Vita di San Gregorio d’Agrigento
[24 novembre]
Su Gregorio d’Agrigento, autore di un commento all’Ecclesiaste, si conosce il Racconto di Leonzio, ieromonaco e igumeno di San Saba in Roma Antica. La cronologia è controversa, ma sol perché non risponde all’Epistolario pseudo-gregoriano[1], sicché non pochi eruditi, per accordare il Racconto alle presunte Epistole di Gregorio Magno, hanno dovuto fare ricorso a continue manipolazioni[2] e, persino, a ipotizzare l’esistenza di due omonimi vescovi agrigentini. Nell’impossibilità di riprodurre integralmente il lungo Racconto, presentiamo una sintesi fedele tratta dall’ottimo D. De Gregorio, Vita di san Gregorio agrigentino, Agrigento, 2000.
Nasce ad Agrigento
Gregorio nasce a Pretorio [Sella di Naro?], un villaggio sopra l’antica città d’Agrigento[3], da Caritone, esperto e valente cantore, e Teodote, oriunda da Thuris [Punta Bianca d’AG?]; è immerso nel lavacro della rinascita dal vescovo Potamione.
Giunto agli otto anni, i genitori portano Gregorio al vescovo, suo secondo padre secondo lo spirito, per compiere gli studi: Potamione affida il bambino a un uomo timorato di Dio, Damiano, valente insegnante. In due anni Gregorio apprende la grammatica, la lettura, il calcolo, il ciclo annuale delle feste e impara a memoria il salterio: supera persino il maestro.
Gregorio ha dodici anni quando i genitori scendono in città per riabbracciarlo: si presentano al vescovo Potamione e gli chiedono di tonsurare il figlio.
Il vescovo taglia i capelli di Gregorio per inserirlo nel clero, e l’ordina lettore; poi l’affida all’arcidiacono e bibliotecario Donato. I genitori sono felici nel sentire che Gregorio legge in modo irreprensibile ed è dolcissimo nel canto.
Un giorno Gregorio, diciottenne, scopre la Vita di san Basilio il Grande; leggendola diligentemente più volte, è preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, dove Basilio ricevette la Grazia del Santo Spirito.
A Gerusalemme
Una notte un uomo appare in sogno a Gregorio e gli dice: “Poiché hai chiesto di vedere Gerusalemme e avere la gioia di visitare quei luoghi santi, di buon mattino portati al mare e troverai chi che ti prenderà con sé”. L’arcidiacono Donato, che dorme nella stessa stanza con Gregorio, si rende conto della visione ma il giovane, di buon mattino si alza senza dirgli nulla, e scende verso la foce dell’Akragas, il fiume che gira attorno alla città per unirsi allo Ypsas. Nello stesso momento, approda una nave per rifornirsi d’acqua potabile. Avvicinatosi, Gregorio viene a sapere che la nave è diretta a Cartagine. È il 30 giugno. Gregorio ottiene il permesso d’imbarcarsi: proprio allora sorge vento favorevole; la nave esce dal fiume e – in tre giorni – approda a Cartagine. Varo, il comandante, durante la traversata era stato tentato di vendere Gregorio come schiavo: ammirato al vedere il giovane pregare senza interruzione, ora lo ospita a casa sua, in una stanza appartata e tranquilla.
Gregorio non esce mai dalla camera, dedito completamente a una somma ascesi; ogni due giorni – a volte, anche dopo tre o dopo un’intera settimana – si nutre con un poco di pane, acqua e verdure scondite. Varo, vedendo la pazienza e la lunga costanza di Gregorio, ne parla al vescovo. Il vescovo manda l’arcidiacono a chiamarlo: lo trova intento a leggere un libro sul martirio dei santi Maccabei. Il giovane si presenta al vescovo: “Mi chiamo Gregorio, vengo dalla città d’Agrigento, della provincia di Sicilia, e vado, se Dio me lo concede per le tue sante preghiere, nella santa Sion”. Gli dice il vescovo: “Nostro Signore Gesù Cristo adempia pienamente il tuo desiderio nella grazia del Santo Spirito! Resta tra noi sino alle sante feste [?] e il Signore Dio provvederà per noi quello che vorrà”.
Dopo alcuni giorni, Gregorio si trova nel martyrion di san Giuliano quando, ecco comparire tre monaci. Uno di loro gli dice: “Gregorio, Dio ci ha manifestato tutto ciò che ti riguarda; Dio ci ha mandato per aggregarti a noi e condurti ai Luoghi Santi, come tu desideri, perché anche noi vi andiamo”. Il comandante dà loro pane e sapa, marmellata di mosto; Gregorio, unitosi ai tre pellegrini, parte da Cartagine; dopo venti giorni di cammino – arriva a Tripoli e sale al martyrion di san Leonzio. Passano trenta giorni e, lasciata Tripoli, i monaci e Gregorio riprendono la loro via: dopo quattro mesi giungono a Gerusalemme e si fermano per la quaresima in un monastero presso la Città santa. Igumeno di quel monastero è un uomo di spirito profetico; egli conferma Gregorio nella vita monastica e nella pratica ascetica e sacerdotale. Avvicinandosi la Grande Settimana, in quel monastero Gregorio vede grandi, straordinarie, incredibili meraviglie: vede uomini che dalla terra salgono al cielo[4].
Giunto il triduo sacro della Risurrezione, l’igumeno si reca nella Città Santa con i suoi ospiti. Entrano nella basilica dell’Anàstasis, venerano i santi luoghi attorno, si comunicano al vivificante corpo e prezioso sangue del Signore Dio.
Il santissimo arcivescovo Macario di Gerusalemme ospita Gregorio e i tre monaci vicino all’episcopio. Terminato l’Ufficio notturno e il Mattutino, l’arcivescovo riceve i vescovi, i presbiteri, i monaci e tutto il popolo, rivolgendo loro un discorso sulla conversione. All’abate che accompagna Gregorio, l’arcivescovo poi dice: “Salve, signor Marco, donde ci conduci il giovane Gregorio?” Gregorio si stupisce molto, al sentirsi chiamare per nome: lui stesso non conosceva il nome dell’abate e degli altri due monaci, pur essendo stato tanto tempo con loro. L’arcivescovo, infatti, fa il nome anche degli altri due: “Abate Serapione, abate Leonzio, ringrazio Dio che ci fortifica in Cristo Gesù e che ci giustifica per mezzo della Grazia del Santo Spirito che ha guidato ai Luoghi Santi quest’uomo che vive della preghiera continua. Vi devo ancora dire altre cose intorno a questo giovane, ma, poiché è il tempo del sacrificio divino, vi riferirò dopo intorno a lui ciò che il Signore mi ha fatto conoscere”.
L’arcivescovo entra in chiesa per compiere la sacra Mistagogia: Gregorio, che è a destra dell’ambone, può vedere la Grazia del Santo Spirito che illumina il santo arcivescovo Macario.
Dopo aver partecipato ai santi misteri, l’arcivescovo invita a mensa Gregorio con i tre monaci; anche l’igumeno del monastero con i fratelli pranzarono con l’arcivescovo domenica di Pasqua [6 aprile 665, o 671, o 676]. Il giorno dopo, i tre monaci si allontanano per salutare i monaci che vivono attorno alla santa Sion; Gregorio, allora, chiede all’arcivescovo: “Santissimo padre Macario, di dove sono questi uomini? lo ho ritenuto che questi uomini fossero dei Luoghi Santi”. L’arcivescovo risponde: “Sono di Roma Antica, lontani da essa circa tre chilometri, e vogliono ritornarvi”. Gregorio: “Temo di non rivederli più”. L’arcivescovo: “No, figlio; torneranno qui la prossima santa domenica”.
Nella settimana di Pasqua, Gregorio abita con l’arcivescovo, lo assiste nelle cerimonie sacre e l’imita nel modo di vivere. Ogni giorno Gregorio legge in modo impeccabile i libri, li intende con molto acume e si mostra valente nella loro interpretazione, perseverando nella preghiera.
Venuta la domenica dell’Antipascha, verso sera, tornano i monaci nella santa Sion. L’indomani, il santissimo arcivescovo Macario, avendoli salutati col bacio santo, congeda Marco, Serapione e Leonzio. Gregorio, allora, piange: “Che cosa farò? Come potrò stare lontano da voi? Dove mi lasciate?” L’abate: “Non piangere: ti affidiamo al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, e al nostro comune padre spirituale, il santo arcivescovo Macario”. E, presolo per mano, l’abate lo conduce ai piedi di Macario dicendo: “Padre reverendissimo, lui, un giorno, avrà il governo della Chiesa e con il timone spirituale della dottrina la reggerà illesa. Tu, o padre di tutti noi, prendi cura di lui in modo che la bellezza della sua anima rimanga sempre splendida, non contaminandosi con le macchie della gioventù, e non lasciare di sostenerlo e fortificarlo con gli insegnamenti della tua magnanima fortezza”. Il santo Macario dice: “Anche tu, padre, conosci la condotta di questo giovanetto: digiuna tutta la settimana, non si stanca mai di meditare sulle Sacre Scritture, leggendo i sacri libri con la massima esattezza, cogliendone il significato e interpretandoli. Figlio, se lo gradisci, rimani qui con noi: se vuoi partire con i fratelli, vattene in pace con loro”. Gregorio: “No, signor mio, non voglio allontanarmi da qui per tutti i giorni della mia vita”. I monaci lo abbracciano piangendo e si allontanano dalla Città Santa il 15 aprile, due giorni dopo della santa domenica dopo Pasqua; Gregorio rimane in Gerusalemme, visitando i Luoghi santi, i monasteri e i kellia degli uomini santi.
Partiti da Gerusalemme, il giorno 1 giugno i monaci arrivano a Tripoli, s’imbarcano su una nave del vescovo di Palermo, proprio in punto per la traversata, e il 15 giugno approdano in Sicilia, dalle parti di Plintiade [Fintiade; oggi: Licata, AG], nel luogo detto Passararia [?]. Ripreso il viaggio dopo alcuni giorni, sbarcano vicino ad Agrigento, alla foce del fiume, dov’è il sobborgo chiamato Emporio. I monaci vanno a bussare alla porta del monastero che sorge là [nel quartiere portuale]. L’igumeno scende ad accoglierli ed, essendosi vicendevolmente scambiata la riverenza, li accompagna in chiesa. Avendo pregato, l’igumeno dice: “Come stai, abate Paolo?”. Meravigliato d’essere conosciuto per nome, l’abate chiede: “Come sta il vescovo Potamione?”. Stupito a sua volta, l’igumeno manda a dire al vescovo dei forestieri. I tre monaci si fermano nel monastero per la Veglia notturna; l’indomani il vescovo Serapione, tramite l’arcidiacono Donato, li invita alla Liturgia per la festa dei santi Pietro e Paolo, e a pranzo.
L’indomani [30 giugno], dopo aver celebrato il Mattutino, i monaci si recano all’episcopio. In quel momento arrivano davanti all’episcopio i genitori di Gregorio, portando i colivi per celebrare l’anniversario della scomparsa del figlio, che credono morto. Al vedere I compagni di scuola di Gregorio, che entrano ed escono da casa del vescovo, Teodote grida: “Figlio mio! Quale lupo ha rubato il mio agnellino? Dov’è sotterrato mio figlio? Chi lo ha ammazzato? Chi lo ha buttato a mare?”
All’udire lo strepito che molta gente d’Agrigento faceva con Teodote, i monaci chiedono spiegazioni al vescovo. Potamione racconta di Gregorio e di come è scomparso: “Abbiamo frugato nelle grotte e nei dirupi, abbiamo fatto ricerche in tutta l’Isola, ma non abbiamo trovato nessuna traccia”. Turbato, l’abate chiede di vedere i genitori del disperso: subito capisce che Gregorio è il figlio di Caritone; il padre somiglia in tutto al figlio, è anche biondo come lui[5]. Si chiama l’ultimo ad aver visto Gregorio, l’arcidiacono Donato, il quale confessa d’aver visto l’essere divino che aveva invitato il giovane alla partenza: “Per paura non feci conoscere a nessuno la visione, temendo che non mi credessero e anzi ritenessero che io l’avessi o venduto o ammazzato”. L’abate può quindi iniziare il suo racconto: “Una notte che eravamo alloggiati presso la basilica di San Pietro, apparvero due uomini che ci dissero: Partite presto per Cartagine; a casa di Varo, proprietario d’una nave, troverete un certo Gregorio di Agrigento; accompagnatelo a Gerusalemme e presentatelo all’arcivescovo Macario che è già stato avvertito di tutto… Trovata una nave, in dieci giorni siamo arrivati a Cartagine e abbiamo trovato Gregorio, in preghiera nella chiesa di San Giuliano; con lui siamo andati a Gerusalemme e la domenica del Rinnovamento l’abbiamo lasciato dal vescovo Macario”. I genitori di Gregorio svengono, tutti gridano, l’abate specifica: “Gregorio vive e sta bene; somiglia al padre: è biondo, ha occhi belli, bocca e naso armoniosi, sopracciglia perfette, labbra sottili”. Dopo tre giorni, i monaci salutano il vescovo Potamione e si recano a Palermo, da dove salpano alla volta di Roma Antica.
A Costantinopoli
A Gerusalemme, intanto, venuta la Pentecoste, Gregorio è ordinato diacono dall’arcivescovo Macario. Pochi giorni dopo, Gregorio si reca a visitare i monasteri del Monte degli Ulivi e, trascorso colà un anno, s’incammina verso il deserto. Guidato da un monaco, in venti giorni di cammino, Gregorio giunge a una piccola oasi in cui c’è la capanna di un vecchio eremita. Rimane quattro anni col gheron, e Gregorio con lui studia retorica attica, grammatica, filosofia e a astronomia, come un secondo Giovanni Crisostomo[6]. Tornato a Gerusalemme e chiesto il permesso dell’arcivescovo Macario, Gregorio il 20 aprile parte per Antiochia: il vescovo Eustazio per un anno lo ospita in un kellion dove [secondo una tradizione altrimenti sconosciuta] san Basilio il Grande scrisse l’Exaimeron. Dopo un anno, Gregorio si reca nella Nuova Roma, a Costantinopoli, e si dedica allo studio delle opere del Crisostomo, dimorando nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco.
Avendo saputo della presenza in quel monastero d’un giovane molto dotto, l’arcivescovo di Costantinopoli incarica il diacono Costantino e Massimo il Filosofo di esaminarlo. Questi vanno al monastero per la Veglia. Dopo il canto del Signore mi hai esaminato e mi hai conosciuto [salmo 139], si legge l’omelia del Crisostomo su Giobbe; dopo altri salmi, Gregorio stesso legge gli Arcani del Nazianzeno: è spiegando i brani più difficili di quest’opera, che Gregorio riscuote l’approvazione degli esaminatori. Appena il vescovo di Costantinopoli è informato, esclama: “Ecco l’occhio della Chiesa ortodossa; Gregorio dalla svelta mente!”[7], e chiede al diacono siciliano di fermarsi nella Città, per partecipare a un concilio contro il fetore dell’eresia messa fuori dagli empi Ciro [d’Alessandria, m. 642], Sergio [di Cpoli, m. 638] e Paolo [di Cpoli, m. 653].
Il Concilio [Ecumenico 6°] iniziò pochi giorni dopo [7.11.680], alla presenza dei vescovi di Alessandria e Antiochia e di tutti i vescovi dell’Oriente: assente giustificato per malattia il papa di Roma[8]. Gregorio vi partecipò in rappresentanza del vescovo di Costantia di Cipro, e svergognò molti vescovi eretici che pensavano da insensati intorno alla Trinità[9]. L’imperatore Giustiniano[10] si congratula con il giovane diacono, presentatogli dallo spatario Marciano, e lo congeda: Gregorio parte per Roma Antica. Vi giunge il 21 giugno; dopo aver venerato le tombe degli Apostoli, si ritira nel Monastero di San Saba [all’Aventino].
Ad Agrigento
Intanto la Chiesa di Agrigento è spaccata: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni vogliono eleggere a successore il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta dell’arcidiacono Euplo, si reca allora a Roma Antica una commissione, della quale fa parte anche Caritone, il padre di Gregorio: alla notizia dell’arrivo degli agrigentini, Gregorio si nasconde nel Monastero di Sant’Erasmo [al Celio], pensa persino di scappare in Spagna [?]. Continuando la lite tra le due fazioni, il papa suggerisce di accettare come vescovo colui che era stato onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli: manda quindi alla ricerca di Gregorio; lo si trova nascosto nel giardino del monastero; nonostante le sue resistenze e proteste, Gregorio il 16 agosto è costretto a partire per la Sicilia, accompagnato dal vescovo Felice. Il 10 settembre la nave arriva a Palermo: Gregorio è accolto festosamente dal vescovo locale; al suo passare, un monaco lebbroso guarisce all’istante. Gregorio sosta qualche giorno nel metochio episcopale di Libertino[11] che la Chiesa agrigentina aveva in Palermo, presso il tempio di San Giorgio [presso Porta Carini?]. Dopo tre giorni Gregorio salpa da Palermo e, in due giorni di navigazione, sbarca a Emporio d’Agrigento, nel primo pomeriggio: al suo apparire, un monaco sordomuto guarisce. Gregorio è accolto con una solenne Litì e accompagnato nel Monastero della Theotokos, che sorgeva all’Emporio. L’indomani le autorità civili e militari scortano il nuovo vescovo in città: le donne attendono festanti presso la Porta [Aurea]. Con le mogli dei diaconi e dei sacerdoti c’è anche Teodote, la madre di Gregorio: il vescovo bacia i piedi della mamma e saluta, una per una, le reverende signore[12].
Era il 13 settembre, vigilia dell’Esaltazione della Croce: durante la celebrazione della divina Mistagogia, il vescovo Felice vide che la Potenza di Dio ricopriva Gregorio.
Il nuovo vescovo ordina subito sacerdoti e diaconi, tre dei quali – Filadelfo, Platonico e Smaragdo [o Erasmo?] – vanno ricordati in particolare, e inizia a visitare le famiglie di Agrigento: prodigiosamente, guarisce la figlia del sacerdote Sabino. Ingrato, Sabino si accorda col presbitero Crescentino – prima, erano rivali – per far consacrare vescovo un certo Leucio. Questi, professante eretiche dottrine sull’economia dell’incarnazione, era stato mandato in esilio proprio per intervento di Gregorio; deposto da un sinodo locale di Laodicea, viveva a Modiolo [?], nascosto in casa dell’Illustre Teodoro. I tre assoldano la prostituta Evodia, anzi la costringono; mentre Gregorio è in chiesa per il Mesonittico, la nascondono nella camera del vescovo, avendo corrotto i portinai Tribuno e Danatzane; l’indomani i tre fanno scoppiare lo scandalo. Gregorio è arrestato e incarcerato nella stessa prigione in cui, al tempo di Tircano [?], fu martirizzato di spada il vescovo di Lilibeo [Marsala, TP] san Gregorio[13]. La maggior parte degli agrigentini, tuttavia, non crede alle accuse: i congiurati coinvolgono allora Tiberio, il diacono del Papa, che in quei giorni si trovava a Filosofiana [Sofiana, presso Mazzarino – EN]; questi accorre ad Agrigento per processare Gregorio. Riunite nel Foro, le autorità locali si ribellano: “Non è legittimo che tu giudichi quest’uomo – dicono al diacono pontificio – e non è legale che Gregorio sia processato da te e non da un sinodo”. Al diacono del Papa non resta che rapire Gregorio: di nascosto, nottetempo, insieme al diacono Platonico, il vescovo è costretto a imbarcarsi su una nave che fa rotta per Roma Antica; il marinaio Procopio è latore dell’atto d’accusa. La notizia che il vescovo è stato tradotto a Roma si diffonde subito e dilaga la rivolta: a stento il diacono pontificio si sottrae alla furia degli abitanti che vogliono ucciderlo, a stento riesce a scappare. I notabili d’Agrigento protestano con l’Arconte della Sicilia e con il vescovo di Siracusa [metropolita dell’Isola]: questi inviano una squadra di duecento uomini [per garantire l’ordine pubblico?] e un arcidiacono per mettere i sigilli all’episcopio di Agrigento.
In carcere a Roma
Giunto a Roma, Gregorio è messo in prigione: o scelleratezza, o durezza di cuore, o cattiveria di cui era pieno il Papa![14] Solo dopo un anno si ricordò del misero vescovo in catene! Si presenta, infatti, a lui l’abate Marco di San Saba per insistere: il Papa non ha il diritto di processare Gregorio senza aver prima sentito il parere dell’arcivescovo di Costantinopoli e, soprattutto, dell’imperatore. Subdolo è l’atteggiamento del Papa, che convoca subito – il 10 luglio – gli accusatori del vescovo agrigentino: sa bene che la missiva indirizzata all’Imperatore e al Patriarca Ecumenico, giungerà a Costantinopoli mesi dopo. L’imperatore e il patriarca, tuttavia, nominano una commissione composta dai vescovi di Ancira, Cizico e Corinto, dal diacono Costantino (skevofilax della Grande Chiesa) e dallo spatario Marciano, con l’incarico di recarsi a Roma Antica per convocare un Sinodo. Giunti a Roma, questi inorridiscono al vedere la terribile prigione in cui era tenuto lo “straniero” – come a Roma era chiamato il siciliano Gregorio – in attesa di processo da quasi due anni e mezzo. Il Papa allora prende tempo: il processo si apre solo dopo la Pasqua dell’anno successivo, nel tempio di Sant’Ippolito, presso il carcere [presso San Pietro in Vincoli]. La composizione è chiaramente sbilanciata: il Papa e circa 110 giurati contro Gregorio, la Delegazione Imperiale e Patriarcale e pochi altri a favore. Prende la parola il vescovo di Ancira, in difesa di Gregorio o, piuttosto, della legalità: pretende che testimoni e accusatori siano interrogati in presenza dell’accusato[15]. Colpo di scena: proprio l’infelice Evodia smantella l’impianto accusatorio e confessa l’ignobile tranello, chiamando in causa gli indegni Sabino e Crescentino.
L’indomani il processo continua nella basilica di San Pietro, nell’atrio detto di Sant’Andrea. Sabino è condannato all’esilio in Tracia e Crescentino in Spagna, insieme a Leucio; altri, coinvolti nella vicenda, sono confinati chi a Ravenna e chi tra i Baschi; altri ancora finiscono in carcere nella stessa Roma Antica. Evodia fu rinchiusa nel Monastero di Santa Cecilia dove trascorse in penitenza gli ultimi anni, ventidue, della sua vita. Il sinodo condanna persino i futuri eredi dei colpevoli, e ordina la ricostruzione della cattolica, della chiesa centrale d’Agrigento, profanata dall’empio Lucio (il quale aveva persino ribaltato l’altare per trarne e distruggere le reliquie in esso custodite). Alla Chiesa di Agrigento, infine, si assegnano i beni demaniali sui quali avanzava pretese la Chiesa di Roma: addirittura, la metà della città siciliana, come documentato da rescritto imperiale che Gregorio curò di procurarsi a Costantinopoli[16].
Gregorio riabilitato
Dopo il processo, infatti, l’imperatore invita Gregorio a Nuova Roma: insieme al vescovo agrigentino, Giustiniano [II] dedica tutta la quaresima a formulare sacri canoni a beneficio della Chiesa universale[17]; Gregorio approfitta della sua permanenza nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco per tenere discorsi sui dogmi, sulla quaresima, su san Pietro, su sant’Andrea, ecc.
Gregorio fa quindi ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa [Teodora]: tra accoglierlo c’è ancora il padre e, tra le reverende presbitere, anche la madre; Gregorio non vuole però entrare nell’episcopio[18], e si stabilisce presso il tempio dedicato a Eber e Raps [divinità puniche = Eracle e Trittolemo o Castore e Polluce?] che trasforma in chiesa cristiana, dedicata ai santi Pietro e Paolo; la precedente cattedrale, infatti, era stata riconsacrata – o meglio, profanata – da due compari di Leucio, gli eretici vescovi del Grande Ponto e di Seleucia[19]. Gregorio morì in pace, dopo una lunga vita e dopo aver edificato il popolo con molti miracoli[20].
Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/agrigento.htm
[1] Si attribuiscono al papa Gregorio I (590\604) un migliaio circa di Epistole, verosimilmente redatte sul finire dell’8° secolo da compilatori di facsimili per la Curia Pontificia, o – come esercitazione scolastica – da “concorrenti” alla Cancelleria, oppure da quei falsari che confezionarono i documenti esibiti a Carlomagno da Adriano I per giustificare le pretese territoriali del Papato. È verosimile che alcuni “casi” liturgici e morali, risolti nelle Epistole, siano stati tratti dal Racconto di Leonzio e fittiziamente riferiti all’età gregoriana.
[2] Per accordare il Racconto all’Epistolario pseudo-gregoriano, è necessario falsificare il testo trasmesso dalla tradizione, cambiando quasi tutti i nomi citati dall’agiografo (patriarca Macario: Giovanni VI; imperatore Giustiniano II: Maurizio; ecc.) ed eliminando sia la menzione degli eretici Sergio, Ciro e Paolo, sia dei Concili Costantinopolitani..
[3] Akragas, “la più bella città dei mortali” (Pindaro), fondata nel 581 a.C. da cittadini di Gela (colonia di dori-cretesi), invasa dai Normanni nel 1086, subisce la cattolicizzazione a opera di Gerlando di Besançon, un allobrogo imparentato con i conquistatori; per molti secoli il Patriarcato Ecumenico continua, tuttavia, a conferire il titolo di vescovo agrigentino. Nel 20° secolo la città riacquista l’antico nome, abbandonando quello ereditato dai Berberi (Girgenti, da Kerkent) e la Sacra Arcidiocesi d’Italia ricostituisce una parrocchia ortodossa.
[4] Monaci in estasi o Gregorio assiste a fenomeni di levitazione?
[5] Una singolare anomalia genetica (colorito scuro \ occhi verdi; capelli biondi \ occhi scuri), riscontrabile in Sicilia e Grande Grecia sin dalla preistoria (tramite l’esame del DNA), di solito è attribuita, invece, alla fusione tra l’etnia locale – romana ortodossa – e gli invasori francogermanici. Non è l’unico caso in cui l’agiografia (vedi, per es. san Filarete l’Ortolano) smentisce il luogo comune.
[6] In realtà, l’agiografo pare che qui abbia copiato la Vita di san Giovanni Crisostomo.
[7] In greco, grègoros = veloce.
[8] I pochi mesi del pontificato di Agatone furono funestati da una tremenda peste che spopolò Roma Antica: il papa morì a Concilio appena iniziato.
[9] Tra gli “insensati eretici” il Concilio condannò anche Onorio, papa di Roma Antica.
[10] Il minorenne Giustiniano II, figlio di Costantino IV che convocò e presiedette il VI Concilio Ecumenico.
[11] Secondo la tradizione, primo vescovo d’Agrigento è un san Libertino, martire – pare – a seguito degli editti persecutori promulgati da Valeriano (257 e 258).
[12] Teodote è tra diaconesse e presbitere perché madre d’un vescovo e sposa d’un cantore.
[13] Del tutto sconosciuto: a meno che non si tratti di quel vescovo Gregorio, fedele al dogma di Calcedonia, giunto in Sicilia con il diacono Demetrio e l’asceta Calogero; questi si ritirò (nascose?) nelle caverne del Monte Cronio presso Sciacca – AG, mentre i primi due subirono il martirio (dai Vandali?).
[14] Testuali parole della Vita. Da notare: agrigentini, arconte imperiale e metropolita di Siracusa, formano un “partito” contrapposto a quello formato da eretici, diacono pontificio e Papa.
[15] In tutta la vicenda è evidente il contrasto tra una posizione garantista, improntata al Diritto Romano, e una posizione giustizialista o barbarica.
[16] All’epoca in cui fu scritto il Racconto di Leonzio, a Roma Antica già era nota la leggenda alla base della famigerata Donatio Constantini.
[17] Si parla del Concilio del 692, il Quintosesto? Gran parte dei suoi canoni tentano di riportare la cristianità occidentale all’ortodossia della tradizione liturgica e disciplinare.
[18] Può darsi che, per qualche tempo, Agrigento sia stata divisa tra eretici e ortodossi?
[19] Il Grande Ponto è forse l’Armenia Minore; Seleucia è il centro della Chiesa Nestoriana che in un Sinodo del 486 permise le nozze dei vescovi: il metropolita Barsauma di Nisibi, per “dare l’esempio”, sposò la monaca Mamoe. Si noti che Sabino, pretendente alla sede vescovile d’Agrigento, è coniugato.
[20] Manca lo spazio per elencare i molti miracoli della Vita; manca lo spazio, purtroppo, per riportare le tante preghiere disseminate nel testo e che, messe insieme, formerebbero un piccolo Eucologio.