ULTIME RIGHE SCRITTE DALL’ARCHIMANDRITA JUSTIN POPOVIC

 

 

           Esaminate e controllate: tutto ciò che c’è di buono nell’uomo[1] trae origine da Dio stesso: tutto ciò che è grande, immortale ed ha un valore eterno. Di tutto ciò la gloria spetta a Dio; all’uomo essa spetta in quanto glorifica Dio con ciò che c’è di buono, santo, immortale, eterno. Che cosa si deve lodare e celebrare nell’uomo, che egli non abbia ricevuto da Dio? Chi è intelligente lo vede e se ne rende conto, per cui ascrive a Dio tutta la gloria e tutte le opere gloriose compiute dagli uomini. Solo le persone di intelligenza limitata e di sentimenti superficiali, incapaci di pensieri profondi, ascrivono agli uomini la gloria delle loro opere. E questa gloria cercano testardamente. Ma tra gli uomini è glorioso, in realtà, solo ciò che è divino, immortale ed eterno. L’uomo è glorioso solo per merito di Dio, del Dio-Uomo. Giacché lui solo gli dà l’immortalità, l’eternità, la verità, l’amore, la giustizia e la saggezza, ciò che lo rende glorioso davanti a Dio. Ed è ciò che lo rende eternamente glorioso. Perciò il Cristo, a nome proprio e dei suoi autentici seguaci, decisamente dichiara: “A me non importa affatto ricevere i complimenti dagli uomini”[2]. Ma se l’uomo cerca la gloria degli uomini, è un verme che cerca la tarlatura; a che cosa gli serve allora il Cristo? A che gli serve la fede nel Cristo? Egli non può neppure credere nel Signore Gesù. L’amor proprio è il principale impedimento perché si creda nel Dio-Uomo, l’amor proprio che serve a soddisfare gli uomini. Se l’uomo accontenta i suoi simili, se vive per la gloria umana, s’è reso con ciò stesso incapace della fede in Dio e di ciò che è divino: la Verità divina, la giustizia e la Vita. Perciò il Salvatore giustamente chiede: “Ma come può avere fede gente come voi? Siete pronti a ricevere l’omaggio dei vostri simili, ma non vi preoccupate di ricevere la lode di Dio”[3].

         Mosè che vide Dio, vide tutta la sua gloria, quella del suo popolo e di tutti gli uomini in Dio e nel suo Messia[4]. Ogni sua parola è una fiamma di ardore per Dio e per ciò che è divino. Se indagate sulla verità delle sue parole, in che cosa essa consiste se non in Dio e nel suo Messia? Mosè non fece altro che “scrivere di me”[5], cioè del Cristo, Dio-Uomo…

 

 

         Queste ultime righe padre Justin Popovic scrisse, commentando il capitolo 5 di san Giovanni, giovedì 29 marzo 1979, commemorazione del santo Apostolo Aristobulo, tra le ore 9 e le 13. Venerdì mattina si sentì male. Il giovedì successivo confessò le monache ed il sabato, festa dell’Annunciazione, serenamente s’addormentò nel Signore alle ore 13:30.

 

 

Da “Messaggero Ortodosso”, Roma, agosto-settembre 1979 anno IV, n.7-8, p. 22-23. trad. A. S.


 

[1] Giovanni 5, 41-47.

[2] Giovanni 5, 41.

[3] Giovanni 5, 44.

[4] Giovanni 5, 45-47.

[5] Giovanni 5, 46.

 

 

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