INIZIO DELLA VITA DI SAN GAUDENZIO
MERAVIGLIOSO CONFESSORELA SUA FESTA È CELEBRATA IL 22 GENNAIO
1. Mentre con viva e decisa attenzione mi accingevo a prendere in considerazione la vita e le opere dei santi precedenti, improvvisamente, per divino volere, si presentarono alla memoria le gloriosissime gesta del beato Gaudenzio: ma essendo io un povero, umile servo, privo di scioltezza ed eleganza nel parlare, mi sento impari e indegno del compito di illustrare con quanti e quali segni e prodigi il Signore ha voluto onorarlo. Ma confidando nella parola di Dio che dice: “Apri la tua bocca e io la riempirò” e appoggiandomi ai meriti del santo Vescovo, nostro patrono, mi accingerò a narrare almeno i momenti principali della sua vita, quasi per sottrarmi alla mia pigrizia. In tal modo mi sarà possibile, almeno in parte, comprendere anche quanto riguarda il beato martire Lorenzo, anch’egli nostro patrono, perché entrambi, che Ambrogio irraggiò e unì col legame della stessa fede, possano godere dello stesso trionfo. Gaudenzio infatti, seguendo fedelmente le orme del beato martire, non si lasciò sedurre dalle cose del mondo e, superando ogni avversità, ora in cielo trionfa vincitore con gli angeli. 2. Il beato Gaudenzio, originario di Ivrea, città dell’Italia, posta ai piedi delle Alpi e presso i confini d’Europa, proveniva da una nobile famiglia, tra le prime della città; più tardi però egli sarebbe rifulso come illustre pastore di Novara, città anch’essa appartenente all’Italia. Ivi fu Vescovo per vent’anni e, dopo una gloriosa morte, ne divenne il celeste patrono: anzi illuminato dal cielo col fulgore della divina grazia, a cui va aggiunta la luminosità della sua mente, egli camminò, come la stella del mattino tra gli astri, radiante di luce. Fin dalla primissima infanzia ardeva in lui. una grande passione religiosa e aveva succhiato col latte una così grande abbondanza di sapienza che divenuto giovane, per divina ispirazione, abbracciò con tutto il cuore la vita ecclesiastica. E così cresceva nell’esercizio assiduo della disciplina, quasi avesse un presentimento di quella figura di sacerdote che era destinato a diventare nel tempio di Dio. Infatti, anche se all’apparenza sembrava giovane e immaturo nell’età, lasciava tuttavia trasparire chiari segni per un impegno di castità da dimostrare di averla posta come virtù fondamentale della propria anima. Su di essa cominciò a costruire l’edificio delle altre virtù: e così attraverso la preghiera e l’astinenza giungeva a porre un freno alle cupidigie della giovane età, intraprendeva il cammino della sapienza ed avviava sul sentiero della perfezione molti di coloro che venivano a lui.
3. Spargeva il seme del Vangelo fra i suoi conterranei ancora ignoranti e con religiosa sollecitudine si adoperava perché anche ai suoi familiari, ancora pagani, giungesse l’annuncio della grazia divina. E questo è un titolo di grande merito e virtù per lui che, prima di essere sacerdote, ebbe il dono di essere un maestro che insegnava con la parola, accompagnata però dalla chiarezza degli esempi. Frattanto cominciò ad essere famoso e conosciuto per i suoi carismi e la potenza dei suoi miracoli: guariva infatti con la preghiera i malati e con la forza della sua parola cacciava i demoni; lui, uomo mite e umile, si impegnava con tutte le sue forze, per non contaminare di superba vanagloria le sue orecchie, lasciandosi intrappolare dalle attrattive del mondo. 4. Mentre il santo compiva tutte queste cose, il virulento e invidioso avversario di ogni opera buona, vedendo che, ogni giorno, attraverso l’opera costante e infaticabile di Gaudenzio, andava preparandosi ai suoi danni un popolo consacrato a Cristo Signore, cominciò a mettere in opera nei confronti del servo di Dio delle diaboliche macchinazioni, cosi da farlo considerare e apparire come ribelle e spregevole. In lui perciò si adempì la Scrittura che dice: “Nessun profeta è senza onore, se non nella sua patria”. E per questo non sembrò operare tra i suoi concittadini segni prodigiosi a causa della loro incredulità. E mentre da una parte quei pochi che credettero furono illuminati dallo splendore della luce, quelli che non credettero e si sviarono furono avvolti da una tetra caligine, incamminandosi così i primi verso la gloria, i secondi sulla strada della perdizione. Vedendo l’ostinazione di costoro, fu colpito da un acuto dolore, desiderando anch’egli, secondo l’esempio dell’apostolo Paolo, farsi anatema per coloro che a lui erano legati da vincoli della carne. Ma meditando profondamente, dal momento che si è di fronte ad un occulto e sottile giudizio di Dio, il fatto che la predicazione di Dio è sottratta alle orecchie di alcuni che non hanno meritato di essere, risvegliati dalla grazia, come sta scritto: “Sia tolto di mezzo l’empio, perché non veda la gloria di Dio”; ritenendo un nulla i legami del sangue, considerò i suoi quasi come degli avversari della religione cattolica. E detestò a tal punto il contatto con i medesimi da ripetere in cuor suo l’esempio di Davide: “Non siederò nel consesso dei malvagi e non starò più in compagnia degli empi, ma mi accompagnerò con gli onesti e starò attorno all’altare del Signore, perché sedendo a mensa con i cattivi, non diventi di scandalo a me stesso”. Cominciò poi a meditare le gesta degli antichi padri che, adempiendo i divini comandamenti, meritarono di diventare compartecipi degli angeli nel possesso del regno dei cieli. Ma appena si imbatté in Abramo, l’amico di Dio, che, per divino comando, lasciò la sua terra e la sua parentela, e in molti altri eletti di Dio che, dopo aver abbandonato le cose terrene, ricevettero il centuplo dei beni celesti, desiderando ansiosamente di compiere la volontà di Dio, rinunziò a tutto e divenne attento uditore della parola del Vangelo; rinunziò a se stesso, prese la sua croce e segui Cristo. E avvenne che nella misura in cui si allontanava dalla casa paterna per il nome di Cristo, tanto più meritava ogni giorno di essere sempre più vicino al cielo.
5. Partito di là, dopo non molti giorni raggiunse Novara, dove trovò il beato presbitero Lorenzo, degno di Dio, che era colà venuto dalle regioni d’occidente “per il nome di Cristo”, il quale, rivestito del fervore della fede, combatteva come alfiere, nel folto della mischia, sotto l’incalzare del nemico, contro la perfidia dei pagani. Anzi, mosso dalla sua zelante fede, aveva costruito con le proprie mani dei fonti nei quali amministrava il battesimo nel nome della Santa Trinità, né desisteva dal predicare ai pagani Dio perfetto nella Trinità, manifestando loro il suo giudizio e la sua misericordia, adoperandosi a conquistare a poco a poco le anime a Dio, togliendole dal dominio del diavolo. E, cosa straordinaria, la gente che era armata non sapeva resistere a lui che era inerme. E tanti e tali prodigi il Signore si degnava di operare per mezzo suo al punto da convertire i cuori non meno coi miracoli che con la predicazione. Ma mentre un giorno, come di solito, dopo aver consacrato a Dio un gran numero di fanciulli, rigenerandoli con la grazia dei battesimo, passava intrepido in mezzo alle nefande schiere dei cultori dei mausolei, fu da questi stessi pagani martirizzato, insieme a molti fanciulli appena battezzati; ma pur avendo perso la vita terrena, si acquistò la vita eterna nel cielo, dove trionfa vincitore con gli angeli. Ancora oggi, nella predetta città di Novara il suo venerabile corpo risplende per i segni di miracolose guarigioni. Per questo ti rendiamo grazie, Signore Gesù, perché non hai permesso che le frecce scagliate dal nemico diventassero ferite, bensì fossero solo delle prove per coloro che ti sono fedeli e perché dai tale ricompensa ai tuoi per la loro fatica, cosi che il nemico non possa davvero godere che alcuno dei tuoi sia stato codardo. 6. E dal momento che il lavoro che abbiamo intrapreso ci porta a fare attenzione alle peculiari imprese del nostro patrono, non possiamo dilungarci molto sulle gesta dei beatissimo martire Lorenzo. È sufficiente il non essercene scordati; in questo genere di cose infatti è più conveniente che il fedele creda, piuttosto che far conto su quanto può dimostrare il ragionamento umano. Quando poi il beato Gaudenzio incontrò il beatissimo atleta di Dio Lorenzo, fu da lui accolto con molta simpatia e cordialità; e gradualmente conformandosi a lui nella pratica dell’obbedienza ai moniti divini e pienamente istruito nella dottrina della SS. Trinità, per lungo tempo, insieme, nutrirono il gregge regale. Inoltre bisogna sapere che, dopo la morte gloriosa di lui, per la religiosa dottrina della fede, fu compagno e notaio del beatissimo Martino, egregio confessore, nella città metropolitana di Milano.
7. E mentre al tempo dell’imperatore Costanzo pullulava l’eresia ariana dalle velenose radici e dal fiore parimenti velenoso, due avversari della fede cattolica, Valente e Ursacio, riuscirono a persuadere l’imperatore a condannare all’esilio il beatissimo Eusebio, vescovo di Vercelli, insieme con altri vescovi, degni di Dio; cosa che avvenne. In quel tempo il Beato Gaudenzio, radicato nella speranza, rivestito del fervore della fede e mosso dalla carità di Cristo, non temeva assolutamente la morte. E per manifestare quanto fosse salda in lui quella fondamentale e sublime carità, per la quale Cristo aveva insegnato a dare la vita per i propri amici, senza esitazione e con prontezza segui sulla via dell’esilio il santo confessore Eusebio, come suo inserviente e compagno, pronto anche a morire, cosi come sta scritto: “l’amore è forte come la morte”. Uomo veramente perfetto, che fin dalla tenera età ardeva di tanto amore da associarsi dapprima al beatissimo martire Lorenzo, facendosi suo discepolo e adempiendo con molta competenza il proprio compito come mitissimo lettore. 8. E non appena l’antico nemico vide il popolo di Dio che è in Vercelli senza pastore, cercò con intrighi maliziosi di sovvertire attraverso discordie intestine, la sopraddetta Chiesa e tutto il popolo. Ma subito con l’aiuto di Dio e con l’arrivo di S. Gaudenzio si fa presente la clemenza divina: essendo egli stato destinato dal predetto pio pastore come custode del gregge in quella città, vigilando dovunque, non permise che i morsi del lupo dilaniassero il gregge di Dio. E con ogni sollecitudine, secondo il profeta – salendo di fronte e ponendosi contro, quale muro per la casa di Israele nella battaglia del giorno del Signore – facendo le veci dell’egregio pastore di quella chiesa, vigilò di notte attentamente sul gregge del Signore, fino a che, al ritorno del pastore, poté presentare illesi gli ovili. Essendo dopo tre anni ritornato S. Eusebio, egli considerò il beato Gaudenzio come amico e collega. A causa di queste vicissitudini ressero entrambe le chiese con un comune governo e si presero cura di entrambi i popoli come se di due greggi fosse stato fatto un solo ovile; ed entrambi i greggi uniti da una singolare carità da allora fino ad oggi sembrano, per divino volere, restare indivisi. Intanto Dio fu meravigliosamente glorificato nel suo santo, propagando con mezzi sempre migliori le virtuose imprese cominciate e illuminando, come astro splendente nel cielo, il mondo intero con la luce della suprema luce.
9. In quello stesso tempo il beatissimo uomo si era scelto, dentro le mura della città, non lontano da dove, da non molto, è situata la chiesa madre, un piccolo alloggio o cenobio circondato da chiostri. E appena vi entrò, ricco di fede e di costanza, si mise a condurre una vita piena di astinenza, digiuni e veglie a tal punto che quando lo sorprendeva la naturale necessità del sonno, dormiva non su un comodo letto, al quale per altro non si era mai abituato, ma sul solo pavimento e sul cilicio. 10. Quivi, mentre stava passando una notte in veglia, improvvisamente nel silenzio profondo della stessa, un fuoco accesosi per caso nel circuito delle mura, divampò accrescendosi e circondando la città da ogni lato, fino a giungere velocemente a lambire il suo alloggio, mentre egli era preso da un leggero sonno. Svegliatosi e appreso da un discepolo di cosa si trattasse, accorse velocemente, girò attorno alle fiamme cantando cantici spirituali ed opponendo il segno della croce alle altissime fiamme le quali, mentre stavano per investire da tutti i lati i caseggiati vicini, si ripiegarono incapaci di proseguire ulteriormente il loro cammino distruttore. Pieno di esultanza ritorna al suo alloggio, cantando le consuete lodi delle ore del mattino. 11. Dopo non molto tempo, per divina virtù fece un presagio. Infatti, quando il beatissimo Ambrogio, decoro della Chiesa, vescovo della santa chiesa milanese, si era recato alla sopraddetta città di Vercelli per una discordia sorta in seno al popolo e, dopo aver rischiarato come raggio di sole tutta la città, vi lasciava una perenne concordia e pace; tornando poi celermente alla propria sede e passando sul far della sera per Novara, accelerava il passo per giungere al luogo fissato, dispensandosi dal visitare il beato uomo, dicendo ai suoi compagni: “Avremmo dovuto far visita al reverendissimo Gaudenzio, ma ormai si fa sera”. Così dicendo riprendeva il cammino iniziato: ma non lontano di lì il cavallo di Ambrogio si fermò improvvisamente né poté farlo muovere ulteriormente. Ricorse allora alla frusta e agli sproni, ma quello restava immobile, temendo di proseguire il cammino come se fosse sull’orlo di un precipizio mortale. Mentre era stanco di batterlo, improvvisamente illuminato dallo spirito divino, ritornato, secondo il suo solito, in sé, disse: “Non ci è permesso proseguire il viaggio intrapreso, se non dopo aver visto il beato Gaudenzio”. Detto questo, subito si rigirò indietro e ritornò, ora volendolo, alla città dove prima non aveva voluto andare.
12. Appena il beato Gaudenzio conobbe, per dono dello Spirito, l’arrivo di un personaggio così eminente, cercò di andargli incontro. E quello, vedendolo, lo baciò teneramente e, quasi gridando, annunciandogli una cosa arcana, gli disse: “Vedo che tu sarai Vescovo”. E l’altro, prevedendo per la stessa grazia il futuro, con viso calmo com’era abitualmente, lontano dal contraddirlo, di rimando gli disse: “Sì! Ma sarò fatto da un altro”. E cosi avvenne che, causa e origine di un identico miracolo, animati da un unico spirito, entrambi predissero il futuro: l’uno relativamente al fatto, l’altro relativamente al tempo. E dopo essersi reciprocamente salutati, il beato Ambrogio ritornò alla città di Milano. Dopo non molto tempo, secondo la predizione del beato Gaudenzio, tornò al Signore con una gloriosa morte, predicendo a sua volta il successore nella degna persona del beatissimo Simpliciano. 13. Ma già si avvicinava il tempo da tutti desiderato, al punto che il popolo, che da tempo si aspettava un vescovo e sperava fosse il beatissimo Gaudenzio, lo chiese al principe terreno, dal momento che già sapeva che era assai gradito al principe del cielo. Gli indirizzarono perciò una calda istanza, sebbene concepita con poche parole, manifestando a lui il loro desiderio e pregandolo perché nella sua clemenza si degnasse di ascoltare le loro preghiere, così che Gaudenzio, degno di Dio, giunto al vertice della sacra potestà, finalmente assumesse la cura del governo episcopale. Senza frapporre indugi, il principe, per celeste dono, con fine accorgimento e reprimendo ogni altra bramosia, comandò che fosse compiuta senza alcuna dilazione quanto la divina provvidenza aveva predisposto. E così, per grazia di Dio, meritò di arrivare per primo alla dignità episcopale nella sede novarese. Ricevuto l’onore dal pontificato dal beatissimo arcivescovo Simpliciano, si fece tutto a tutti.
14. Non cercò il suo personale tornaconto, ma quanto era utile a molti per la loro salvezza. E il Signore si degnò di accendere come lampada il suo sacerdote, incrementando ogni giorno la predicazione della parola e la semente salutare del regno dei cieli. Subito si diede da fare per purificare il suo popolo dalle infezioni dei vecchi veleni, al punto che gli empi cultori dei mausolei, che avevano appena ucciso il beato martire Lorenzo, sembravano intravedere la nuova luce della verità; così che nessuno, nella città che il cielo gli aveva affidato, restò senza la grazia del battesimo. Infatti colui che aveva meritato di essere confessore, non ebbe alcun indugio a divenire predicatore di popoli crudeli. E mentre pregava con insistenza il Signore per la loro conversione e insegnava loro la remissione dei peccati per mezzo dei battesimo e che non vi era altra strada per la salvezza, quasi che un raggio del sole di verità si fosse acceso nei loro cuori, pieni di stupore e vedendo senza schermi la gloria di Dio, ravvedutosi dall’antico errore e professando la confessione della vera fede, furono battezzati dallo stesso Vescovo. Con la grazia divina perciò, il famoso combattente, sottrasse la preda al nemico e la riconsegnò al suo Autore. 15. Dopo non molto tempo, la grazia dei prodigi si era talmente accresciuta da operare per mezzo suo cose straordinarie, come già per mezzo degli apostoli. Infatti, come abbiamo già detto più sopra, quand’era giovane cacciava con la sua parola i demoni, guariva i malati con la preghiera. Dio parve ogni giorno essere magnificato per i prodigi che compiva per mezzo del suo santo: così che col passare del tempo rese la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, agli zoppi il cammino. E inoltre altre cose fece che ora sarebbe lungo raccontare a una a una. E poiché il Signore e Salvatore nostro, quand’era in terra aveva detto ai suoi discepoli: “Se crederete in me, anche voi farete le opere che io faccio, anzi ne farete maggiori di queste”. E cosi la fiamma dello spirito aveva acceso nel beato uomo tanta profondità di fede che, se qualcuno di nascosto avesse raccolto l’acqua che cadeva dalle sue mani mentre si lavava e avesse toccato il corpo di qualche ammalato, questi si sarebbe sentito sollevato da molte infermità. E solo coloro che lo poterono costatare personalmente possono credere quanti e quali segni il Signore ha compiuto fino alla fine per mezzo di lui. Senza sosta il beatissimo uomo si adoperava per saziare i cuori delle pecore con gli alimenti divini; affinché non trascurassero i comandamenti di Dio, ricordava la parola del Signore: “Non vogliate possedere né oro né argento”, e insegnava, come l’apostolo, ad essere contenti per il fatto di avere di che nutrirsi e vestirsi. Con tutte le sue forze si dava al lavoro tenendo a freno e come servo il proprio corpo, affinché non g i capitasse di essere a sua volta riprovato, lui che predicava agli altri. Egli voleva cosi ripresentare al Signore, con la predicazione e con le opere, un doppio frutto delle sue fatiche. E poiché, come aveva detto il Salvatore, egli insegnò ciò che per primo aveva messo in pratica, non vi è alcun dubbio che egli sar&agr ave; grande nel regno dei cieli. Questi fu un sacerdote di Dio, rivestito di dignità pontificale, che, crocifisse se stesso e, non dando tregua alle proprie passioni, conseguì un nuovo martirio con la mortificazione della carne.
16. E dopo aver costituito chiese, monasteri, piccole comunità ed essendo diventato padre di moltissimi chierici, lieto per la piena corrispondenza dei figli, si avvicina finalmente a ricevere la ricompensa preparata dall’eterno Padre. Veramente il Signore è sempre pronto per consolare e compensare il suo servo fedele. Ed avendo già trascorso venti anni nella dignità episcopale e presentando vicina la sua morte, ritenne opportuno, finché era in vita, additare e annunziare il proprio successore, perché in seguito non capitassero discussioni e discordie sulla scelta del pastore in seno al gregge che il cielo gli aveva affidato. Radunato il clero e tutto il popolo li ammoni a ben ricordare innanzitutto le parole di Dio che per mezzo suo le loro orecchie aperte dalla grazia divina avevano udito e, temendo il pericolo dell’eterna dannazione, ogni giorno affrettassero il passo verso il regno dei cieli. E poi, dopo aver detto parecchie altre cose li avverti che il loro futuro pastore e suo religioso successore, predestinato da Dio, era Agabio, uomo prudente: che fossero inoltre stabili e decisi nel ritrovarsi unanimi nella sua scelta, cosi che il popolo per ignoranza non andasse contro le divine disposizioni.
17. E mentre con le rimanenti forze il beatissimo non cessava di ammaestrare il popolo, venne il tempo glorioso del suo passaggio. E mentre affidava alla terra le membra mortali, lo spirito, che già da lungo tempo anelava di partecipare ai cori angelici, sali al cielo. Subito una grande folla di popolo confluì al suo passaggio morta le: le mura, gli atrii, le piazze erano stracolme di gente. Vi era un pianto generale, un dolore insopportabile e tra i singhiozzi della gente addolorata si facevano strada questi gemiti: o gregge desolato, che farai? Ecco, perso il pastore, sarai forse disperso? E chi ti potrà salvare dal morso rabbioso dei lupi? A quel tempo la basilica, dove ora il sacerdote di Dio, sepolto con grande decoro, aspetta il tempo della resurrezione, cominciata nel la costruzione con ogni sforzo da lui medesimo, non era ancora terminata; il beato Agabio però la portò a compimento con ogni onore. Frattanto il popolo, sotto la morsa di una duplice tristezza, sia per la morte del padre che per i lavori della basilica rimasti a metà, non potendo sopportare una così grande angoscia, prostrato sul pavimento gemeva con tutte le forze, al punto da non lasciare ai ministri della chiesa la possibilità di compiere i divini uffici. 18. Intanto il santissimo uomo si affrettava a visitare spiritual mente il popolo che aveva abbandonato col corpo, ma non con l’affetto. D’un tratto infatti, con la divina ispirazione, confortò i cuori di tutti a deporre il suo venerabile corpo nella santa chiesa maggiore, senza sotterrarlo, ma deponendolo sul pavimento, fino a che l’altra chiesa da lui iniziata, fosse portata a compimento dal reverendissimo Agabio, suo successore. Allora tutto il popolo, illuminato dalla divina ispirazione d confortato dai suoi precedenti prodigi, deposto ogni timore sul disfacimento del sacro corpo, col locò la salma su un tavolato di legno nella sacrestia, celebrò con venerazione le sante esequie e fu deciso di celebrarvi ancora i divi ni uffici. E così nessuno dubita che il suo corpo, lucente di roseo fulgore e olezzante un fragrante profumo, sia rimasto senza sepoltura dal 22 gennaio al 3 agosto. E questo corpo, che mostrava in se stesso un non piccolo prodigio, ogni giorno era visto dai fedeli: i capelli dei corpo, la barba e le unghie delle mani e dei piedi crescevano di continuo, come quando il corpo era in vita. E se il beatissimo uomo meritò di mostrare tali cose straordinarie nelle sue mortali spoglie, fu per dare a capire a tutti coloro che lo visitavano, che colui che essi in terra senza conforto piangevano morto, in realtà lo credessero vivo nei cieli con gli angeli. Dopo questi segni, dimostrò di essere presente risanando i sofferenti da diverse malattie, quasi una luce celeste o un raggio di sole che irrompe, con la luce dell’astro Maggiore, illuminando tutta la terra. Una immensa moltitudine di gente accorreva dai borghi e dalle città al venerabile e santo corpo, a causa dei di versi miracoli di guarigione.
19. E la sua fama luminosa raggiunse in un batter d’occhio, non solo le città vicine, ma anche quelle lontane. Intanto il beato Agabio, aiutato da tutto il popolo, con grande sontuosità e magnificenza allestì in tutto l’anzidetta basilica e, terminatala, celebrò la cerimonia della dedicazione. E poi, sei mesi e dodici giorni dopo la morte, con tutto il decoro seppellirono il sacro corpo, rimasto in corrotto come se fosse trascorso un solo giorno. E qui, per opera del Signore Gesù Cristo, con frequenza si rivelano i suoi prodigi e i malati sperimentano quanto convenga onorare il servo di Dio, vedendo i ciechi ricuperare la vista, gli storpi la capacità di camminare, i sordi l’udito. E nonostante la fama dei suoi miracoli risplendesse in ogni luogo, tuttavia racconterò il più celebre di essi. 20. Il fatto di una giovane, invasa da una legione di demoni, a favore della quale Cristo stese la sua destra, al fine di rivelare il suo servo. Questa fanciulla, romana di nascita, possedeva enormi ricchezze: un giorno mentre si aggirava per i folti cespugli del suo giardino, fu colpita dalle frecce dei demoni e il suo petto, insozzato, diventa tempio di legioni. I suoi familiari la trovano delirante di lascivia. Non riescono in pochi a vincere l’invasata che, digrignando i denti, metteva in pericolo, con la bocca velenosa, chi le si avvicinava. Dopo averla legata con catene, la conducono alla chiesa del beato Pietro e la trascinano al suo santo sepolcro. E allora la turba dei demoni emise, attraverso quel corpo ossesso, vari suoni come se fosse un organo: ora emettendo il sibilo del serpente, ora il ruggito delle mucche, ora il belato delle pecore, ora il gracidio degli uccelli o il ruggito delle belve. Finalmente il beatissimo Pietro, principe degli apostoli, si degna per mezzo del santissimo uomo rivelare un mistico prodigio, avvertendo i familiari di intraprendere un lungo viaggio se cioè di attraversare l’Italia in direzione dell’occidente e di affrettarsi a raggiungere la città di Novara, per chiedere la salute di quella poveretta che i demoni tenevano avvinta in catene; e cosi giungendo al la tomba del beato confessore Gaudenzio, aiutata dai suoi meriti, essa poté riavere per mezzo del profeta la salute perduta. Al comando del supremo custode delle porte del cielo, i genitori intrapresero il viaggio, percorrendo da Roma a Novara un viaggio di circa 500 miglia. Appena la giovane ebbe posto il piede sulla soglia del tempio dei beato uomo, la fede cacciò il terribile demone. La donna, libera di quella terribile vessazione e sciolta dai parenti dal le ferree catene, affrettandosi al recinto del sepolcro, giunse al luogo dov’è custodito il suo corpo: qui, con abbondanti gemiti, lavò le gote irrorandole di lacrime. E ormai guarita, volgendo il volto verso i santi misteri, rese grazie a Dio per il dono di una così grande guarigione. Poi, sotto gli occhi ammirati del popolo e dei suoi familiari, elevò grandi e incessanti lodi a Gesù Cristo, gioendo per aver ritrovato, guarita, i parenti che aveva lasciato da ammalata. Ripreso il viaggio, ritornò incolume a Roma.
21. Intanto il venerando popolo si meravigliava per il progresso della grazia; la fama volava di bocca in bocca, così che tutti esclamavano col profeta. “Hai visitato, o Signore, la tua terra e l’hai resa feconda e felice”. O quanta gloria a te, o Cristo, nei secoli, che per dimostrare che il tuo servo è pari al beato Pietro, su suggerimento dello stesso supremo custode delle porte celesti, lo hai voluto rendere glorioso con un cosi grande miracolo. E questo miracolo risplende, fra tutti gli altri, di così tanta gloria, che il popolo della città di Novara canta la lode del Signore, dicendo. “Hai ridotto, Signore, il deserto in un lago e una terra arida in sorgenti d’acqua”. E ancora oggi la chiesa canta: “La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha rimesso in piedi”. Veramente i tuoi doni provengono dal tuo gratuito amore; tu infondi dalla sorgente della tua pietà acqua viva agli ignari e rafforzi i cuori esausti. 22. Infatti per riferire prodigi e gesta di così grandi virtù, non è sufficiente una mente sterile e una vile pagina. lo ho osato veloce mente percorrere queste poche cose e fissarle per iscritto con le mie parole ignoranti, perché fossero lette dal popolo fedele, appoggiandomi ai meriti del beato papa Leone che, con l’auspicio di Dio, possiede primo la sede del beato Gaudenzio nella città di Novara. E dopo aver narrato, sia pur con impari parole, le imprese del beato uomo, ora è tempo di giungere alla conclusione, di chiudere con la mano la bocca e di ritornare a meditare nell’intimo della coscienza. E poiché da indegni servi non possiamo imitarlo, preghiamolo perché ci sia patrono, per essere aiutati dai meriti di colui del quale celebriamo il giorno natalizio. Con l’aiuto di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.