Atti dei santi martiri Stefano papa e Tarsicio accolito

 

La sepoltura cristiana nelle catacombe, il lavoro dei fossori

Il testo degli Atti di papa Stefano[1] si apre con il ricordo di alcuni martiri, uccisi a motivo del loro ministero sacerdotale e la cui deposizione in Via Latina, avvenne probabilmente presso il cimitero di Tertullino, da identificarsi, presumibilmente con l’omonimo fossore[2] che nel racconto si occupa della sepoltura dei martiri e che, dopo essere stato catechizzato e ordinato presbitero da papa Stefano, viene anch’egli arrestato ed ucciso. Segue il martirio di Stefano, nella sua essenzialità, cuore della narrazione ed apice di quello che è il tema di fondo: il martirio eucaristico[3]. Stefano infatti viene ucciso sull’altare mentre celebra i divini misteri; un anno dopo anche il suo successore Sisto II (di cui non si fa menzione in questa passio) verrà coronato del medesimo martirio, quale sacerdote-ostia sull’altare. Conclude compiutamente la narrazione il breve racconto del martirio di Tarsicio[4], che ricalca quanto già scritto da papa Damaso in un carme commemorativo: Tarsicio portava i misteri di Cristo, quando una mano criminale tentò di profanarli. Egli preferì lasciarsi massacrare, piuttosto che consegnare ai cani arrabbiati il corpo del Signore.

Probabilmente l’autore degli acta, collazionando memorie e testi diversi, ha voluto celebrare insieme alcuni martiri la cui memoria liturgica cade nello stesso periodo, e soprattutto perché il loro martirio è legato al servizio dell’altare, pur con ministeri differenti. Tertullino e Tarsicio, infatti, muoiono per la custodia delle “cose sante” (i corpi santi dei martiri e i santi doni dell’altare[5]), e come Stefano, quali martiri-sacerdoti che nel cruento sacrificio delle loro vite sono congiunti al mistico e incruento sacrificio di lode dove Cristo è l’offerente e l’offerto, colui che riceve i doni e che in dono si da, come ripete il sacerdote nell’inno cherubico.

Il fine edificatorio della passio è dunque l’esortazione rivolta ad ogni cristiano (non solo a chi svolge un ministero particolare) quale Re, Sacerdote e Profeta a seguire l’esempio dei santi nella quotidiana martyria della sequela di Cristo, offrendo la lode del sacerdozio battesimale unitamente al farsi eucaristia, ostia paziente[6] per Ipsum et cum Ipso et in Ipso.

 

 

Acta sanctorum Stephani papae et Tarsicii acolyti martyrum

Il santo ieromartire Stefano I, vescovo di Roma antica

 

Venne fuori un decreto di Valeriano e Gallieno che colpiva Stefano e il clero della Chiesa Romana: dodici, che v’erano ascritti, Bono, Fausto, Mauro, Primitivo, Calunnioso, Giovanni, Esuperanzio, Cirillo, Teodoro, Basilio, ed Onorato, vennero decollati sulla Via Latina presso l’aquidotto[7]; i loro corpi furono sepolti accanto a quelli di Giovino, e Basileo[8], per cura di Tertullino. Informatone papa Stefano chiamò a se Tertullino, ed eruditolo del regno di Dio, e della vita eterna, lo battezzò, e ordinò sacerdote, commettendogli provvedere alla tumulazione dei martiri.

Tertullino, pochi giorni dopo, fu chiamato da Valeriano che gli domandò dove giacesser deposti i danari di Olimpio.

Tertullino: “L’impegno che poni ad appropriarti le ricchezze del mio padrone sarebb’esso un indizio che tu pure pensi provvedere alla tua eterna salute, sendo ch’ei d’esse si è valso per procacciarsi la immortalità beata?”.

Valeriano: “Le ricchezze giovano a’vivi”.

Tertullino: “Procacciano, a chi bene ne usa, il regno di Gesù Cristo autore della vita e della morte”.

Veleriano: “Il cervello diè di volta a costui!”, ed ordinò lo si frustasse, indi gli si bruciassero i fianchi: dopodiché fu tradotto ad esser decollato al secondo miglio sulla Via Latina[9]: papa Stefano ne raccolse le spoglie nelle catacombe.

San Tarsicio l’ipodiacono

 

 

Valeriano mandò a pigliare Stefano, e gli disse: “Tu sei quello, che, ritraendo colle tue persuasioni il popolo dal culto degli Dei, ti sforzi rovesciar lo Stato”.

Stefano: “Esorto chi mi ascolta a riconoscere il vero Dio: con questo non credo recar danno allo Stato”.

Valeriano lo mandò al tempio di Marte per esservi decollato. Cammin facendo Stefano orò: “Dio, padre mio, che struggesti Babelle empia, percuoti questo tempio iniquo, di cui si giova l’inferno per tirare a perdizione la turba!”. In quel punto tuoni e lampi scoppiarono, e percosso dal fulmine il tempio si sfiancò: gli sgherri scamparono, lasciando Stefano solo, libero di andarsene al prossimo cemetero di Lucilla, dove, confortati al martirio i fedeli quivi raccolti, celebrò per essi i santi misterii.

L’imperatore non pose tempo in mezzo a spedire altri soldati, che trovarono Stefano sull’altare, e, secondo l’avuto comando, ve lo trucidarono[10]. Gran pianto versarono i fedeli per la morte di un tanto pastore; lo seppellirono nel luogo medesimo ov’era caduto, denominato cemetero di Callisto.

Pochi giorni dopo i soldati s’imbatterono nell’acolito Tarsicio mentre portava l’Eucaristia: richiestolo che cosa facesse, ed aborrendo egli di dar in balìa degli animali immondi le gemme, si rifiutò di rispondere, talché fu percosso di bastonate e sassate fino a morirne: allorché ricercarono sul cadavere che cosa occultasse, non venne or fatto di rinvenire gli augusti pani[11]. Quel dì stesso il corpo del beato Tarsicio vene raccolto e sepolto nel cemetero di Callisto[12]. 

 

Da: Conte TULLIO DANDOLO, Roma Cristiana nei primi secoli, vol. II – Martiri, Assisi 1866, 119-121.

Introduzione e note a cura di © Tradizione Cristiana

 

Roma: un tratto di Via Latina

 

 

Roma, catacombe di san Callisto: la tricora occidentale dove si ipotizza fosse ubicato il sepolcro di papa Zefirino e del martire Tarsicio

 

Immagini:
http://www.allmercifulsavior.com/icons/Icons-Tarsicius.htm
http://www.santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=89023&pic=89023.JPG&dispsize=Original&start=0
http://www.romasegreta.it/appia_antica/catacombedis.callisto.htm

[1] Vescovo di Roma antica dal 254 al 257.

[2] Nella Chiesa antica quello di fossore non era un semplice compito di addetto alle sepolture, ma un vero e proprio ministero sacro, l’ultimo grado degli ordini minori.

[3] S. Ignazio il Teoforo certamente è tra i Padri colui che con maggiore autorità esprime tale pensiero, poiché lo fa in vista del proprio martirio: “Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo… Lasciate che riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio… La mia passione umana è stata crocifissa, e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David e come bevanda il suo sangue che è l'amore incorruttibile…” (dalla Lettera ai Romani).

[4] Secondo parte della critica il nome Tarcisio sarebbe variante o risultato della storpiatura di Tarsicio. Alcuni studiosi invece ritengono che si debba distinguere la figura di Tarsicio accolito di papa Stefano da quella del martire romano Tarcisio (di cui nulla conosciamo), il cui corpo è venerato a Napoli nella chiesa di s. Domenico maggiore, e a cui erroneamente sono state attribuite le vicende relative a Tarsicio. N. Wiseman, con il romanzo storico Fabiola o la Chiesa delle catacombe, ebbe a metà ‘800 i meriti di far conoscere la figura di Tarcisio/Tarsicio, e di aver fatto riemergere nella cristianità occidentale il culto per i martiri della Chiesa Una e Indivisa.

[5] Sulle tombe dei martiri, sin dai primi secoli, la Chiesa ha edificato gli altari per la celebrazione della Liturgia. Al termine delle persecuzioni la presenza delle reliquie dei martiri divenne un elemento indispensabile per la consacrazione dell’altare; basti ricordare con quale trepidazione sant’Ambrogio attendesse il ritrovamento dei santi corpi per poter consacrare l’altare di nuove basiliche a Milano. Ancora oggi nelle Chiese Ortodosse di tradizione Slava è uso cucire una piccola reliquia all’interno dell’anteminsion.

[6] Luca 21, 19: Con la vostra pazienza guadagnate le vostre anime.

[7] Il Martirologio Romano li ricorda il 1 di Agosto: A Roma, sulla via Latina, i santi Martiri Bono Prete, Fausto e Mauro, con altri nove, che sono ricordati negli Atti di santo Stefano Papa.

[8] Il Martirologio Romano li ricorda il 2 marzo: A Roma, sulla via Latina, i santi Martiri Giovino e Basileo, che patirono sotto gli Imperatori Valeriano e Gallieno. Nulla di più è detto su questi due martiri, di cui sappiamo soltanto che furono sepolti con tutta probabilità nel cimitero dedicato a Tertullino; nel IX secolo i loro resti, insieme a quelli degli altri martiri di quella catacomba, furono traslati nella basilica dei Santi XII Apostoli.

[9]Il Martirologio Romano lo ricorda il 4 agosto: A Roma, sulla via Latina, la passione del beato Tertullino, Prete e Martire, il quale, sotto l'Imperatore Valeriano, dopo essere stato empiamente percosso con bastoni, arso nei fianchi col fuoco, fracassato nella bocca, stirato sull'eculeo, e dopo che gli furono tagliati i nervi, fu condannato a morte, e con la decapitazione compì il martirio.

[10] Il Martirologio Romano lo ricorda il 2 agosto: A Roma, nel cimitero di Callisto, il natale di santo Stefano primo, Papa e Martire, il quale, nella persecuzione di Valeriano, mentre celebrava il Sacrificio della Messa, e, al sopraggiungere dei soldati, intrepido ed immobile dinanzi all'altare compiva i cominciati misteri, fu decapitato nella sua sede.

[11] Il Martirologio Romano lo ricorda il 15 agosto: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, commemorazione di san Tarsicio, martire: per difendere la santissima Eucaristia di Cristo che una folla inferocita di pagani tentava di profanare, preferì essere lapidato a morte piuttosto che lasciare le sacre specie ai cani. Le sue reliquie insieme a quelle di papa Stefano e altri martiri sono ubicate nell’altare della chiesa di S. Silvestro in Capite.

[12] Papa Damaso così celebra il martire nel carme posto sul suo sepolcro:

Par meritum, quicumque legis, cognosce duorum,

quis Damasus rector titulos post praemia reddit.

Iudaicus populus Stephanum meliora monentem

perculerat saxis, tulerat qui ex hoste tropaeum,

martyrium primus rapuit leuita fidelis.

Tarsicium sanctum Christi sacramenta gerentem

cum male sana manus premeret uulgare profanis,

ipse animam potius uoluit dimittere caesus

prodere quam canibus rabidis caelestia membra.

 

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