SAN POLICARPO DI SMIRNE[1]
Policarpo, vescovo di Smirne, godette di una grande venerazione nella Chiesa primitiva, per essere stato discepolo degli Apostoli, per il suo grande zelo e il suo eroico martirio. Possiamo tratteggiare a grandi linee la sua vita e la sua personalità grazie a testimonianze di prima mano[2].
Nacque attorno al 69 d. C. da genitori cristiani, convertiti dal paganesimo, e di agiate condizioni economiche[3]. Ireneo attesta che Policarpo non solo fu educato dagli apostoli e visse con molti che avevano visto il Signore, ma anche dagli Apostoli fu stabilito nell’Asia come vescovo della Chiesa di Smirne. Noi stessi l’abbiamo visto nella nostra prima età (...). Egli insegnò sempre quelle cose che aveva appreso dagli Apostoli, quelle che appunto anche la Chiesa trasmette e che sole sono vere[4]. Una tradizione della Chiesa di Smirne, riportata da Tertulliano e da Girolamo[5], precisa che Policarpo fu nominato vescovo dall’apostolo Giovanni: se così avvenne, l’ordinazione episcopale andrebbe collocata intorno all’anno 100.
Al giovane vescovo di Smirne, Ignazio indirizzò una lettera, dopo essere stato suo ospite, durante l’ultimo viaggio verso Roma, probabilmente verso il 107. In essa il futuro martire lo loda per la sua pietà e lo esorta a proseguire nella sua testimonianza di carità e di zelo. Attento e affezionato discepolo di Policarpo fu senza dubbio Ireneo, originario di Smirne (diverrà poi vescovo di Lione). Con l’animo ricolmo di commozione, egli evoca i ricordi degli anni passati accanto a lui. In tal modo Ireneo persegue anche uno scopo teologico: giustificare la sua dottrina che, tramite il grande vescovo di Smirne, si ricollegava al messaggio degli Apostoli. Nel richiamare alla retta fede il suo condiscepolo Florino, caduto nell’eresia gnostica, Ireneo gli scrive: Io ti conobbi quand’ero ancora ragazzo nell’Asia inferiore presso Policarpo (…). Le cose di allora le rammento meglio di quelle presenti (…). Io ti potrei dire ancora il luogo dove il beato Policarpo sedeva per parlare, il suo esordire ed entrare in argomento, il suo modo di vivere, l’aspetto della sua persona, le conversazioni che teneva al popolo, come riferiva le sue relazioni con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, come rammentava le loro parole e quel che aveva sentito raccontare da loro a proposito del Signore, dei suoi miracoli e del suo insegnamento; come Policarpo, dopo aver ricevuto tutto ciò dai testimoni oculari della vita del Verbo[6] lo riferiva in armonia con le Scritture. Queste cose anche allora, per la misericordia di Dio che è venuta in me, io ascoltai attentamente, annotandole non sulla carta (di papiro), ma nel mio cuore e, sempre, per la grazia di Dio, le ripenso fedelmente[7].
Verso la fine del 154 Policarpo si recò a Roma da papa Aniceto (154-166) per discutere su diverse questioni ecclesiastiche, in particolare sulla data per la celebrazione della Pasqua[8], fissata in Asia il 14 di Nisan, secondo l’uso quartodecimano, e invece a Roma sempre la domenica successiva. Ambedue, rappresentanti delle opposte interpretazioni del calendario pasquale, si richiamarono alle rispettive tradizioni, reciprocamente riconobbero le diversità e, ciò nonostante, conservarono la pace e l’unità ecclesiale. Così Ireneo ci riferisce il fatto: E quando il beato Policarpo venne a Roma al tempo di papa Aniceto, pur avendo avuto l’uno con l’altro piccole divergenze su altre questioni, subito si rappacificarono, non desiderando essere in disaccordo tra loro su questo argomento (= la data della Pasqua). Infatti né Aniceto riuscì a persuadere Policarpo a non osservare ciò (= l’uso quartodecimano) che aveva osservato con Giovanni, discepolo del nostro Signore e con gli altri apostoli con cui era vissuto, né Policarpo persuase Aniceto ad osservarlo, poiché quest’ultimo diceva che bisognava mantenere la consuetudine dei presbiteri suoi predecessori. Pur stando così le cose, rimasero in comunione tra loro e nella chiesa Aniceto concesse a Policarpo (di presiedere) l’Eucarestia, evidentemente per riguardo, e si separarono l’uno dall’altro in pace[9]. Durante questo soggiorno romano, Policarpo esplicò il suo zelo pastorale: convertì molti eretici, seguaci di Marcione e di Valentino, predicando di aver ricevuto dagli apostoli un’unica e sola verità, quella che è trasmessa dalla Chiesa[10]. Ireneo racconta ancora che Policarpo sarebbe stato avvicinato da Marcione, che gli avrebbe chiesto di riconoscerlo. Io ti riconosco – gli rispose – come il primogenito di Satana[11].
IL MARTIRIO DI POLICARPO
La Chiesa di Dio che dimora a Smirne alla Chiesa di Dio che è a Filomelio e a tutte le comunità della santa Chiesa cattolica di ogni luogo. La misericordia, la pace e la carità di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo abbondino.
I. 1. Vi scriviamo, fratelli, riguardo ai martiri e al beato Policarpo che sigillandola col suo martirio ha fatto cessare la persecuzione. Quasi tutti gli avvenimenti svolti accaddero perché il Signore ci mostrasse di nuovo un martirio secondo il vangelo. 2. Infatti, come il Signore, egli attese di essere arrestato, perché anche noi divenissimo suoi imitatori, non preoccupandoci solo di noi, ma anche del prossimo. È della carità sincera e salda volere non solo salvare se stesso ma anche tutti i fratelli.
II, 1. Beati e generosi sono tutti i martiri che avvengono per volontà del Signore. Bisogna che noi siamo più religiosi per attribuire a Dio la potenza di tutte le cose. 2. Chi non si meraviglierebbe della loro generosità, della loro pazienza e del loro amore a Dio? Lacerati dai flagelli, al punto da lasciar vedere l’anatomia del corpo sino alle vene e alle arterie, rimanevano fermi, sebbene gli astanti, mossi a compassione, piangessero. Essi ebbero tale forza che nessuno emise un gemito o un sospiro dimostrando a tutti che, nel momento in cui venivano messi alla prova, i generosi martiri di Cristo non erano nel loro corpo, ma che il Signore stando vicino parlasse loro. 3. Presi dalla grazia di Cristo, disprezzavano i tormenti del mondo, acquistandosi, per un momento solo, la vita eterna. Il fuoco dei tormenti disumani era freddo per loro. Avevano davanti agli occhi, per sfuggirlo, quello eterno e che non si spegne mai. Con gli occhi del cuore contemplavano i beni riservati ai pazienti[12], che né orecchio intese, né occhio vide, né cuore di uomo ha immaginato[13], additati loro dal Signore, perché non erano più uomini, ma angeli. 4. Similmente quelli che furono condannati alle fiere sopportarono tormenti orribili, stesi su conchiglie e straziati con altre forme di torture varie, perché si cercava, se fosse stato possibile, di indurii all’abiura.
III, 1. Molto macchinò contro di loro il diavolo, ma grazie a Dio non prevalse in tutto. Il generosissimo Germanico con la sua costanza sostenne la loro debolezza e fu mirabile nella lotta contro le fiere. Il proconsole mentre lo esortava dicendo di aver pietà della sua giovinezza, egli aizzandola attirava contro di sé la belva desideroso di allontanarsi al più presto da questa vita ingiusta ed iniqua. 2. Per ciò tutta la folla meravigliata della elevatezza d’animo della razza pia e generosa dei cristiani ebbe a gridare: «Abbasso gli atei! Si cerchi Policarpo».
IV. Un frigio di nome Quinto, da poco venuto dalla Frigia, vedendo le fiere fu terrorizzato. Egli si era offerto spontaneamente e spingeva gli altri allo stesso passo. Il proconsole, dopo molte insistenze, lo persuase a giurare e a sacrificare. Per ciò, fratelli, non approviamo coloro che si costituiscono, poiché il vangelo non insegna cosi.
V, 1. Policarpo, uomo assai meraviglioso, a sentire ciò, non si scompose e volle rimanere in città, ma i più lo esortavano ad allontanarsi. Si ritirò in campagna, poco lontano dalla città e si trattenne con pochi. Non faceva altro giorno e notte che pregare per tutti e per le comunità cristiane del mondo, come era suo costume. 2. Mentre stava in preghiera, tre giorni prima di essere catturato, ebbe la visione del suo guanciale arso dalle fiamme. Rivoltosi a quelli che erano con lui disse: «Devo essere bruciato vivo».
VI, 1. Poiché quelli che lo cercavano non si fermavano, egli si trasferì in un’altra campagna e subito vi giunsero coloro che lo inseguivano. Non avendolo trovato presero due giovani schiavi. Uno di essi torturato confessò. 2. (Ormai) gli era impossibile rimanere nascosto perché anche i suoi lo tradivano. Il capo della polizia, che aveva avuto dalla sorte lo stesso nome di Erode, aveva premura di condurlo allo stadio, perché si fosse compiuto il suo destino divenendo simile a Cristo, e i traditori avessero ricevuto lo stesso castigo di Giuda.
VII, 1. Di venerdì all’ora di pranzo guardie e cavalieri con le consuete armi, conducendosi il giovane schiavo, partirono come se inseguissero un ladrone. Arrivando verso sera lo trovarono coricato in una casetta al piano superiore. Anche di là avrebbe potuto fuggire in un altro podere, ma non volle dicendo: «Sia fatta la volontà di Dio»[14]. 2. Sentendo che erano arrivati scese a parlare con loro meravigliati della sua veneranda età, della sua calma e di tanta preoccupazione per catturare un uomo cosi vecchio. Subito ordinò di dar loro da mangiare e da bere quanto ne volevano e chiese che gli concedessero un’ora per pregare tranquillamente. 3. Lo concessero, e stando in piedi incominciò a pregare pieno di amore di Dio tanto che per due ore non si poté interromperlo. Quelli che lo ascoltavano erano stupiti e molti si pentivano di essere venuti a prendere un sì degno e santo vegliardo.
VIII, 1. Quando terminò la preghiera, ricordandosi di tutti quelli che aveva conosciuto, piccoli e grandi, illustri e oscuri e di tutta la Chiesa cattolica sparsa per la terra, e giunse l’ora di andare, facendolo sedere su un asino lo condussero in città. Era il giorno del grande sabato[15]. 2,. Il capo della polizia e il padre di costui Niceta gli vennero incontro. Lo fecero salire sul cocchio e sedendogli vicino cercavano di persuaderlo dicendo: «Che male c’è a dire: Cesare Signore, offrire incenso con tutto ciò che segue e salvarsi?». Dapprima non rispose loro, poiché quelli insistevano disse: «Non voglio fare quello che mi consigliate». 3. Essi, avendo perduto la speranza di persuaderlo, gli rivolsero parole crudeli e lo spinsero in fretta, tanto che nello scendere dal cocchio si sbucciò lo stinco. Ma lui senza voltarsi, come se nulla fosse successo, allegro si incamminò verso lo stadio. Vi era un tumulto tale che nessuno poteva farsi ascoltare.
IX, 1. A Policarpo che entrava nello stadio scese una voce dal cielo: «Sii forte, Policarpo, e mostrati valoroso». Nessuno vide chi aveva parlato, quelli dei nostri che erano presenti udirono la voce. Infine, mentre veniva tradotto, si elevò un grande clamore per la notizia che Policarpo era stato arrestato. 2. Portato davanti al proconsole questi gli chiese se fosse Policarpo. Egli annui e (il proconsole) cercò di persuaderlo a rinnegare dicendo: «Pensa alla tua età» e le altre cose di conseguenza come si usa: «Giura per la fortuna di Cesare, cambia pensiero e di’: Abbasso gli atei!». Policarpo, invece, con volto severo guarda per lo stadio tutta la folla dei crudeli pagani, tende verso di essa la mano, sospira e guardando il cielo disse: «Abbasso gli atei!». 3. Il capo della polizia insistendo diceva: «Giura e io ti libero. Maledici il Cristo». Policarpo rispose: «Da ottantasei anni lo servo, e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il mio re che mi ha salvato?».
X, 1. Insistendo ancora gli diceva: «Giura per la fortuna di Cesare!». Policarpo rispondeva: «Se ti illudi che io giuri per la fortuna di Cesare, come tu dici, e simuli di non sapere chi io sono, sentilo chiaramente. Io sono cristiano. Se poi desideri conoscere la dottrina del cristianesimo, concedimi una giornata e ascoltami». Rispose il proconsole: «Convinci il popolo». 2. Policarpo di rimando: «Te solo ritengo adatto ad ascoltarmi. Ci è stato insegnato di dare alle autorità e ai magistrati stabiliti da Dio il rispetto come si conviene, ma senza, che ci danneggi. Non ritengo gli altri capaci di ascoltare la mia difesa».
XI, 1. Il proconsole disse: «Ho le belve e ad esse ti getterò se non cambi parere...». L’altro rispose: «Chiamale, è impossibile per noi il cambiamento dal meglio al peggio; è bene invece passare dal male alla giustizia». 2. Di nuovo l’altro gli disse: «Ti farò consumare dal fuoco, poiché disprezzi le belve, se non cambi parere...!». Policarpo rispose: «Tu minacci il fuoco che brucia per un’ora e dopo poco si spegne, e ignori invece il fuoco del giudizio futuro e della pena eterna, riservato agli empi. Ma perché indugi? Fa’ quello che vuoi!».
XII, 1. Nel dire queste ed altre cose era pieno di coraggio e di allegrezza e il suo volto splendeva di gioia. Egli non solo non si lasciò abbattere dalle minacce rivoltegli, ma lo stesso proconsole ne rimase sconcertato e mandò in mezzo allo stadio il suo araldo a gridare tre volte: «Policarpo ha confessato di essere cristiano». 2. Dopo questo proclama dell’araldo, tutta la moltitudine dei pagani e dei giudei abitanti a Smirne con furore incontenibile e a gran voce gridò: «Questo è il maestro d’Asia, il padre dei cristiani, il distruttore dei nostri dèi che insegna a molti a non fare sacrifici e a non adorare». Gridavano queste cose chiedendo all’asiarca Filippo che lanciasse un leone contro Policarpo. Egli, invece, rispose che non gli era lecito, poiché il combattimento contro le fiere era terminato. 3. Allora concordemente si misero a gridare che Policarpo fosse arso vivo. Doveva compiersi la visione del guanciale, che gli era apparso quando in preghiera l’aveva visto in fiamme, e volto ai fedeli che erano con lui profeticamente disse: «Devo essere bruciato vivo»[16].
XIII, 1. Questo fu più presto fatto che detto; subito la folla si mise a raccogliere legna e frasche dalle officine e dalle terme. Sovrattutto i giudei con più zelo, come è loro costume, si diedero da fare in questo. 2. Quando il rogo fu pronto, deposte le vesti e sciolta la cintura incominciò a slegarsi i calzari, cosa che precedentemente non faceva, perché ogni fedele si affrettava a chi prima riuscisse a toccargli il corpo. Per la santità di vita era venerato prima del Martirio. 3. Subito furono apprestati gli attrezzi necessari per il rogo. Mentre stavano per inchiodarlo egli disse: «Lasciatemi così. Chi mi da la forza di sopportare il fuoco mi concederà anche, senza la vostra difesa dei chiodi, di rimanere fermo sulla Pira».
XIV, 1. Non lo inchiodarono ma lo legarono. Con le mani dietro la schiena e legato come un capro scelto da un grande gregge per il sacrificio, gradita offerta preparata a Dio, guardando verso il cielo disse:
«Signore, Dio onnipotente
Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio
per il cui mezzo abbiamo ricevuto la tua conoscenza
o Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione
e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua presenza.
2. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora
di prendere parte nel numero dei martiri al calice del tuo Cristo
per la risurrezione della vita eterna dell’anima e del corpo
nella incorruttibilità dello Spirito Santo.
In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto
in sacrificio pingue e gradito
come prima l’avevi preparato, manifestato e realizzato,
Dio senza menzogna e veritiero.
3. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo,
ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e celeste gran sacerdote
Gesù Cristo tuo amato Figlio,
per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo
ora e nei secoli futuri. Amen».XV, 1. Appena ebbe alzato il suo Amen e terminato la preghiera, gli uomini della pira appiccarono il fuoco. La fiamma divampava grande. Vedemmo un prodigio e a noi fu concesso di vederlo. Siamo sopravvissuti per narrare agli altri questi avvenimenti. 2. Il fuoco facendo una specie di voluta, come vela di nave gonfiata dal vento girò intorno al corpo del martire. Egli stava in mezzo, non come carne che brucia ma come pane che cuoce, o come oro e argento che brilla nella fornace. E noi ricevemmo un profumo come di incenso che si alzava, o di altri aromi preziosi.
XVI, 1. Alla fine gli empi, vedendo che il corpo di lui non veniva consumato dal fuoco, ordinarono al confector[17] di avvicinarsi e di finirlo con un pugnale. E fatto questo zampillò molto sangue che spense il fuoco. Tutta la folla rimase meravigliata della grande differenza tra gli infedeli e gli eletti. 2. Tra questi fu il meraviglioso martire Policarpo vescovo della Chiesa cattolica di Smirne, divenuto ai nostri giorni un maestro apostolico e profetico. Ogni parola che uscì dalla sua bocca si è compita e si compirà.
XVII, 1. Ma l’invidioso, maligno e perverso; il tentatore della razza dei giusti vide la grandezza del suo martirio e la sua condotta irreprensibile sin dal principio, notandolo cinto della corona dell’immortalità, il premio conseguito che non si può contestare. Egli si adoperò perché il corpo di lui non fosse preso da noi, benché molti desiderassero di farlo, per possedere la sua santa carne. 2. Suggerì a Niceta il padre di Erode, fratello di Alce, di andare dal governatore perché non consegnasse le spoglie. Lasciando da parte il crocifisso – egli disse – incominceranno a venerare lui. Avevano detto questo per le istigazioni e le insistenze dei giudei che ci sorvegliavano se noi volessimo prenderlo dal rogo. Erano ignari che non potremo mai abbandonare Cristo che ha sofferto da innocente per i peccatori, per la salvezza di quelli che sono salvi in tutto il mondo, e adorare un altro. 3. Noi veneriamo lui che è Figlio di Dio e degnamente onoriamo i martiri come discepoli e imitatori del Signore per l’amore immenso al loro re e maestro. Potessimo anche noi divenire loro compagni e condiscepoli!...
XVIII, 1. Il centurione avendo visto la contesa dei giudei, poste nel mezzo le spoglie le fece bruciare, come era d’uso. 2. Così noi più tardi raccogliendo le sue ossa, più preziose delle gemme di gran costo e più stimate dell’oro, le ponemmo in un luogo più conveniente. 3. Appena possibile ivi riunendoci nella serenità e nella gioia il Signore ci concederà di celebrare il giorno natalizio del martire, per il ricordo di quelli che hanno combattuto prima e ad esercizio e coraggio di quelli che combatteranno.
XIX, 1. Questi i fatti intorno al beato Policarpo che con quelli di Filadelfia fu il dodicesimo a subire il martirio a Smirne. Egli solo è ricordato più di tutti e di lui si parla dovunque, anche tra i pagani. Non soltanto fu un maestro insigne, ma un martire celebre, e tutti desiderano imitare il suo martirio avvenuto secondo il vangelo di Cristo. 2. Con la sua pazienza ha trionfato sul governatore ingiusto, ha conseguito la corona dell’immortalità ed esulta con gli apostoli e tutti i giusti. Egli glorifica Dio Padre onnipotente e benedice il Signore nostro Gesù Cristo salvatore delle nostre anime, guida dei nostri corpi e pastore della Chiesa cattolica nel mondo.
XX, 1. Ci avete pregato di essere informati da noi ampiamente sui fatti accaduti. Per il momento li abbiamo riassunti in breve per mezzo di nostro fratello Marcione. Conosciute poi le cose, spedite la lettera ai fratelli più lontani, perché anche questi glorifichino il Signore che fa la scelta dei suoi servi. 2. A lui, che può condurre tutti noi, per sua grazia e suo dono nel regno eterno, mediante suo Figlio l’unigenito Gesù Cristo, gloria, onore, potenza e grandezza per sempre.
Salutate tutti i fedeli. Quelli che sono con noi vi salutano e con tutta la famiglia Evaristo che ha stilato la lettera.
XXI. Il beato Policarpo ha testimoniato il secondo giorno di Santico[18], il settimo giorno prima delle calende di marzo[19], di grande sabato, all’ora ottava. Fu preso da Erode, pontefice Filippo di Tralli e proconsole Stazio Quadrato, re eterno nostro Signore Gesù Cristo. A lui gloria, onore, grandezza, trono eterno di generazione in generazione. Amen.
XXII[20], 1. Noi vi auguriamo di star bene, fratelli, camminando secondo il vangelo nella parola di Gesù Cristo, e con lui sia gloria a Dio Padre e allo Spirito Santo, per la salvezza dei santi eletti. Così testimoniò il beato Policarpo sulle cui orme vorremmo trovarci nel regno di Gesù Cristo. 2. Ciò ha trascritto da Ireneo, discepolo di Policarpo, Gaio che era vissuto con Ireneo. Io Socrate ho scritto copiando da Gaio a Corinto. La grazia sia con tutti. 3. E io Pionio lo trascrivo ancora dall’esemplare già ricordato, avendolo cercato dopo una rivelazione del beato Policarpo, come dirò in seguito. Lo raccolsi che era quasi distrutto dal tempo, perché il Signore Gesù Cristo raccolga anche me tra i suoi eletti nel suo regno celeste. A lui sia gloria col Padre e col Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.
1.[21] Ciò ha trascritto dalle opere di Ireneo Gaio, che era vissuto con Ireneo discepolo di Policarpo. 2. Questo Ireneo che all’epoca del martirio del vescovo Policarpo era a Roma, insegnò a molti. Di lui ci sono tramandate numerose opere molto belle ed ortodosse, nelle quali si ricorda di Policarpo che fu suo maestro, ed ebbe a confutare con forza ogni eresia e ci ha trasmesso la regola ecclesiastica e cattolica come l’aveva ricevuta dal santo. 3. Dice anche questo: un giorno Marcione, dal quale sono chiamati i Marcioniti, incontratesi con Policarpo gli disse: «Riconoscici, o Policarpo». Egli rispose a Marcione: «Ti riconosco, ti riconosco quale primogenito di Satana». 4. Anche questo si tramanda negli scritti di Ireneo. Nel giorno e nell’ora in cui Policarpo a Smirne subì il martirio, Ireneo, che era nella città di Roma, sentì una voce come di tromba che diceva: «Policarpo è stato martirizzato». 5. Da queste opere di Ireneo, come si è detto, Gaio aveva trascritto, e da Gaio trascrisse Isocrate a Corinto. Io Pionio di nuovo ho trascritto da Isocrate che ho ricercato dopo la rivelazione di san Policarpo. Lo raccolsi che era fatiscente per il tempo, perché mi raccolga il Signore Gesù Cristo con i suoi eletti nel suo regno celeste. A lui gloria col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
Da: A. QUACQUARELLI (edd), I Padri Apostolici, Roma 1998, 161-172.
Immagine: http://www.oca.org/
[1] Il testo è tratto da: G. Bosio, E. Dal Covolo, M. Maritano, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli I e II, Torino1990, 107-109.
[2] Tra le più Importanti ricordiamo le Lettere di Ignazio (Eph., 21,1; Magn., 15; Polyc., saluto e cc. 7-8); il Martyrium Polycarpi; Ireneo, A. H., 3, 3, 4; Tertulliano, Praescr., 32; Eusebio, H. E., 3, 36, 13-15; 4, 14; 5, 20, 5-6; 5, 24, 16; Girolamo, Vir. ill.,17; oltre alla Lettera ai Filippesi dello stesso Policarpo. La Vita Polycarpi, scritta dallo Pseudo-Pionio verso la fine del IV sec., ha valore leggendario.
[3] Si può arguire che i suoi genitori non fossero di origine giudaica per il fatto che egli confessa nella Lettera ai Filippesi (12,11) di avere poca familiarità coll’A.T. Altri particolari del suo Martyrium (come il possesso di schiavi e di due poderi in campagna) inducono a credere che provenisse da una famiglia benestante.
[4] A. H., 3, 3, 4 (testo greco in Eusebio, H. E., 4, 14, 3-4).
[5] Tertulliano, Praescr., 32,2; Girolamo, Vir. ill., 17,1. Cf. anche la seguente affermazione di Eusebio, H. E., 3, 36, 1: nell’Asia eccelleva Policarpo, creato vescovo della Chiesa di Smirne da coloro che avevano visto e servito il Signore.
[6] Cf 1 Gv 1,1-2.
[7] Ireneo, Lettera a Florino (databile attorno al 190 d. C.), riportata da Eusebio, H. E., 5, 20, 5-7.
[8] Cf Brox N., Il conflitto tra Aniceto e Policarpo, in “Concilium” 8/1 (1972) 51-62. Le chiese d’Asia, ispirantesi alla tradizione giovannea, celebravano la Pasqua il 14 di Nisan (il 14° giorno della prima luna di primavera), in qualunque giorno della settimana cadesse: era la prassi quartodecimana, che si uniformava alla data della Pasqua ebraica, e in tale data interrompevano il digiuno. A Roma invece si festeggiava la Pasqua sempre la domenica seguente al plenilunio di primavera. «Nel differente calendario liturgico, con tutta probabilità, si celava anche una diversa teologia della festività pasquale: i quartodecimani celebravano forse, in tale giorno, soprattutto il memoriale della morte, mentre le altre chiese, insistendo sulla celebrazione domenicale intendevano sottolineare il carattere di risurrezione della Pasqua» (Brox N., art. cit., 53). Con le comunità asiatiche che a Roma seguivano il loro rito, i vescovi conservavano l’unità, inviando loro l’Eucarestia come segno di fratellanza (cf Eusebio, H. E., 5,23-24). Papa Vittore (189-198) volle che tutte le chiese si uniformassero alla prassi romana, minacciando di scomunica quanti non si adeguavano: provocò in tal modo la reazione delle chiese asiatiche, capeggiate da Policrate, vescovo di Efeso, il quale addusse l’autorità dell’Apostolo Giovanni, di Policarpo e di altri vescovi, che avevano seguito l’uso quartodecimano. In questa controversia Ireneo, veramente degno del suo nome (Ireneo = pacifico) si interpose come paciere e fu così conservata l’unità e la comunione della Chiesa (cf Eusebio, H. E., 5,24,18). In seguito, quasi tutte chiese, particolarmente dopo le decisioni del concilio di Nicea del 325, adottarono la prassi romana.
[9] Ireneo, Lettera a Papa Vittore sulla Pasqua, riportata da Eusebio, H. E., 5, 24, 16-17.
[10] Ireneo, A. H., 3, 3, 4 (cf anche in Eusebio, H. E., 4, 14, 5).
[11] Ireneo, A. H., 3, 3, 4 (cf anche in Eusebio, H. E., 4, 14, 7).
[12] Matteo 24, 13: “Chi farà pazienza fino alla fine, questi è salvo” (ndr).
[13] Cfr. 1 Corinzi 2, 9.
[14] Cfr. Atti 21, 14.
[15] «Grande» perché si riferisce al giorno del martirio di Policarpo. L’analogia è al sabato che precedeva la Pasqua, chiamato dagli israeliti grande sabato.
[16] Cfr. avanti, V, 2.
[17] Calco latino per indicare l’incaricato che abbatteva con la spada il lottatore o la belva feriti.
[18] Il mese macedonico.
[19] Era il 23 febbraio dell’anno 155 (ndr).
[20] È forse un’aggiunta della chiesa di Filomelio per portare a conoscenza di più numerose comunità il martirio di Policarpo. Per alcuni l’aggiunta è del IV secolo.
[21] Si trova nel manoscritto di Mosca ed è del IV secolo.