ATTI PROCONSOLARI DI SAN CIPRIANO

 

 

Estratto da un’antologia di Omelie di Gregorio Nazianzeno (XII secolo): san Cipriano al lavoro (in alto) e san Gregorio mentre scrive il panegirico di san Cipriano (in basso). (Ms. gr. 548, fol. 87v. Biblioteca Nazionale di Parigi)

1. Essendo consoli gli Imperatori Valeriano per la quarta volta e Gallieno per la terza volta, il trenta di agosto, in Cartagine, il proconsole Paterno disse al vescovo Cipriano in udienza privata:

“I sacratissimi Imperatori Valeriano e Gallieno si sono degnati di mandarmi una lettera nella quale hanno ordinato che quanti non praticano la religione Romana si uniformino al culto Romano. Ho fatto inchiesta riguardo al tuo nome. Che cosa mi rispondi?”.

Il vescovo Cipriano disse: “Sono cristiano e vescovo. Non conosco altri dèi, fuorché l’unico vero Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi. A questo Dio noi cristiani serviamo: e giorno e notte lo invochiamo per noi, per tutti gli uomini, per la sicurezza degli stessi Imperatori”.

Il proconsole Paterno disse: “Persisti dunque in questo proposito?”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Un buon volere che aderisce al volere di Dio non può mutarsi”.

Il proconsole Paterno disse: “Potrai allora, secondo le disposizioni di Valeriano e Gallieno, partire in esilio alla volta di Cùrubi”.

Il vescovo Cipriano disse: “Parto”.

Il proconsole Paterno disse: “Si sono degnati di scrivermi non solo a riguardo dei vescovi, ma anche dei presbiteri. Voglio quindi sapere da te quali sono i presbiteri che si trovano in questa città”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Avete provveduto con saggezza e opportunamente con le vostre leggi ad impedire lo spionaggio; non possono quindi essere da me denunziati e deferiti. Li troverete nelle rispettive città”.

Il proconsole Paterno disse: “Oggi ne farò inchiesta qui”.

Il vescovo Cipriano disse: “Essi non possono costituirsi spontaneamente, perché la nostra disciplina ci vieta di offrirci da noi stessi, e ciò dispiace pure alla tua autorità: ma se tu fai inchiesta saranno trovati”.

Il proconsole Paterno disse: “Li troverò io”. E aggiunse: “Hanno anche ordinato che non si facciano in alcun luogo adunanze clandestine e che non si entri nei cimiteri. Pertanto, chi non starà a questa disposizione tanto opportuna, sarà punito di morte”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Fa secondo quello che ti è stato comandato”.

 

2. Allora il proconsole Paterno fece deportare il beato Cipriano nell’esilio. Ed essendo quivi da molto tempo, successe al proconsole Aspasio Paterno il proconsole Galerio Massimo, il quale fece richiamare dall’esilio il beato Cipriano, perché si presentasse in udienza da lui. Il santo martire Cipriano, eletto da Dio, ritornò dunque dalla città di Cùrubi, nella quale era stato relegato per ordine di Aspasio Paterno allora proconsole, e per ordine del magistrato dimorava nella sua abitazione suburbana, e quivi ogni giorno sperava che venissero ad arrestarlo, come gli era stato significato. E mentre quivi dimorava, d’improvviso il giorno 13 di settembre, sotto il consolato di Tusco e Basso, vennero a lui due ufficiali, dei quali l’uno era scudiero del palazzo del proconsole Galerio Massimo, succeduto ad Aspasio Paterno, l’altro era soprintendente delle guardie dello stesso palazzo. Questi lo fecero salire su una vettura in mezzo a loro due e lo condussero a Sesti, dove il detto proconsole Galerio Massimo si era ritirato per riaversi da una malattia. Pertanto il proconsole Galerio Massimo fece rimandare l’udienza al giorno appresso. Frattanto il beato Cipriano, condotto in casa del maggiordomo e scudiero dello stesso palazzo del proconsole Galerio Massimo, uomo illustrissimo, quivi stette ritirato, e si tratteneva con lui nel rione detto di Saturno, fra le porte Veneria e Salutaria. Si radunò colà tutta la folla dei fedeli; Cipriano accortosi di ciò provvide a far sorvegliare le fanciulle, perché ogni sorta di gente faceva ressa nel rione dinanzi alla porta di casa del maggiordomo.

 

3. Il giorno dopo 14 di settembre, numerosa folla si raccolse a Sesti, ove il proconsole Galerio Massimo aveva indetto l’udienza. Il medesimo Galerio Massimo proconsole nel giorno sopra detto, seduto in tribunale nel vestibolo detto Saucìolo si fece venire innanzi Cipriano. Quando si fu presentato, il proconsole Galerio Massimo disse al vescovo Cipriano:

“Tu sei Tascio Cipriano?”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Sono io”.

Il proconsole Galerio Massimo disse: “Tu ti sei comportato come gran sacerdote (tu papam) di gente sacrilega?”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Io”.

Il proconsole Galerio Massimo disse: “I sacratissimi Imperatori ti ordinano di far sacrificio secondo le cerimonie Romane”.

Il vescovo Cipriano disse: “Non lo faccio”.

Il proconsole Galerio Massimo disse: “Rifletti ai casi tuoi”.

Il vescovo Cipriano rispose: “Fa quanto ti è imposto. In cosa tanto giusta non occorre riflettere”.

 

4. Galerio Massimo dopo aver consultato il tribunale pronunziò a stento e malvolentieri la sentenza con queste parole: “Sei vissuto a lungo facendo professione d’empietà e hai raccolto intorno a te moltissimi individui d’una pericolosa setta, ti sei dichiarato nemico degli dèi Romani e delle cerimonie religiose, né i sacratissimi principi Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo Cesare poterono indurti ad aderire alla pratica della loro religione. Pertanto essendo tu autore e istigatore confesso di tali gravissime colpe, servirai di esempio a quanti hai coinvolti nel tuo delitto; col tuo sangue sarà riaffermato il vigore delle leggi”.

Dette queste parole, lesse sulla tavoletta la condanna di morte: “Ordino che Tascio Cipriano sia decapitato”.

Il vescovo Cipriano disse: “Grazie a Dio”.

 

5. Dopo questa sentenza la folla dei fedeli andava dicendo:

“Così essere noi pure decapitati con lui!”.

V’era agitazione fra loro, e in gran numero gli tennero dietro. Cipriano fu condotto nell’aperta campagna di Sesti; quivi si tolse la sopraveste, la cappa, e piegò le ginocchia prostrandosi a pregare il Signore. Indi si tolse la dalmatica e la consegnò ai diaconi, e standosi colle sole sottovesti di lino, attendeva il carnefice. Giunto che fu il carnefice, ordinò ai suoi di dare al medesimo venticinque monete d’oro. I fedeli sporgevano piccole pezze e fazzoletti dinanzi a lui. Il beato Cipriano si fasciò gli occhi di sua propria mano, ma non riuscendo ad annodarsene le cocche, Giuliano presbitero e Giuliano suddiacono gliele annodarono. Così morì il beato Cipriano; il suo corpo fu ritirato in luogo vicino per sottrarlo alla curiosità dei pagani; di là nottetempo fu portato via e fra ceri e rèsine accese con preci e solenne corteo fu accompagnato fino al sepolcreto di Macrobio Candidiano procuratore, situato sulla via di Mappalia accanto ai serbatoi d’acqua. Dopo pochi giorni morì il proconsole Galerio Massimo.

 

6. Il beatissimo martire Cipriano sofferse il martirio il giorno 14 di settembre, durante

l’impero di Valeriano e Gallieno, regnando però il Signore nostro Gesù Cristo, a cui è dovuto l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

da: P. VANNUTELLI (a cura di), Atti dei Martiri 1, Città del Vaticano, ristampa 1962, 60-71.

 

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