JAKOV VLADIMIROV IEROMARTIRE († 1918)
Beata la nostra Chiesa, illuminata dall’onore della divina degnazione, illustrata nei nostri tempi dal sangue glorioso dei martiri! Candida era prima per le opere dei fratelli, purpurea è divenuta ora per il sangue dei martiri. Ai suoi fiori non mancano né i gigli né le rose. Gareggi ognuno per conseguire la più alta dignità nell’uno e nell’altro campo. Ricevano tutti le corone, o quelle candide delle opere o quelle purpuree della passione. Nei celesti accampamenti sia la pace che la guerra hanno le loro corone, di cui il soldato di Cristo si incorona nella gloria.
Dalle “Lettere” di san Cipriano vescovo di Cartagine, martire
Poco tempo dopo lo scoppio della Rivoluzione del ‘17, i bolscevichi cominciarono rapidamente in tutti i modi a liquidare il “clero influente”, molto presto la persecuzione giunse anche nella regione di Voronez. Lì presso il villaggio di Plotova, appartenente all’eparchia di Voronez, viveva un sacerdote di nome Jakov Vladimirov, impegnato non solo negli interessi spirituali dei suoi parrocchiani ma anche in come guidarli al meglio nelle loro attività agricole.
Un abitante di Plotova, noto ladro di cavalli, un giorno si presentò ai rappresentati locali del partito per denunciare padre Jakov. Poco dopo, cinque inquirenti si presentarono da padre Jakov, gli chiesero educatamente ospitalità per la notte dicendo di essere lì per esaminare una querela. Durante la cena chiacchierarono amabilmente con la sua famiglia e gli consigliarono di passare la notte nella scuola vicina per “evitare il sospetto che le loro coscienze incorruttibili di rappresentanti della giustizia, potessero essere influenzate da conversazioni prolungate con lui”. Intanto, inquietanti voci avevano preoccupato il villaggio e sessanta parrocchiani si recarono nella scuola per passare lì la notte e proteggere così padre Jakov. Al mattino gli inquirenti andarono alla scuola e vi trovarono l’intero villaggio radunato.
Gli inquirenti uscirono dalla scuola col padre Jakov e quelli che lo proteggevano e si diressero al magazzino. Li raggiunsero la moglie del sacerdote ed il figlio Aleksij, di 15 anni. Il più anziano degli inquirenti prese al padre l’orologio d’oro e se lo fece scivolare in tasca. Qualcuno osservò, in quel momento, che una fossa era stata scavata dietro il deposito.
Senza dire una parola, il padre si segnò con la sua croce sacerdotale e si mise a pregare. L’inquirente lo afferrò per i capelli e gli tirò un colpo di pistola alla nuca; il proiettile, fendente, strappò in parte la testa della vittima. Il padre cadde nella fossa. Un secondo inquirente si avvicinò alla moglie del sacerdote e fece fuoco: ella cadde. Si avvicinò allora ad Aleksij e gli disse: “Non penso che ti serva vivere dopo questo fatto. Dammi i tuoi stivali, perché rovinarli?”. Aleksij si sedette, si sfilò gli stivali e non si alzò più. La folla, inorridita, fuggì.
Il figlio minore del sacerdote, Vaniuscia (Ivan) di 12 anni, aveva dormito fuori dal villaggio. Un inquirente raggiunse il luogo. Vania non era nella capanna. L’uomo chiamò e credé di scorgere la testa del ragazzo. Sparò. L’ucciso non era Vania ma un piccolo vicino. Avvertito, Vania non tornò a casa e lasciò Plotova.
Eravamo nel 1918. Chi ha scritto queste righe è anche colui che ha celebrato nella sua chiesa le esequie delle vittime.
Arciprete Michel Polsky
Tratto con alcuni adattamenti da “Les nouvex martyrs de la terre Russe”,
ed. Résiac, France 1976, pp. 41-42