MARTIRIO DI SAN MASSIMO SOTTO L’IMPERATORE DECIO


 

Era un uomo del popolo, un artigiano che viveva del suo lavoro. Di lui si conosce soltanto ciò che risulta dal verbale del processo. Fu lapidato nella città di Efeso (Asia Minore) durante la persecuzione di Decio. L’imperatore Decio era deciso a perseguitare fino all’annientamento la religione cristiana. Promulgò, quindi, un decreto valido per tutto l’impero in cui s’intimava ai cristiani di abbandonare il culto di Dio vivo e vero e di sacrificare agli dèi. Chi non avesse ubbidito sarebbe stato condannato ai più atroci tormenti. Proprio allora Massimo, servo devoto di Dio, professò pubblicamente la sua fede. Era un plebeo, dedito al suo lavoro. Fu subito arrestato e trascinato davanti ad Ottimo, proconsole d’Asia.

Il proconsole gli chiese:

“Come ti chiami?”

“Massimo”.

“Qual è la tua condizione?”

“Sono nato libero, ma schiavo di Cristo”.

“Qual è il tuo mestiere?”

“Sono un plebeo e vivo del mio lavoro”.

“Sei cristiano?”

“Sono cristiano benché peccatore”.

“Non sei a conoscenza dei recenti decreti emanati dal nostro invincibile imperatore?”

“Quali?”

“Quelli che ingiungono a tutti i cristiani di rinnegare la loro superstiziosa religione, di riconoscere il vero sovrano a cui tutto è sottomesso e di sacrificare agli dèi”.

“Ho saputo dell’ingiusto decreto emanato dal sovrano terreno e per questo ho palesato pubblicamente la mia fede”.

“Sacrifica agli dèi”.

“Io sacrifico a un solo Dio, quello a cui sono orgoglioso di aver sacrificato dalla più tenera età”.

“Sacrifica agli dèi e avrai salva la vita. Bada che se rifiuterai, ti farò perire fra atroci tormenti”.

“Ecco ciò che ho sempre desiderato: per questo mi sono confessato cristiano, per poter finalmente barattare la mia misera vita terrena con la vita eterna”.

Allora il proconsole comandò che Massimo venisse frustato e mentre le sferze si abbattevano su di lui gli diceva:

“Sacrifica, Massimo, e non sarai più torturato”.

“Le torture che sopporto nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore, hanno su di me l’effetto di oli balsamici; le vere eterne torture sarebbero quelle che mi procurerei se calpestassi i comandamenti del mio Signore”.

Allora il proconsole ordinò che fosse appeso al cavalletto della tortura. Mentre gli torcevano le membra gli diceva:

“Rinsavisci, disgraziato, e sacrifica se vuoi sopravvivere”.

“Salverò la mia vita se non sacrificherò; la perderò per sempre se accetterò di sacrificare. D’altronde né sferze, né uncini, né fiamme mi fanno male perché è in me la grazia di Cristo che mi salverà per l’eternità. Tutti i Santi che, in situazioni analoghe, non hanno ceduto davanti alle vostre insanie, mi trasmettono forza con le loro preghiere”.

Il proconsole allora pronunciò la sentenza:

“La divina clemenza ha deciso che colui il quale ha rifiutato di obbedire alle sacre leggi e non ha voluto sacrificare alla grande dea Diana sia lapidato per servire da monito a tutti gli altri cristiani”.

I servi del diavolo s’impadronirono del paladino di Cristo che ringraziava Dio Padre e Gesù Cristo, suo Figlio, perché lo avevano giudicato degno di vincere il demonio. Condotto fuori delle mura, soccombette sotto una pioggia di pietre.

La passione del servo di Dio, Massimo, si consumò nella provincia d’Asia, il 14 maggio sotto Decio imperatore e Ottimo proconsole, regnando nostro Signore Gesù Cristo, glorioso nei secoli. Amen.

 


da: COSTANTE BERSELLI, Violenza di Stato nell’era dei Martiri, Roma 1982.

 

 

 

Immagine: http://www.oca.org/

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