VITA DI SAN NICOLA DI ADERNò EREMITA

ex anonimo Monaco Syncrono

  

L. Merulla, bozzetto per l’icona di s. Nicola Politi

 

Come per la maggior parte dei santi Italo-greci, anche della vita di san Nicola Politi non possediamo notizie genuine. La Vita sancti Nicolai Adernionensis, infatti, non è che una rielaborazione dell’originale bios ad opera del gesuita Ottavio Caietano. Tuttavia tale rifacimento, pur trasudante melensi devozionalismi di matrice francescana, è testimone oltre che delle gesta del santo, anche degli innumerevoli sforzi e sacrifici che le popolazioni di Magna Graecia hanno compiuto nei secoli per poter mantenere il culto e la memoria dei propri santi, a dispetto del lento ed implacabile processo di latinizzazione compiuto dai Franchi, che portò alla cancellazione o, laddove essi non poterono, alla adulterazione della storia ecclesiastica locale. Oltre il testo della Vita, di seguito diamo anche il Canone a san Nicola di Cosmano Teologo, che essendo di una genuina essenzialità, può essere utile oltre che alla preghiera anche a una rilettura critica della vita recensita dal Caietani.

            La Chiesa Ortodossa celebra la memoria di san Nicola Politi il 17 agosto, giorno del dies natalis, ed il 26 agosto, presso il Sacro Monastero di Santa Maria annunziata di Mandanici, in ricordo della traslazione di una reliquia del santo. 

 

 

1. In quel tempo mentre regnava l’illustre Conte Ruggero, il quale con le armi aveva liberato la Sicilia dalla dominazione dei Saraceni, nacque in Adernò[1] il Beato Nicola dalla famiglia Politi; ebbe genitori non infimi, ma tra i primi della sua città; non avendo (detti genitori) a chi potessero lasciare i loro beni e ricchezze, pregando il Signore nostro Gesù Cristo e la sua Santissima Madre, con molte preghiere, digiuni ed elemosine, ebbero un unico figlio Nicola. Il fanciullo progredendo con buon carattere, fu affidato a dei maestri, dai quali fosse istruito nelle lettere.

2. Già i genitori temevano ormai la fine della (loro) vita, stabiliscono sulla moglie che doveva essere presa dal figlio, alla quale volendo unito Nicola, e quasi anche (lo costringono); egli poi si rifiutava del tutto, e non potendo sfuggire alla loro imposizione con altro modo, decise di prendere la fuga di nascosto a tutti; ma, infatti, di giorno e di notte volgeva nella sua mente ciò che è scritto nel Vangelo: “Se qualcuno vuole venire dietro di me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, e i figli, e i fratelli e le sorelle, non può essere mio discepolo”. Nella notte dunque, che la provvidenza di Dio aveva destinato, quando tutti erano andati a letto, e il sonno strettamente (li) aveva afferrati, mentre Nicola aveva deciso di lasciare la casa, la patria, i genitori, e tutto quanto sperava di avere dai genitori, stimandoli un niente per l’amore di Dio e pensa alla fuga, questa voce a lui viene dal cielo: “Nicola, alzati e seguimi”. Subito egli si alza e seguì (la voce) che gli diceva: “Vieni con me e ti mostrerò un luogo salutare di penitenza, salvifica ne quale, se avrai voluto, potrai salvare la tua anima”. 3. Pertanto accompagnato verso una zona media del monte Etna, trovata a uso una grotta coperta di cespugli si nascose in essa dove con digiuni e preghiere, specialmente dandosi assiduamente alla meditazione della passione di Gesù Cristo, e castigando il corpo con battiture e altri tormenti, (vi) rimase quasi tre anni.

Ma poiché quel luogo gli sembrava menomamente adatto ai suoi progressi, ed era vicino alla patria, e i suoi genitori cercavano il figlio, la divina provvidenza volendo allontanare da quel (luogo) Nicola, gli spedisce un suo messaggio, con questi ordini: “Nicola non rimanere più qui; infatti, i tuoi (genitori) ti cercano, perché se ti trovano, ti porteranno in patria; e pertanto perderai ciò che hai cominciato. Ma avvìati verso il luogo che ti avrò mostrato, verso Alcara, sotto il monte Calanna, dove dimorerai (finché) finisci la vita”.

4. Spuntata l’aurora, Nicola partito dall’Etna, intraprende il suo viaggio verso il luogo che gli aveva rivelato l’Angelo, ma essendo giunto in mezzo del bosco il Demonio in veste di mercante gli va incontro e pertanto (così gli) parla: “Dove vai, o misero, così solo?”. Lui risponde: “al monte Calanna, presso Alcara dove sono mandato”. Il nemico degli uomini rispose: “Vieni con me, infatti meglio ti accadrà; ti mostrerò le mie città e luoghi, e che ti darò, se avrai obbedito alle mie parole[2]; in cui vivrai colmo di migliori piaceri, molto più lieto che nel monte Calanna”. Udite queste cose, il Beato Nicola, meditando nel suo animo diceva: “Chi è costui che mi trattiene dal mio viaggio; e mi promette le sue ricchezze e il suo pane che mangerò, e le vesti e i suoi piaceri, di cui godrò in questo secolo, e mostra verso di me tanta carità?”. E tosto, richiamando nell’animo la Passione di Cristo, e volgendo gli occhi al cielo: “Oh Signore Gesù Cristo, per le tue cinque piaghe, e per la tua passione, concedi che sfugga ai lacci di questa tentazione”. Finita questa preghiera fu liberato da quella molestia e il Demonio sparì dai suoi occhi. Dunque, compiuto il viaggio iniziato, giunse al luogo, il cui nome (oggi) è Acqua Santa. Ivi, stanco per il viaggio e afflitto per le solite penitenze del suo corpo, cominciò a soffrire la sete. Per la qualcosa, steso a terra e sollevati gli occhi al cielo, pregò Dio con questa preghiera: 5. “O Signore, che un tempo, dalla pietra facesti sgorgare abbondantissime acque, concedimi, (ti) prego, che qui possa trovare l’acqua, con cui ristori il mio corpo”. Detto ciò, udì una voce dal cielo: “Alzati, Nicola, e la roccia che vedi, percuoti col tuo bastone[3], nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo, ed essa ti darà quello che chiedi”. Come udì, così eseguì e subito l’acqua sgorgò dalla roccia, poi i tormentati da varie malattie e dolori bevendo questa (acqua) diventarono sani. Del resto Nicola appena giunse al monte indicatogli, passò la vita con grandissima astinenza di cibo, in continue preghiere a Dio e con abbondante versamento di lacrime.

La grotta di Aspicuddu, primo eremitaggio del santo
 

Vi è sulla cima del monte una roccia, sotto la quale recitava le sue preghiere a Dio. Assiduo era nella meditazione delle piaghe di Gesù Cristo, nel cui dolcissimo ricordo, per lo più sette volte al giorno, piangeva amaramente. Gli davano cibo le radici delle erbe e qualche volta il pane angelico, (fu) solito prendere il cibo, una sola volta al giorno, finché visse.

Rimase in quel monte trenta anni e più. Conosciuto totalmente da nessuno, tranne che da pochi uomini religiosi. Avvicinandosi alla fine della vita, incontra due donne, che portavano delle pere, chiese loro in nome di Gesù Cristo una (porzione) della loro frutta, una di loro nega una parte, l’altra (fu) generosa. Grato, rese grazie a Dio, pregò bene per lei. Queste donne furono testimoni della morte del Beato Nicola e della sua manifestazione. A quella che era stata generosa, le mele (pere) abbondarono per molti giorni, ma all’avara tutte marcirono a tal punto di non essere più adatte all’uso.

6. Già il 17 agosto, un certo contadino, Leone, uomo di notevole bontà, recandosi a cercare i buoi, che pascolavano nel bosco e nella solitudine, giunse là ove il Beato Nicola, aveva spirato l’anima, terminata la vita, con le ginocchia piegate, e appoggiato con le mani al bastone, guardava il cielo. Vistolo (in tal posizione) l’uomo si spaventò e senza indugio chiamò: “Invero chi sei tu? Dunque chi sei tu? Ma non essendogli ricambiata alcuna risposta, avvicinandosi al cadavere, (lo) toccò con la mano destra. E subito il braccio inaridì. Avvertito da tale prodigio, egli stesso pensava tra sé certamente quello essere qualche uomo santo. Dunque, presto ritorna ad Alcara. Narra all’Arciprete ed ai magistrati le cose viste. Con stupore di tutti, specialmente perché in quella occasione, le campane bronzee delle chiese non battute da alcuna forza umana, avevano suonato. Perciò il clero, e i magistrati, e il popolo, con a capo il contadino, a piedi nudi procedono verso Nicola. Non appena che si giunse là, mentre la guida voleva mostrare il corpo estinto, e mentre voleva stendere il braccio disseccato, all’improvviso (lo) sentì sano. Invero (è) dato all’onore del divino Nicola, perché si dedicasse una chiesa al suo nome, nel luogo in cui si trovò il corpo.

7. Già invero mentre si il corpo si trasportava ad Alcara, si doveva passare per la via di Sant’Ippolito. Ma mentre passavano (lo) sentirono così pesante e gravoso da non potere certamente essere mosso dal posto. Tengono tra di loro consiglio a quale chiesa il Santo volesse essere condotto. Avendo chiamate molte (persone) dalla loro città, e tentato se per caso si avanzasse di là, inutilmente tentarono. Pertanto lo stupore tra il popolo (fu) grande, e (fu) grande disparità di pareri tra i magnati; questa (disparità) fu risolta da un bimbo sospeso tra le braccia della madre, presente a quel prodigio. Il quale gridò che (lo) portassero alla chiesa della (Beata) Vergine Maria, alla quale (chiesa è dato) il nome del Rogato: là spontaneamente Nicola si sarebbe fatto accompagnare. Presso questa chiesa era sito un Monastero, affidato ai seguaci dell’Istituto Basiliano[4], uomini molto religiosi e pii. Uno di costoro, come è testimonianza, Nicola vivente si era scelto come confessore: il quale aveva annotato per iscritto alcune (notizie) della sua vita. 8. Preso questo (grido del bambino) come ricevuta predizione, senza alcun impedimento subito portarono là il corpo, ove per 336 anni, esente del tutto di corruzione, si conservò vivido ed incorrotto, ne senza miracoli fu di venerazione.

 Ma allorché nell’anno della salvezza 1503, il 10 Maggio, tutta quella vicinanza, soffriva grandissima mancanza d’acqua, le popolazioni supplicanti, invocando per nome i santi, si diressero, con ammirevole religiosità, a quella chiesa. Subito, appena portato fuori il corpo del Beato Nicola, come già da tempo con risultato si era usato, (lo) posero in alto sull’altare, ottenne una grande pioggia, per mirabile beneficio di Dio e del Divino Nicola.

Urna delle reliquie ad Alcara Li Fusi

9. Nel qual tempo, poiché moltissimi dopo pie preghiere, baciavano con reverenza e zelo le sacre reliquie, avvenne che, mescolata alla folla, una donna famosa osasse anche (fare) la stessa cosa; in realtà al suo avvicinarsi quel santo corpo, si ritirò indietro, né si lasciò toccare, con grande stupore di tutti. Terminato poi il sacrificio della sacrosanta Messa, poiché dopo riportavano nella chiesa le reliquie condotte in giro, nello stesso ingresso della chiesa, poiché i portatori non potevano sostenere più oltre il peso straordinario, i quali avevano posto sotto il fercolo le spalle, furono costretti a fermarsi e invocare la misericordia e la pietà da Dio immortale. È successo questo prodigio di lieti eventi. Infatti, quel confuso popolo, Giovanni Opitale, che da tempo era tormentato da un’ernia voluminosa da essere sostenuta se non da una fascia, improvvisamente si sentì sollevato da quella malattia ed egli stesso in verità quale e là gridare tanta misericordia e divulgare la sua guarigione, si verifica più generalmente un accorrere verso di lui per vedere. Durante queste cose un altro ernioso tra la folla, ripeteva a voci alte “sono sano”. Ecco a te, un terzo che soffriva lo stesso genere di malattia, “ed io”, disse, “sono guarito sono proprio io”. Per la qual cosa tra tanto stupore e sentimento di popolo, parve molto a proposito a un (frate) della famiglia francescana, uomo religioso e buono, predicatore non ignorante, fare una predica da un posto elevato. Questo fu l’esito di quella (predica): che i cittadini di Alcara con fede solenne, si assumessero di dover spendere, che fosse impiegata qualunque (somma) di denaro fino a che fosse fatta la facoltà del Somme Pontefice di venerare le reliquie del loro santo uomo.

10. Scelti pertanto per questa faccenda due uomini esperti, il sacerdote Antonino Tundo e Giovanni Cuttone, essi a pubbliche spese vanno a Roma, e supplichevoli trattano l’affare per mezzo di un memoriale. Ma portato l’affare di giorno in giorno e non compiuto, esaurito il denaro, pensavano il ritorno. Si erano fermati a caso in un albergo: in quel luogo tristi e pensierosi (li) avvicinò (un tale) con abito povero e disordinato, non so chi (fosse): (domanda) se fossero curati (preti) e per qual fine fossero venuti a Roma; anche il motivo di tanta tristezza? Avendogli risposto molto benignamente: li consolò, “non state tristi”, disse, “o fratelli: andate sicuri: ieri ad Ostia Tiberina il vostro affare è stato trattato e troverete il diploma di presso il tale (indicava il nome)”. Dichiarate queste cose, il povero uscito dall’albergo, cessò di essere visto. Quelli, tornati a Ostia Tiberina, provarono essere vere quelle cose che avevano ricevute dal pellegrino. Infatti, fu consegnato il Diploma Pontificio di venerare le Reliquie del Beato Nicola il giorno 7 Giugno dal parto della Vergine anno 1507, essendo Pontefice Massimo Giulio II.

Durante queste cose la fama del Beato Nicola, (fama) illustre per il numero dei miracoli, si diffondeva largamente in quei luoghi; e moltissimi ricorrevano a lui per invocare aiuto dalla (sua) Santità, né (ricorrevano) invano. Con molto rendimento di grazie, sani e illesi, ritornavano alla propria casa. Questo invero eccitò gli adornesi, cittadini della stessa città del Beato Niccolò, per avere presso di sé in casa tanto ricco tesoro piuttosto che (l’avessero) altri altrove.

11. Ma spesse volta avendo tentato trasportare il feretro (li) scoprì la campanella della chiesa di Santa Maria, da sé sola raddoppiava il suono. Svegliati dal qual segno, anche gli Alcaresi, in fitta schiera accorrevano per difendere quello che era nel loro diritto. Poiché poi il luogo stesso, perché era lontano dal paese e tra i boschi, sembrava dare occasione a quelle incursioni; fu deliberato (dagli) Alcaresi, che bisognava trasferire quelle reliquie dentro la città, ed essere poste al sicuro. Si dà quella incompensa ad otto tra i più ragguardevoli della città: al sacerdote Pietro Rosato, a Giovanni Gamburdo, a Giovanni Sciarra, a Florino Marino, parimenti a un altro Giovanni Sciarra e ad altri tre, i cui nomi sono andati perduti. Questi in una notte profonda e coperta di fitte tenebre, preso con venerazione il corpo del Beato Nicola accompagnati da una luce divina, (lo) deposero in città nella (chiesa) di San Pantaleone; mentre si faceva questo per nulla saputo da alcuno.

12. Era ivi un certo Brontese che da quattordici anni era posseduto dal Demonio. Anzi d’ora in poi (= invero), da otto anni egli stesso sentiva il corpo già morto e privo di anima, come da lui si affermava. Dunque chiunque egli era, condotto al Beato Nicola, è liberato dallo spirito cattivo e cacciato il Demonio, si adagiò il marcio cadavere. Questi e molti altri (miracoli) ha operato, per suo merito, il Beato Nicola, e anche oggi opera, perché, come non è palesemente a nessuno, così deve eccitare tutti quanti a rendere grazie a Dio, ma questo (miracolo) non è affatto da omettere.

13. Una donna, con altre donne era andata in una casa di campagna, lasciando dormire nel letto piccolo il figlio il cui nome fu Matteo. Poscia lo aveva trovato morto. Costernata dal dolore e dal lutto, la madre implorava l’aiuto del Beato Nicola: da lui chiede la vita del figlio morto: chiese e ottenne, infatti, per la preghiera della madre, come se si svegliasse dal sonno il figlio cominciò a parlare e a rendere grazie a Dio e a Nicola; questi poi giunse fino alla vecchiaia.

14. La Baronessa di Militello, per la fama di tanti e si grandi miracoli, infiammata verso questo beato uomo, si recò per adorare le sue reliquie, mentre ancora si conservavano nel predetto cenobio. Dunque avendo raggiunto questo (cenobio) con grandissima comitiva, portato con sé il figlio ancora fanciullino, desiderosa di portare a casa una particella di tanto tesoro, avendo preso un pezzettino del braccio, ritornava col cielo sereno e limpidissimo, ecco poi il cielo improvvisamente cambiato, flagellava tutto con grandissima pioggia e grandine. Lo stesso figlio è accecato da un colpo di grandine. Pertanto quelli che seguivano la madre, tutti stabilirono di riparare questo prodigio con la restituzione. Prima che garantissero questo, quella particella del braccio permise che fosse toccato il perduto occhio del fanciullo, se per caso si riparasse (al furto), l’esito fu felice e straordinario. Oggi il monte ove queste cose avvennero, conserva la memoria di quel fatto: chiamato, colle orbulo per la cecità del fanciullo.

Queste cose sono state scritte a gloria di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e del Beato Nicola.

 

Adrano, monaci ortodossi recano in processione le reliquie di san Nicola Politi

 

 

 

La traslazione di una reliquia di san Nicola al monastero ortodosso di Mandanici

 

 

 

Canone di Cosmano Teologo

al beato Nicola eremita

 

1. Col bastone e con la benedizione ha allontanato tutti i lupi dall’ovile, non altrimenti da padre e avvocato dei popoli, ha cura di quelli che piamente lo venerano: e ci libera da qualunque pericolo e malattia.

2. Da bambino fuggiva i peccati come serpenti. E cacciava i demoni e come forte difensore (li) volgeva in fuga: era anche muro validissimo contro i nemici: intercedi per le nostre anime.

3. Nella città passò una vita assai rigida: preferì una straordinaria sottomissione di animo e pietà per ciò i nostri amori per lui sono grandi: infatti non abbandona i suoi clienti nelle loro necessità.

4. Dai teneri anni seguì l’usanza degli uomini religiosi, ed ha corretto a miglior frutto molti strappati dalle vergogne.

5. Quando pregava Dio, questa era la sua preghiera: o Padre, o Figlio, o Spirito Santo, vieni in aiuto alla mia preghiera, che mi trovo in questa solitudine, specialmente in te ho poste le mie speranze: quando sarò partito dalla vita, (ti) prego, accogli la mia anima.

6. Sei venuto da noi come il pastore, e come sole splendente hai dato luce ai ciechi e ci hai guidato al vero cammino.

7. Come visse piamente e umilmente e così andò incontro alla morte. Dal buono uomo Leone fu trovato, vestito con l’abito di eremita e come luce al mondo apparve.

8. È sorto a questa città uno splendore che giammai tramonta: anzi intercessore presso Dio e propizio ai tuoi clienti, in terra e in mare quindi ti lodiamo e ti rendiamo grazie.

9. Il beato Nicola, col segno della Croce, fatto col bastone, ha guarito le pecore, e ha scacciato i lupi e ha difeso i popoli vicini dalle malattie.

10. Io Cosmano teologo ho conosciuto il suo smisurato zelo di penitenza con cui mentre viveva si è tormentato e per la penitenza, simile a lucerna ardente, sei stato davanti a Dio, al quale sei partito. Ora poi godi degli splendori della gloria.

11. Ardentemente hai pregato Dio affinché ci concedesse la sua grazia e con la tua penitenza hai ottenuto quella forza affinché restituissi la vista ai ciechi e l’udito ai sordi e avessi cura di tutte le malattie.

12. I serpenti e le vipere occupavano la grotta nella quale hai avuto (dimora) i quali a un tuo ordine e con la asprezza della vita, hai scacciato assai lontano.

13. Invocato il tuo nome hai calmato la tempesta del mare, e alla nave hai dato un favorevole viaggio (per entrare) in un porto sicuro.

14. È stato apertamente provato che dall’infanzia fosse stato egli consacrato a Dio. Infatti ancora nelle stesse fasce, si asteneva dal latte, nei giorni di Mercoledì, Venerdì e Sabato, non senza grande ammirazione e stupore di tutti.

15. Le tue preghiere erano gradite a Dio, infatti erano pronunziate da un cuore sincero.

16. O forte difensore presso Dio contro i demoni e avvocato dei cristiani, liberaci da tutti i mali.

17. Come la sua lingua fu pronta a lodare Dio, così la mano munifica alle elemosine.

18. Siano benedette le mammelle, che hai succhiato e sia benedetto il ventre che ti ha portato, infatti, sei vergine di mente e di corpo.

 

Testi tratti da SANTO G. Alì, San Nicolò Politi di Adrano, Attraverso i documenti – dal Caietano al manoscritto Branchina, 2000, 201-226 (le note sono state preparate a cura di © Tradizione Cristiana).

 

Immagini: http://portalesnp.interfree.it/foto.html

 

[1] L’odierna Adrano.

[2] Cfr. Matteo 4, 8-9.

[3] Cfr. Esodo 17, 1-8.

[4] In realtà i cosiddetti monaci “basiliani” furono un’invenzione cinquecentesca ad opera della Curia Romana, atta a meglio assoggettare la ancora consistente popolazione monastica ortodossa presente nel sud Italia. Non erano quindi “basiliani” ma ortodossi i monaci con cui entrò in contatto san Nicola Politi.

 

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