Atti di Pietro, Andrea, Paolo e Dionisia
Pietro, Andrea, Paolo e Dionisia furono martiri a Lampsaco durante la violenta persecuzione di Decio. Di essi conosciamo solo quanto trasmesso dagli atti del martirio.
La Dionisia di Lampsaco è stata confusa nel tempo con una omonima martire romana le cui reliquie sono venerate nell’Abbazia di Flône in Belgio.
La memoria dei santi martiri è fissata al 15 maggio nel martirologio romano, la Chiesa Ortodossa li celebra il 18 maggio.
Acta sanctorum martyrum Petri, Andreae, Pauli et Dionisiae virginis
Ai tempi iniqui, quando, i soldati di Cristo combattevano per la sua fede, e il sangue dei Martiri fecondava la terra, fu arrestato presso Lampsaco un giovine di bello aspetto, e d’animo anco più bello, condotto al proconsolo che lo richiede: “Chi sei?”.
Rispose: “Pietro cristiano”.
Il proconsole: “Ti stanno davanti i decreti imperiali: dunque sagrifica a Venere”.
Pietro: “Stupisco che tu m’imponga render divini onori a tal femmina delle cui opere arrossiresti aver a tessere la storia. Sai tu a chi propriamente debbasi pagare tributo di preci, di affetti, di lodi? Al Dio vero, al re dei secoli Gesù Cristo”.
Il proconsole fe’ legare il giovine ad una ruota, in guisa che il corpo, strettovi da ritorte, arcuavasi, avendone stirati i muscoli, e spezzate le ossa. Quanto più il Servo di Dio veniva tormentato tanto più invitta ne risplende la fortezza.
Deridendo la stoltezza del giudice, col guardo alzato al cielo: “Signor mio Gesù Cristo”, disse, “ti ringrazio d’avermi soccorso a confondere questo nequitoso tiranno”; il qual vedendo che il paziente, non che arrendersi, lo bravava, comandò lo si finisse con una stoccata.
Peregrinando egli poscia per la Troade vennergli addotti Andrea, Paolo, e Nicomaco, e gl’interrogò.
Nicomaco con voce tonante, rispose: “Sono cristiano”, e il proconsole a lui per primo intimò di apostatare.
Nicomaco: “Non rendo onore a demonii”. Fu sospeso, e nel più forte dello spasimo, gridò: “Mi arrendo!”. Venne calato: mentre sagrificava se ne impossessò il demonio, che lo sbalestrò contro terra, così violentemente, che ne morì sul colpo.
Da mezzo la turba spettatrice Dionisia vergine sedicenne alzò la voce: “Sventuratissimo che tramutasti un’ora di strazio, in tormenti inenarrabili eterni!”. Lo che udendo il proconsole chiamò a se la donzella, e le domandò s’era cristiana.
Dionisia: “Sì certo, e per questo compiango l’infelice che apostatò”.
Il proconsole: “Costui avrà trovato pace dal punto che satisfece agli Dei ed a Cesare: Diana e Venere degnaronsi rapirlo onde vietare, che, per aver abbandonata la vostra vana superstizione, lo sopraffaceste di vituperi. In quanto a te, sfacciata, sagrifica tosto, o ti fo bruciar viva”.
Dionisia: “Il mio Dio è da più di te, e mi rido delle tue minacce: Ei m’invigorirà a sventarle, e la infamia ne ricadrà sul tuo capo”. Il proconsole ordinò che la si conducesse cogli altri in carcere.
L’indomattina gran turba, suscitata da Onesicrate e Macedone sacerdoti di Diana, fecesi intorno al proconsole chiedendo le si dessero in mano Andrea e Paolo; che, menati al giudice, ebbersi da lui intimazione di sacrificare, risposero: “Ci son sconosciuti Diana, e gli altri demoni che adorate: non conosciamo e adoriamo che il vero Dio”.
La plebe continuava ad urlare che gli empi le venissero dati; e il proconsole li fè prima frustare, poi sanguinosi e pesti li concesse alla turba, che li trascinò fuori di città per lapidarli.
Dionisia, durante il baccano fuggita dal carcere, corse là dove la lapidazione era cominciata e si collocò tra’Martiri cercando covrirli colla persona, piangendo, e gridando: “Voglio morire con voi in terra, affine di vivere con voi in cielo”.
Annunciato essendo al giudice che la fanciulla si era sottratta alla prigione, e voleva finire la vita con Paolo e Andrea, comandò ne venisse separata, e la fè decapitare.
Da: Conte TULLIO DANDOLO, Roma Cristiana nei primi secoli, vol. II – Martiri, Assisi 1866, 97-99.