Martirologio serbo:
15 Giugno
COMMEMORAZIONE DEI
NEOMARTIRI DELLA TERRA SERBA[1]
Il presente testo è una traduzione tratta dalla rivista The Orthodox Word. La versione inglese è riscontrabile nel sito: http://www.fr-d-serfes.org/orthodox/serbianmartyrs.htm
Non esiste maggiore testimonianza del totale amore di Dio in Cristo per il potere del Santo Spirito, che l’amore puro e incondizionato che un cristiano ha per il suo prossimo e per tutta la creazione di Dio. L’amore di Dio attraverso un fratello si esprime più pienamente nel servizio umile e sincero agli altri, e specialmente nell’arte di sacrificarsi per il prossimo. Deporre la propria vita per l’aiuto e la promozione di un’altra persona è la vetta di ciò che significa seguire Gesù Cristo, essere un figlio della luce e un amico degli uomini. La testimonianza cristiana di deporre la propria vita martirio, dalla parola greca “martyria” che letteralmente significa “testimonianza” – è ciò che il nostro Salvatore ha compiuto per la vita del mondo (Gv 6, 51), poiché Gesù Cristo non era un mero mortale, e la sua morte sulla Croce è stata più grande di qualsiasi altra morte sacrificale nella storia del mondo. Gesù era il Dio-uomo, veramente Dio in forma umana, e perciò il suo sacrificio sulla Croce esibì e dimostrò l’amore sovrabbondante di Dio stesso per la propria creazione. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. (Gv 3, 16) Nello stesso modo, come ogni cristiano ortodosso crede, sono gli emulatori di questo sacrificio di Gesù – i gloriosi martiri – che sono stati sempre considerati i protettori della Fede, poiché in tutti i secoli hanno custodito la nostra Fede integra e pura da ogni contaminazione del diavolo. E ogni Chiesa ortodossa locale che ha nella sua storia resoconti di martirio può giustamente essere considerata benedetta da Dio e anche giustificata ai suoi occhi.
Riguardo a questa prova e testimonianza della Fede sacrificale di Cristo il Signore, la Chiesa Ortodossa Serba rimane agli occhi del Signore e dell’intero mondo cristiano la più preziosa e bella! Fin da quando il cristianesimo fu introdotto nei Balcani tra i serbi, la persecuzione e la resistenza al potere di Cristo hanno sempre alzato le loro orride teste. È sufficiente uno sguardo alle vite dei Santi serbi per rendersene conto. I nemici dei pii ortodossi serbi li hanno perseguitati senza sosta in tutti i secoli. Hanno attaccato i loro patriarchi, vescovi, preti, monaci e pii fedeli, massacrandoli, impiccandoli e impalandoli, e allo stesso tempo saccheggiando e devastando molte chiese, scuole e monasteri ortodossi serbi. Alla fine del sedicesimo secolo, i turchi impiccarono il patriarca dei serbi Jovan (Kantul), poiché questi sosteneva un movimento di liberazione nazionale; il Vescovo Teodoro di Vrshac fu scorticato vivo nel 1595 per la stessa ragione. Durante i giorni oscuri di Sinan Pasha, i turchi bruciarono le sante reliquie di San Sava I sulla collina di Vrachar, un orrendo crimine religioso e politico commesso contro l’intero popolo ortodosso serbo. Nella seconda metà del diciassettesimo secolo il Patriarca Gabriele fu strangolato a morte dai turchi per avere stabilito legami con la Chiesa ortodossa di Russia. All’inizio del diciottesimo secolo la Chiesa Ortodossa Serba della Dalmazia, che a quel tempo era sotto il dominio della Repubblica di Venezia, soffrì amare persecuzioni per la propria fede ortodossa, che sosteneva il loro desiderio di diritti nazionali. Due figure di spicco – l’Abate Isaia del monastero di Dragovic e Padre Peter Jagodic-Kuridza del villaggio di Biovice (Dalmazia) – furono imprigionati e torturati per oltre quarant’anni. Nessuno dei due, tuttavia, volle abbandonare la Fede ortodossa né la fedeltà nazionale al Regno ortodosso di Serbia.
Tribolazioni simili ebbero luogo durante l’eroico sforzo di liberazione nazionale dei serbi all’inizio del diciannovesimo secolo. Centinaia di nobili membri del clero ortodosso furono impalati nei campi di Kalemegdan a Belgrado, o furono uccisi direttamente nei campi di prigionia. Attraverso tutte queste prove il costante grido che univa e confortava i serbi era il grido di raccolta del Kosovo, “Per la Croce preziosa e la libertà dorata,” un richiamo cristiano basato sulla lotta trionfante di Gesù Cristo sulla Croce. Per i serbi, in questo periodo, morire per Cristo e per la Fede ortodossa era un onore, un santo privilegio che ai loro occhi sarebbe stato ricompensato con la vita eterna e beata. Come credono tutti i pii cristiani ortodossi, infatti, la Croce fu il primo passo della vittoria finale del Signore sul diavolo e sul suo potere; e la Risurrezione del Signore, il culmine della sua vittoria, concede la vera libertà a tutti quanti perseverano. Per questo i cristiani serbi furono felici di “deporre le proprie vite” per Cristo a favore delle proprie famiglie, degli amici e della nazione.
Durante il primo quarto del ventesimo secolo, soprattutto durante gli anni 1913, 1914 e 1915, ripresero i terribili assalti del maligno contro la Chiesa serba. Questi anni sono stati annoverati come i primi anni del martirio della Chiesa serba nei tempi moderni. Assediata dai tedeschi, dagli ungheresi, dai bulgari e dagli albanesi, la Chiesa serba ha sofferto amaramente in questo periodo. Per esempio, il Metropolita Vincenzo di Skopje (Macedonia*) fu bruciato vivo nella gola di Surdulica assieme a 157 preti serbi. In seguito, negli anni trenta, i serbi soffrirono tremendamente sotto l’infame concordato, che cercava di limitare i loro diritti religiosi e civili[2].
Ma di tutte le persecuzioni della nazione ortodossa serba, nessuna fu più straziante e terribile di quelle che iniziarono nel 1941. I serbi e la Chiesa serba furono forzati a subire alcune delle peggiori atrocità che il mondo abbia mai conosciuto. Si è detto che questi cristiani furono torturati ancor peggio degli ebrei da parte degli egiziani, come è narrato nel Libro dell’Esodo; peggio delle barbare annichilazioni dell’antica Cartagine e dello sterminio dei cristiani in Nubia e nel Nord Africa, e anche peggio delle vittime dell’Olocausto nella Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. In totale, oltre 800.000 serbi furono macellati e uccisi dal regime di Ante Pavelic nello “Stato libero di Croazia” nel corso della seconda guerra mondiale. Inoltre, molte migliaia di serbi furono forzati a convertirsi al cattolicesimo romano sotto minaccia di morte (a molti fu semplicemente chiesto di farsi il segno della Croce, e se lo facevano nel modo ortodosso, da destra a sinistra, venivano torturati all’istante). Inoltre, vi furono oltre 300.000 civili uccisi da tedeschi, bulgari, ungheresi e albanesi: molti di loro furono mandati in campi di concentramento a morire di fame. Alla fine, il bilancio dei martiri serbi fu di oltre un milione e mezzo, o più di un terzo dell’intero popolo serbo, nell’arco di trent’anni (1914-1944, dalla prima alla seconda guerra mondiale).
Dobbiamo fornire gli orribili dettagli di queste atrocità? I ventri di donne gravide furono squarciati; furono arrostiti uomini su graticole da animali (vi furono casi in cui alcuni furono forzati a mangiare le membra arrostite dei propri familiari). Furono compiuti maligni esperimenti medici. Vi furono persone impalate, segate in due, occhi cavati dalle orbite. I cuori di vittime innocenti furono strappati e mangiati dai loro avversari. Morti lente e agonizzanti potevano durare per settimane intere. Ogni tipo di tortura che il diavolo poteva instillare nei confronti di altri esseri umani si manifestò in pieno in quegli anni di tribolazione.
Durante queste persecuzioni i capi della Chiesa Ortodossa Serba furono i primi a soffrire e a offrire la vira per il loro popolo. Il Vescovo Platone di Banja Luka (Bosnia) fu ucciso in un modo incredibilmente bestiale: fu portato dagli Ustascia[3] assieme a un prete arrestato in precedenza, Padre Dusan Jovanovic, al villaggio di Vrbanja, dove le loro barbe furono rase con un coltello smussato, i loro occhi cavati, i loro nasi e orecchie tagliati, e un fuoco fu acceso sul loro petto. I loro corpi, assieme a quelli di diversi altri martiri del clero, furono gettati nel fiume Vrbanja.
L’Arcivescovo Pietro (Zimonic) di Sarajevo (Bosnia) fu avvisato dagli Ustascia del pericolo in cui si trovava, ma replicò: “Sono il pastore del popolo, ed è mio dovere stare con la mia gente nella buona e nella cattiva sorte”. Fu arrestato e imprigionato dagli Ustascia il 12 maggio 1941, ma prima fu in grado di trasmettere un messaggio ai suoi preti: “Restate nelle vostre parrocchie, e tutto quanto accade al popolo, sia pure il vostro destino”. Fu torturato e umiliato in ogni modo concepibile, e quindi gettato in un pozzo a morire assieme a 55 preti ortodossi.
L’Arcivescovo Dositeo di Zagabria (Croazia) fu arrestato il 2 maggio 1941, imprigionato, picchiato e brutalmente tormentato in una prigione della polizia degli Ustascia, con religiosi cattolici romani che prendevano parte a tale oltraggio. Il risultato di queste torture fu visto da Arnold Robert, il console belga, che disse: “Per Dio, questa gente ha commesso azioni da selvaggi!” Anche il capo della polizia degli Ustascia commentò: “Il Metropolita fu torturato così atrocemente che fu a malapena possibile metterlo sul treno per Belgrado”. Egli morì a Belgrado il 14 gennaio 1945.
Il Vescovo Sava (Trlaic) di Plaski (Lika) fu imprigionato il 13 giugno 1941 e torturato al di là della sopportazione in una stalla assieme a diversi preti. Durante le sevizie veniva suonata una registrazione di “Quanti in Cristo siete stati battezzati, di Cristo vi siete rivestiti”. Al vescovo confessore, con mani e piedi in catene, fu permesso di prendere congedo dalla madre di 83 anni. Alla metà di agosto dello stesso anno egli fu condotto al monte Velebit e gettato in un burrone assieme a numerosi altri serbi.
Anche il Vescovo Irenei di Dalmazia fu imprigionato e in seguito trasferito in Italia in un campo di concentramento presso Trieste. San Nicola (Velimirovic) ebbe a soffrire nel peggior campo di concentramento della Gestapo, Dachau.
Il caso del Patriarca Gabriele (in carica dal 1937 al 1950) va menzionato. Egli era disprezzato dai nemici della Chiesa serba non solo per il suo rango di guida, ma per le sue proteste contro questo trattamento disumano del suo popolo e gregge. Dopo che Belgrado fu bombardata nell’aprile 1941, il Patriarca Gabriele fuggì al Monastero di Ostrog in Montenegro, dove fu raggiunto dal Re Pietro Karageorgevic di Yugoslavia. Quanto il governo reale decise di lasciare la Yugoslavia assieme al re, al Patriarca Gabriele fu chiesto di fuggire, ma egli si rifiutò di andarsene, preferendo condividere le sofferenze del suo gregge spirituale. Il 9 maggio 1941 i nazisti arrestarono Gabriele e i preti assieme a lui a Ostrog, accusando il Patriarca di furto di proprietà governative appena rivendicate. (Essere arrestato non era cosa nuova per il pio Gabriele, che era stato arrestato nel 1915 al Monastero di Pec dagli austro-ungarici.
Da Ostrog il sessantatreenne patriarca, per decreto dei nazisti, fu obbligato a viaggiare a piedi fino a Belgrado, circa a un mese di viaggio da Ostrog. Con orrore di tutti, gli furono tolti senza rispetto gli abiti monastici, e fu costretto a fare l’intero viaggio in biancheria intima. Questo piano umiliante dei nazisti fallì, poiché dovunque passava il patriarca, i cristiani serbi piangevano e si inginocchiavano pregando Iddio onnipotente di alleviargli le sofferenze. La testimonianza di fede cristiana del Patriarca Gabriele fu un’enorme fonte di forza e di conforto per i pii cristiani serbi di quel tempo. Come mite agnello di Dio, emulava il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che fu deriso e umiliato, e si avvalse solo di coraggio divino, verità e mitezza per perseverare e trionfare alla fine. Il Patriarca Gabriele fu quindi imprigionato nel campo di concentramento di Dachau in Germania (assieme a San Nicola), e rientrò poi sul trono patriarcale dopo la guerra. Fu uno dei più grandi confessori della Fede ortodossa che il popolo serbo abbia mai avuto.
Molti membri del clero e monaci furono trucidati proprio al di fuori delle mura delle loro chiese e monasteri, nelle più grandi città quali Krushevac, Kragujevac, Mostar e Novi Sad.
Qui non vi sono che pochi tra i ben noti esempi di tormenti ai quali è stata sottoposta la Serbia:
Glina – Oltre 120.000 persone furono massacrate dagli Ustascia, in gruppi fino a seicento per ogni sera, uccisi nelle chiese ortodosse locali. I pochi che sopravvissero fuggirono nell’area di Petrova Gora.
Vrgin Most – Il 3 agosto 1941 3.000 serbi furono massacrati per essersi rifiutati di convertirsi al Cattolicesimo romano.
Vojnic – Il 29 luglio 1941 il capo della polizia degli Ustascia a Zagabria, Bozidar Gervoski, arrivò con un certo numero di poliziotti. Dopo avere rastrellato circa 3.000 cristiani serbi da Krjak, Krstinje, Siroka Reka, Slunj, Rakovica e da altri villaggi, e dopo averli irrisi e torturati, li portarono al mulino del villaggio di Pavkovic, dove li macellarono come bestiame.
Kordun, Slunj, Ogulin, Vrbovsko – La lunga lista di sacrifici cruenti ebbe inizio con il prete martire P. Branko Dobrosavljevic di Veljun. A Padre Branko fu ordinato di leggere il canone di preghiera della dipartita dell’anima sul corpo del figlio, ancora vivo. Il figlio fu quindi ucciso in sua presenza, ed egli stesso torturato e ucciso. Seguirono per diverse settimane esecuzioni di massa di serbi innocenti, inclusi donne e bambini.
Churug, Novi Sad – Alla festa ortodossa della Natività di Cristo del 1942 circa 1.200 serbi, con i loro parroci, furono crudelmente assassinati a Churug. Alla fine dello stesso mese altri 1.300 serbi, clero incluso, subirono la stessa fine a Novi Sad.
Sadilovac – Il 31 Luglio 1942 la Chiesa della Natività della Deipara fu bruciata fino alle fondamenta, assieme a 463 persone, di età che andava da bambini appena nati ad anziani uomini e donne.
Monastero di Zhitomislic – il 26 giugno 1941 gli Ustascia croati torturarono e assassinarono tutta la fraternità del monastero, gettando i loro corpi in un pozzo. Un frate cattolico romano rimosse con un trattore tutti gli oggetti di valore della chiesa, che fu in seguito demolita, e gli altri edifici del monastero bruciati.
Jasenovac – Questo fu uno dei più orribili siti di persecuzione contro i serbi ortodossi. Gli Ustascia, inclusi quelli croati e i musulmani dall’Erzegovina, vi assassinavano brutalmente i serbi con fucili, pistole, asce e martelli. Per risparmiare le munizioni, molti serbi venivano portati alla fabbrica di mattoni a Jasenovac e spinti nelle fornaci ardenti. Posti in fila, l’ultima persona veniva spinta con forza sufficiente a gettare nei forni i propri compagni di martirio. Altri venivano macellati lungo il fiume Sava e gettati nell’acqua. Il sanguinario capo degli Ustascia Ljubo Milosh si vantò di avere ucciso oltre tremila serbi, ogni volta facendo scherzi e gridando: “Quant’è dolce il sangue serbo!” Un serbo ortodosso, Joca Divjak, fu dato a Milosh come regalo di Natale. Il cuore del martire Joca fu strappato dal suo torace mentre agli altri serbi fu imposto di guardare e ridere. Chiunque distoglieva la testa da questa scena abominevole veniva ucciso sul colpo. In tutto, oltre cinquantamila pii cristiani ortodossi furono martirizzati in questo campo dall’agosto del 1941 al febbraio del 1942, un periodo di sette mesi.
Ci sono molte altre liste di atti selvaggi che potrebbero essere raccontati: il resoconto è davvero sconvolgente! Questi fatti rivelano che la Chiesa Ortodossa Serba è davvero una Chiesa martire[4]. La sua storia recente dimostra un coraggio e una dedizione alla Croce e alla Risurrezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che concede alla Chiesa serba un posto retto e onorevole non solo nella storia cristiana ma, cosa più importante, agli occhi dello stesso onnipotente Iddio. In così tanti – letteralmente un milione e mezzo di vittime innocenti – hanno mantenuto il principio di “deporre le proprie vite” per la causa di Cristo e della sua Santa Chiesa. Il loro sacrificio gli uni per gli altri è un’eterna testimonianza e un ricordo, che dovrebbe e deve ispirare tutti i cristiani ortodossi fino alla Secondo Avvento del nostro Signore Gesù Cristo.
Antifone Liturgiche che commemorano i Santi Neomartiri
Tropario – Tono pl. IV (Tono VIII)
Per la vostra fede in Dio e nella sua giustizia * avete sofferto la passione nella carne; * eppure avete salvato le vostre anime, * come i vostri avi cantano nel cielo che esulta, * accogliendovi alle porte del Paradiso con canti: * “entrate nel Paradiso, figli dell’immortalità!” * Perciò noi sulla terra, vostra posterità, esclamiamo all’unisono: * santi neomartiri, intercedete per noi.
Kontakion – Tono pl. IV (Tono VIII)
Sia lodato Iddio nei prati e nei campi, * sulle verdi vette dei monti e nelle valli sottostanti, * nei fiumi impetuosi e nelle caverne oscure, * poiché ogni luogo è stato asperso del sangue santo e innocente di molti martiri serbi: * degni ministri, soldati coraggiosi, ragazzi e bambini e caste vergini; * Dio sia lodato e tutti mantengano il silenzio, * poiché il Signore di tutti regna sul mondo.
Il Tropario e il Kontakion sono stati composti da San Nicola (Velimirovic)
Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Martiri.htm
[1] Dal secondo volume del Paterikon Serbo, di Padre Daniel Rogic, in corso di pubblicazione.
* N.B. Tradizione Cristiana: “Macedonia”: molti usano questo termine per intendere la parte slava della Macedonia del nord. Tuttavia, quanti aderiscono alla correttezza storica del termine preferiscono chiamarla F.Y.R.O.M.: Former Iugoslav Republic of Macedonia, cioè Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia.
[2] Il concordato era un tentativo del governo eccessivamente conciliatorio di firmare un accordo con il Vaticano che avrebbe dato alla Chiesa romana una posizione privilegiata in Yugoslavia. Fu alla fine vanificato nel 1937, in gran parte grazie all’eroica testimonianza del Patriarca Barnaba, che morì nel momento culminante della controversia, e nell’opinione di molti fu avvelenato.
[3] Forze armate croate, formate dai nazisti di Hitler per punire i serbi per avergli resistito. Per la maggior parte di fede cattolica romana, ma anche musulmani, commisero atrocità tanto orribili contro i serbi ortodossi che perfino i nazisti ne rimasero disgustati.
[4] Nel 1998 il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Serba ha glorificato diversi dei nuovi martiri qui menzionati.