Il canto romano-bizantino
Lo scisma del 1054 (la scissione del Patriarcato di Roma dalla Chiesa Ortodossa) non fu solo una questione politica e religiosa ma pure di ordine culturale. Lo possiamo rinvenire ancora oggi se paragoniamo, ad esempio, le icone con le immagini religiose occidentali. Nel campo musicale l’Oriente e l’Occidente hanno seguito il loro cammino. Mentre l’Occidente è arrivato alla polifonia, l’Impero romano orientale ha portato la monodia a livelli senza precedenti. La caduta di Costantinopoli nel 1453 ha comportato l’isolamento della cultura romano-bizantina che, nonostante ciò, ha continuato a svilupparsi, anche se segretamente, ignorata dal mondo occidentale. Per musica romano-bizantina si intende attualmente la musica religiosa ortodossa orientale.
Non conosciamo molte cose sulla musica profana a Costantinopoli essendo stata condannata la musica strumentale e teatrale. Ci è pure sconosciuta l’epoca nella quale è nata la musica ecclesiastica romano-bizantina ma è certo che la musica siriaca, quella delle sinagoghe e la musica dell’antica Grecia l’hanno preceduta. Sebbene apparentata al canto gregoriano è molto diversa: le melodie gregoriane sono puramente diatoniche mentre la musica romano-bizantina si appoggia sui tre pilastri della musica antica, i modi diatonico, cromatico e enarmonico. Vengono utilizzati otto modi di cui solo il quarto è diatonico.
Grazie alla monodia si possono incorporare in questa musica dei micro-intervalli come il “piccolo secondo”. Questa tecnica permette delle linee melodiche particolarmente morbide che sono sostenute da una specie di bordone, l’iso. Bisogna precisare che l’iso non è polifonia, ma un punto di appoggio tonale che aumenta la “suggestione mistica della musica”.
Storicamente il primo periodo di espansione della cultura romano-bizantina si colloca nel VI secolo. L’imperatore Giustiniano ristabilì l’impero a dimensioni simili a quelle avute qualche secolo prima e desiderava rendere splendida la capitale. Edificò dei grandi edifici tra i quali la basilica di Santa Sofia. In questo monumentale edificio si cantavano inni eseguiti da 500 cantori suddivisi in più gruppi. Dai movimenti stilizzati con i quali il capocoro indicava l’evoluzione della linea musicale sono derivati i simboli della notazione musicale, i neumi (corrispondente alla parola greca che indica il gesto della mano). La notazione fu sviluppata e arricchita di nuovi simboli tra il X e il XVIII secolo.
Esempio di notazione neumatica utilizzata tutt’oggi. Anche l’Occidente utilizzava una NOTAZIONE SIMILE ma la abbandonò giungendo al tetragramma e, in seguito, al pentagramma. Il cambiamento è avvenuto dal momento che questo tipo di notazione divenne incomprensibile. Questa variazione, posta in un contesto di altre variazioni più profonde, segnala una cesura da una tradizione culturale e religiosa che in precedenza era comune.
La musica stessa seguì un’evoluzione simile passando dalle melodie semplici a canti riccamente elaborati. I testi cantati risalgono ai primi secoli cristiani; alcuni sono pure più antichi. Come i pittori d’icone, i compositori bizantini dovevano lavorare seguendo moduli tradizionalmente fissati e immutabili. Nel periodo medioevale era inconcepibile che un artista si staccasse da moduli fissati: i tipi melodici sono un’eco dei canti celesti cantati in Cielo per lodare il Signore. Contrariamente al modo con cui la musica occidentale si è evoluta lungo i secoli, le modificazioni subite dalla musica bizantina sono appena percepibili dall’udito profano.
Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/musica1.htm