imporre loro le mani e farli catecumeni; indi battezzò Quirino, sua figlia Balbina, tutta la casa, e molti altri che si trovavano presenti: ai neofiti, da lui donati di bianco vestimento, Quirino spalancò le porte del carcere che in quel punto somigliava chiesa.

Uno scriba corse ad Aureliano e gli denunziò l’accaduto.

Aureliano si fe’ condurre Quirino, e gli disse: Ti ho amato qual figlio; e tu mi tradisci, sedotto da Alessandro!

Quirino: Son divenuto cristiano; infliggimi croce, fuoco, qual più ti piace tortura, non mi cambierò da quello che sono: mi adoprai che i carcerati si convertissero anch’essi, e li lasciai liberi di andarsene; ma niuno si è mosso: dicono “Se per le nostre scelleratezze fummo giudicati degni di morire, noi fortunati che incontreremo la morte per amore di Cristo!”. Proposi loro di ricevere il battesimo, che tutti accettarono: e li vestii di bianco in segno della ricuperata innocenza: ora son parati al martirio, anzi ne son avidi, come del cibo gli affamati. A questo provvedi tu.

Sbuffò di sdegno Aureliano e disse: Vo’ che tu ammutisca, bel parlatore, facendoti strappare sull’eculeo quella lingua che ha osato così svelatamente aprirmi tuoi intimi pensamenti.

Quirino: Sciagurato, provvedi piuttosto all’anima tua, che non la perda tra tormenti eterni! Martoriato sull’eculeo furongli tagliati lingua, piedi, mani, ultima la testa, gettati a’ cani membra e tronco; Raccolserli i Cristiani, e li seppellirono nel cemetero di Pretestato.

In quel frattempo la pia vergine Balbina era venuta al carcere del beato Alessandro, quivi scongiurando ciascuno dei neofiti in cui s’imbatteva che pregassero per lei, e colle loro esortazioni la confermassero nella fede recente.

Aureliano aveva intanto mandati sgherri alla prigione con ordine che quanti trovasser ivi biancovestiti, altrettanti, stivati entro barca, trasferissero in alto mare, ed ivi, con sassi legati al collo, affondassero: n’andò con essi Balbina, benedicendo lietamente il Signore.

Indi Aureliano chiamò a sé Alessandro, e gli disse: Ti chiedo innanzitutto che mi palesi gli arcani della tua setta, acciò mi capaciti come mai, per amore di non so qual Cristo, vi eleggiate morir da frenetici, anziché viver da savii.

Alessandro: Sante cose mi domandi, e Cristo non ci permette dare in balìa de’ cani le cose sante[8].

Aureliano: Son io un cane?

Alessandro: Piacesse a Dio che lo fossi! Sei mille volte peggiore: a cani non sovrastano eterne pene per commessi misfatti, e, morti una fiata, lo sono per sempre; l’uomo, in cambio, fatto a somiglianza di Dio, se co’ di portamenti rinnega una tale somiglianza, diventa reo di supplizio infinito.

Aureliano: Se non rispondi alla mia domanda ti faccio frustare.

Alessandro: Quale temerità è la tua, o tiranno, di richieder come fai, me, che di niuno ho tema tranne che del mio re ch’è ne’ cieli? La fede scaturisce dalla grazia non dalla discussione.

Aureliano: Cessa da questa tua loquacità artificiosa; hai da fare con uno che al suo potere ha ligio il mondo.

Alessandro: Non vantare il tuo potere: chi si gloria è presso a precipitare.

Aureliano: Ciancia al tuo talento, miserabile, ora che l’anima sta per esserti strappata tra gli spasimi!

Alessandro: Ciò facendo ti serbi fedele alle tue abitudini: chi s’è mai dipartito incolume da te? Soli ponno viverti presso coloro che rinnegano Cristo; io, che non mi sono certamente uno di questi, sta bene che sia da te fatto morire, e meco Ermete, uomo veramente santo e illustre, e con noi Quirino, ora vero tribuno, e tutti gli altri che furono illuminati[9] da poco.

Auireliano fe’ porre Alessandro sull’eculeo ad esservi tormentato dalle unghie di ferro, e dalle lampade.

Il paziente non fiatò.

Aureliano: Perché taci?

Alessandro: Quando è tempo d’orazione il cristiano se ne sta con Dio.

Aureliano: Rispondimi, e darò tregua al tuo patire.

Alessandro: Stolto! Non comprendesti ancora che mi rido di te, e de’ tuoi carnefici?

Aureliano: Poni mente alla tua età giunta appena al trentesimo anno: perché sprecare sì bella giovinezza?

Alessandro: Piacesse a Dio che tu non isprecassi come fai la tua anima!

Mentre il Martire soffriva sull’eculeo, Severina, moglie di Aureliano, gli mandò a dire: Provvedi a’ casi tuoi: rilascia Alessandro uom giusto, altrimenti di mala morte morrai[10].

Aureliano: Costei gli è benevola, e perciò parla così; pure comandò che Alessandro fosse distaccato dall’eculeo, e venissergli sostituiti Evenzio e Teodulo.

Aureliano ad Evenzio: Quando cominciasti ad esser cristiano?

Evenzio: Settant’anni fa; d’undici fui batezzato, di venti ordinato prete; or ne conto ottantuno: gli ultimi due sonmi lietamente trascorsi in carcere.

Aureliano: Abbi compassione della tua vecchiezza: nega Cristo, m’avrai amico e compagno.

Evenzio: Trist’amicizia, peggior compagnia! Dove hai il cervello? Tu non comprendi che cosa sia Dio. Su via, infelice! Benché tardi, riconosciti mortale; credi in Cristo, e fa penitenza, se vuoi che ti sia usata misericordia.

Aureliano a Teodulo: Tieni tu pure a vile i miei comandi?

Teodulo: Sì, a vile tengo i tuoi comandi, e te, perché atrocemente perseguiti e crucii i servi di Dio. Che cos’ha fatto Alessandro per essere martoriato?

Aureliano: Or assaggerai ciò ch’è per toccare a te.

Teodulo: Fidente in Dio, al pari di lui sarò socio di Alessandro anche di martirio.

Aureliano comandò che s’infuocasse un forno per gettarvi entro Alessandro ed Evenzio; Teodulo dovea starsene sulla bocca a vedere. Alessandro gli disse: Fratello vieni con noi; così somiglieremo a’ tre garzoni ebrei…[11].

Il giudice infuriava di que’ motteggi; e si sentiva infermare per la rabbia: accennò, che, lasciato stare il forno, Teodulo ed Evenzio venissero decollati: Alessandro poi fe’ pungere in ogni parte del corpo, tanto che ne morì. Insultava a quegli spenti, quando una voce dall’alto: A questi che vilipendi si aperse il cielo; te aspetta il Tartaro.

Aureliano tremò e disse: Tempo fa mi apparve un giovine che brandiva una verga di ferro incandescente; me la gettò a’ piedi con dire “Hai la mercede di ciò che facesti”, da quel punto non cessai di tremare, e mi rode la febbre, né so quel che mi faccia. Prega o Severina il tuo Dio che mi perdoni.

La matrona se ne andò a seppellire que’ corpi santi in un suo campo al settimo miglio sulla Via Nomentana, dove li depose in un comune sepolcro[12]. Reduce a casa trovò il marito che delirava e s’imprecava ogni male; poco stante spirò, mordendosi la lingua.

Severina cinse il cilicio, non abbandonò più l’urne de’ Martiri; e quando tornò d’Oriente Sisto papa, impetrò da lui che laggiù celebrerebbonsi i santi misterii in onore di quegli illustri defunti. Continua tuttora a risiedere colà un apposito sacerdote. La natività de’ Santi Martiri vien celebrata il quinto giorno delle calende di Maggio[13], e quella del beato Ermete il quinto delle calende di Settembre[14]. E con ciò sia benedetto Dio ne’ secoli de’ secoli.

 

Da: Conte TULLIO DANDOLO, Roma Cristiana nei primi secoli, vol. II – Martiri, Assisi 1866, 60-70.

 

 

Iscrizione all’ingresso del complesso catacombale

 

Catacombe di s. Alessandro, interno della basilica

 

 

La fenestella confessionis della basilica

 

Interno della Basilica irradiato dalla luce del mattino

 

 

La Basilica durante gli scavi del 1854, in una rappresentazione dell’epoca

 

 

[1] A Roma al settimo miglio della via Nomentana, i santi Evenzio, Alessandro e Teodulo, martiri.

[2] Negli Atti Vaticani l’imperatore è Traiano. Nel rescritto di Adriano a Minucio Fundano, riportato da Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3), l’imperatore invita a procedere nei confronti dei cristiani solo in ordine ad eventi circostanziati, emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche, petizioni o calunnie, stabilendo così il principio dell'onere della prova a carico dei promotori.

[3] Alessandro dubitando della visione, chiede al fanciullo di pregare il “Padre nostro” per provargli di essere uno spirito inviato da Dio e non dall’Avversario.

[4] Al di là di quello che può essere considerato un luogo comune nelle passiones, occorre ricordare che quella degli schiavi rientra tra le categorie di gente presso cui la fede cristiana ebbe maggior successo. Molti di essi, come già la serva cieca del racconto, erano segretamente cristiani o simpatizzanti ad insaputa dei loro padroni.

[5] Ezechiele 33, 21.

[6] Sebbene la scena descritta sia inverosimile, è testimone di una grande verità: che ieri come oggi i cristiani anche se perseguitati o prigionieri non cessano mai di annunciare Cristo laddove si trovano e a tutti coloro che incontrano.

[7] Cfr. Matteo 9, 12-13.

[8] Cfr. Matteo 7, 6.

[9] Nella Chiesa antica il battesimo era chiamato “illuminazione”, i battezzati erano “illuminati”, risplendenti della Luce di Cristo Risorto.

[10] Il giusto Alessandro, come ogni martire rivive nel proprio martirio la passione di Cristo. L’autore della passio ce lo ricorda richiamando l’intervento della moglie di Pilato in favore del giusto Gesù.

[11] Daniele 3.

[12] A causa delle numerose invasioni barbariche, e le conseguenti profanazioni di luoghi sacri, i resti dei santi furono traslati da Pasquale I, insieme a quelli di tutti i martiri delle catacombe romane, presso la chiesa di santa Prassede. Alcune reliquie furono in seguito deposte anche negli altari di S. Lorenzo in Lucina e S. Sabina sull’Aventino. Reliquie di s. Alessandro sono molto venerate a Barrafranca (EN), dove è il santo patrono.

[13] 3 maggio. La Chiesa Ortodossa fa memoria di papa Alessandro I il 16 marzo.

[14] Il martirologio Romano lo ricorda al 30 aprile.

 

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