Elias D. Moutsoulas 

‘Essenza’ ed ‘Energie’ di Dio
secondo San Gregorio di Nissa

 

STUDIA PATRISTICA XVIII, 3, Papers of the 1983 Oxford Patristics Conference.
The Second Century, Tertullian to Nicaea in the West, Clement and Origen, Cappadocian
Fathers.
Edited by ELIZABETH A. LIVINGSTONE.

 

Il presente studio considera uno dei fondamentali concetti della teologia trinitaria: l’essenza e le energie. Questa distinzione in Dio viene spesso attribuita a San Gregorio Palamas (XIV sec.) dal momento che il santo afferma vigorosamente la partecipazione delle energie divine nel cosmo e nell’uomo. Precedentemente a Palamas, la teologia occidentale, che rifiuta tale distinzione, non rinviene autori significativi che affermino la distinzione stessa. Al più qualche studioso parla unicamente di “timidi avvii” verso le posizioni palamite. Moutsoulas mostra come la distinzione essenza-energie fosse già chiara a San Gregorio di Nissa, molti secoli prima del Palamas.

Il soggetto annunciato è uno tra i più fondamentali nella teologia e contemporaneamente nella spiritualità di Gregorio di Nissa. Per quanto ne sappiamo, nonostante molti studi abbiano affrontato questo soggetto, nessuno ne ha parlato esaustivamente. Evidentemente ciò è impossibile in una relazione di quindici minuti. Qui cercheremo solamente di presentare l’argomento nei suoi punti fondamentali. Se abbiamo deciso di parlarne è per respingere alcune opinioni che crediamo erronee e per donargli il posto che gli conviene nella teologia di Gregorio.

La distinzione tra l’“essenza” divina, che è incomprensibile e le energie alle quali l’uomo può partecipare, è stata già evidenziata prima di Gregorio di Nissa. Clemente d’Alessandria sottolinea che la parola umana è incapace d’esprimere l’essenza divina. Solamente la forza e le opere di Dio possono essere conosciute[1]. Le parole ‘forza’ ed ‘energia’ sono sovente impiegate da Clemente senza alcuna distinzione[2]. Un po’ prima di lui, Ireneo rifiutava la pretesa degli Gnostici di voler conoscere l’essenza divina[3]. Sorvoliamo sull’utilizzo di tali termini da parte degli autori ecclesiastici antecedenti a Gregorio menzionando, tuttavia, Filone. Il suo Dio, il Dio dell’Antico Testamento non ha nome ed è incomprensibile.

Studiando le sue energie siamo condotti alla sua esistenza (ti esti)[4] ma non a ciò che Egli è (oti esti). è molto probabile che quando Clemente parla dell’essenza e delle energie di Dio, abbia sotto gli occhi gli scritti di Filone. Non diciamo nulla su Gregorio di Nissa poiché l’influenza esercitata su di lui da quest’autore è ben nota.
Giungiamo ora a Gregorio di Nissa. La dottrina che riguarda l’essenza e le energie di Dio si riscontra molto sovente nelle sue opere poiché, come abbiamo indicato, questa dottrina si trova al centro della sua teologia e della sua spiritualità. Egli parla più dettagliatamente attorno a questa distinzione nelle sue opere Contro Eunomio e in tre suoi piccoli trattati dogmatici: Ad Eustathium de Sancta Trinitate
[5], Ad Graecos (ex communibus notionibus)[6], e Ad Ablabium quod non sint tres dei[7].

La dottrina fondamentale di Eunomio, che lo distingueva non solo dagli ortodossi ma pure dagli Ariani prima di lui, consisteva nell’affermare che l’essenza di Dio può essere conosciuta dall’uomo. Egli precisava pure [la natura] di quest’essenza identificandola con l’ingenerazione (agennesia). In tal maniera concludeva che solamente l’ingenerato è veramente Dio e che l’essenza del Figlio è diversa da quella del Padre. Egli evitava pure di utilizzare i termini Padre e Figlio preferendo quelli di ‘ingenerato’ (agennestos) e ‘generato’ (gennema), che sottolineavano la differenza in questione.
Conosciamo che a questa dottrina, ch’egli aveva presentata nella sua Apologia
[8], aveva già risposto Basilio di Cesarea[9]. Gregorio risponde alla sua Apologia dell’Apologia visto che, nel frattempo, Basilio era morto.

Eunomio parla d’una energia intermediaria tra l’ingenerato” e il “generato”, che è la prima oysia e il gennema (il Figlio). Un’altra energia si pone tra il gennema, la seconda oysia, e lo Spirito Santo, che è un’oysia speciale (la terza), il primo gennema del Figlio, che possiede la potenza della santificazione. Ma la distinzione più radicale, secondo Eunomio, si trova tra la prima oysia e la seconda, cioè tra l’agennetos e il gennetos, l’uno e il molteplice, il semplice e il composto. Come sottolinea Th. Dams nel suo studio su La controverse Eunoméenne, studio non pubblicato il cui errore capitale è, per noi, l’opinione secondo la quale Gregorio considererebbe le energie di Dio create, “l’energia in Eunomio serve meno nel fornire la soluzione alla natura dell’agennetos che ad essere un anello di congiunzione tra Dio e il mondo. Quest’energia è il principio formale del divenire, del cambiamento, della molteplicità, del pathos. Come tale essa si oppone radicalmente all’agennetos[10].
La distinzione tra essenza ed energie in Dio è importante se vogliamo conservare la fondamentale distinzione tra creato ed increato. Questa distinzione è più radicale di quella che esiste tra il mondo spirituale e il mondo materiale
[11].

L’essenza (oysia) è quanto è inavvicinabile all’uomo, essere finito. Nel caso opposto non sussisterebbe alcuna distinzione tra creatura e Creatore. Pure le energie di Dio sono increate ma l’uomo vi può partecipare per grazia. Il termine energia viene impiegato da Gregorio nel genere singolare e plurale senza che vi sia una differenza di senso, nonostante l’opinione contraria del padre J.-Ph. Houdre[12] rinvenibile in un articolo sul quale torneremo. Qui dobbiamo solo sottolineare che quando il termine viene impiegato al singolare, si riferisce più specialmente alle tre persone della Trinità e designa il loro comune operare.

Gregorio condanna con tutta la sua forza la dottrina di Eunomio secondo la quale tra l’essenza di Dio e le creature si trovano delle energie create. “La ragione della causa (o tes aitias logos) ci fa solo pensare il Padre prima del Figlio, la cui vita è inseparabile da quella paterna, affinché nessuna nozione di distanza (diastema) possa interporsi tra loro”[13].
Nel suo secondo libro contro Eunomio
[14] Gregorio attacca più dettagliatamente l’identificazione dell’essenza di Dio con l’agennesia, che conduce alla negazione della divinità del Figlio. Gregorio dichiara che la base della fede cristiana è la divinità del Figlio, quale verità, luce, forza, via e, soprattutto, quale Dio. In seguito aggiunge: “Ciò che Dio è nella sua essenza, sfugge ad ogni tentativo dell’intelletto e ad ogni sforzo. Tuttavia noi abbiamo la conoscenza della sua esistenza attraverso la grandezza e la bellezza delle creature, secondo una certa analogia delle cose conosciute. Attraverso le energie Egli ci dona solo la fede, non la conoscenza di ciò che è[15]. Gli eunomiani invece di affermare che l’essenza del Padre è ingenerata, pretendono che l’ingenerato costituisca l’essenza affinché, nella contraddizione con il genneton, possano provare la differenza di natura tra il Padre e il Figlio”[16].

Al posto della conoscenza Gregorio pone la fede. Pone l’esempio di Abramo che, come segno fermo e chiaro della comprensione di Dio, ha eloquentemente testimoniato ch’Egli è al di sopra di ogni possibilità di comprensione[17].

L’uomo non può dunque conoscere il ti e l’opos ma solamente l’oti cioè l’esistenza di Dio[18]. Ugualmente, per quanto riguarda le realtà umane, non ne conosciamo l’essenza[19]. “Noi ignoriamo noi stessi – afferma Gregorio – e tutto il resto… Chi può conoscere la sua anima? Se essa è materiale o immateriale?”[20]. “Ciò che conosciamo attraverso i sensi è quant’è utile alla nostra vita”[21]. “Noi dunque ignoriamo il ti, l’opos, l’othen e il poson essendo che tutto è stato creato dalla saggezza divina che non ha limiti”[22].
La pretesa di Eunomio d’identificare l’essenza di Dio con l’agennesia dà a Gregorio l’occasione di sviluppare la sua teoria sull’origine dei nomi. In questo egli resta nella linea dottrinale basiliana
[23]. I nomi sono di provenienza umana[24] e non si possono identificare con le cose. “L’einai e il leghesthai non sono lo stesso. Dio è colui che è, ma non si definisce in maniera tale che il nostro povero intelletto possa esprimerlo”[25]. L’agennesia non è, dunque, che uno dei nomi di Dio e tale nome esprime pure ciò che Dio non è. Gregorio lo indica come l’incorruttibilità (aftharsia), cioè l’assenza in Dio di ciò che non può essere e non di ciò che Egli è[26]. Dio è pure immutabile (atreptos analloiotos), immortale (athanatos), eterno (ateleytetos), onnipotente (patokrator)[27]. Tutti questi attributi hanno la stessa dimensione (omotimos echei)[28]. Hanno lo stesso valore (isostasia)[29] e non esplicitano la natura divina che resta sempre incomprensibile[30]. Tutti questi nomi o dicono ciò che Dio non è, o indicano le energie di Dio[31]. “Non comprendiamo se non dopo che le energie di Dio ce l’insegnano”[32]. Gregorio sottolinea il rispetto con il quale dobbiamo utilizzare i verbi e le parole (remata kai onomata) i quali non ci fanno conoscere che qualcosa “attorno” (perì) a Dio.

Citiamo un testo della sesta omelia sulle Beatitudini, nella traduzione di J. Daniélou, dove viene espressa la stessa affermazione: “Così guardando l’ordine della creazione, non ci formiamo un’idea dell’essenza, ma della saggezza di Colui che ha fatto tutto sapientemente. Ugualmente se noi riflettiamo sulla causa della nostra vita e se consideriamo che l’uomo non è apparso per una necessità, ma per una buona volontà, noi diciamo che in questa maniera vediamo Dio, avendo nello spirito la sua Bontà, [anche se] non la sua essenza. E come ogni altra cosa che eleva il pensiero verso quanto è meglio e più elevato, noi definiamo ciò conoscenza di Dio. In effetti, la potenza (dynamis), la purezza (katharotes), l’immutabilità (osaytos echein) e tutte queste cose formano nel nostro spirito l’immagine (fantasian) d’una nozione alta e divina. Così, a sua volta, è vero che il cuore puro vede Dio e che contemporaneamente nessuno Lo ha mai visto. In effetti, ciò che è invisibile per natura diviene visibile per i suoi atti (energiai)[33] apparendo, per certi versi, appartenente alla sua natura (tisi peri aiton)”[34].

Non siamo d’accordo con J.-Ph. Houdret che rifiuta l’identità tra le energie e gli attributi in Gregorio che J. Daniélou ha sottolineato molto bene[35]. Ma non è l’unico errore rinvenibile nel suo articolo. Ci ritorneremo. Rimanendo al termine affermato nella citazione di Gregorio (perì ayton), sottolineiamo la distinzione tra l’essenza di Dio e quanto è “attorno” ad essa. È per questo che non possiamo seguire J. Daniélou quando in un altro passaggio di Gregorio traduce: “Quanto agli altri nomi il cui significato è positivo (endeiktiké theseos), essi non designano la natura divina per se stessa, ma quanto si può religiosamente meditare su di essa”[36]. Nonostante che la traduzione non sia completamente inesatta, al posto di tradurre “su di essa” noi traduciamo “attorno ad essa”. La distinzione tra essenza ed energie di Dio è ben sottolineata nello studio compiuto dall’arcivescovo Basile Krivocheine intitolato La semplicità della natura divina e le distinzioni in Dio secondo san Gregorio di Nissa[37]. Permettetemi di citare un passaggio di questo studio che trovo molto importante, come lo stesso autore dice:
 

“è molto importante notare qui, ammettendo completamente un atto intellettuale da parte nostra quando affermiamo delle definizioni su Dio secondo le energie, l’insistenza di Gregorio che tali nomi non sono un puro prodotto del nostro intelletto, ma corrispondono in modo proprio a una realtà su Dio. In ogni caso ciascun nome designa qualcosa di particolare in Dio poiché se nessuno di tali nomi non è compreso con un senso particolare ma tutti vengono mischiati tra loro nella confusione di ciò che significano, sarebbe inutile impiegare molte definizioni riguardanti la stessa cosa, quando non esiste alcuna differenza in base alla quale un nome non si distingui dagli altri”[38].

 

Tutto ciò che è “attorno” alla natura di Dio e che Gregorio definisce anche epitheoroymena[39] non è un’invenzione dell’uomo su Dio. Questo è ben evidenziato anche da J. Daniélou[40]. Tali parole, dice Gregorio, sono impiegate kat’epinoian che B. Krivocheine traduce “per un atto intellettuale”[41]. Come Gregorio sottolinea “l’intellezione (epinoia) è un assalto (ephodos) ricercatore di realtà ignorate che, partendo da realtà prossime…, scopre a seguito della iniziale comprensione dell’oggetto ricercato quanto segue”[42]. Il divino assume diversi nomi con significati diversi secondo la varietà delle energie[43]. Malgrado ciò “i nomi non hanno una loro propria sostanza, non sono che dei segni”[44]. Un’altra cosa è la nozione di ingenerato e un’altra ancora l’identificazione di un concetto con l’essenza divina. Eunomio identifica l’essenza, l’incorruttibilità e l’ingenerato[45]. Secondo Gregorio “l’essenza ci indica l’esistenza (il ti), la corruttibilità o l’incorruttibilità la qualità (il podapon), e l’ingenerato o l’ingenerato il come (il pos). Ma la parola sull’essere, sul come e sulla qualità è differente”[46]. Tutte queste indicazioni sono necessarie solo a noi. “La natura divina è libera dalla materia e non ha bisogno di termini e di verbi per esprimersi”[47]. Le parole non toccano la natura delle cose, sono semplicemente un’invenzione dell’intendimento umano nel suo sforzo per interpretarle[48]. La natura divina assomiglia al sole dal quale riceviamo i raggi e il calore ma filtrati attraverso l’aria. Esso, secondo la sua natura, è inaccessibile alla nostra debolezza[49].

Eunomio accusa Gregorio di negare l’incorruttibilità divina; ma quest’ultimo si difende: “Separiamo dalla natura tutto ciò che è aggiunto su di essa ma ciò senza il quale il soggetto non può essere compreso, come può essere separato dalla sua natura?”[50]. L’incorruttibilità, dunque, secondo Gregorio, appartiene a Dio e non è che un’energia creata, non identificandosi con l’essenza divina inaccessibile alla comprensione umana. Come l’ateleuteton, il senza fine, è aftharton, incorruttibile, così ciò che non ha inizio è ingenerato (agenneton)[51]. Osserviamo il parallelismo dei termini. Tutti hanno lo stesso valore. Nessuno può esprimere Dio, poiché essi esprimono unicamente lo sforzo dell’uomo che vive nello spazio e nel tempo, quand’egli si avvicina alla divinità che supera ogni limite. “I nostri giudizi su Dio sono degli abusi” (ek katachreseos legomen)[52], dice Gregorio. Nonostante che la natura divina sia una, l’uomo non può che esprimerla in diverse maniere. “Noi non dividiamo il soggetto con queste nozioni”, afferma[53]. I nomi non si combattono l’un l’altro secondo la natura dei contrari. è Eunomio che innesta sull’essenza di Dio ciascuno dei nomi che sono “attorno” al divino[54]. Incontriamo ancora una volta l’espressione perì to theion. Per Eunomio la distinzione gregoriana tra le parole ateleyteton e anarchon con le quali Dio è rispettivamente afthartos e agennetos condurrebbe a una mescolanza dei contrari. Tuttavia tale pretesa è insostenibile. Gregorio pone in parallelo i termini aftharton e ateleyteton in tal maniera che non è possibile accettare l’opinione secondo la quale l’infinità divina si sostituirebbe all’ingenerato di Eunomio. San Gregorio avrebbe vivamente reagito contro tale accusa. Per lui, l’ingenerato esprime il fatto che la vita divina non ha causa (to me ex aitias aiten einai), e l’incorruttibilità che la vita divina è illimitata ed infinita[55]. Il soggetto rimane uno e identico, al di sopra d’ogni nome. Non possiamo dunque essere d’accordo con i risultati del prof. E. Muhlenberg nel suo libro Die Unendlichkeit Gottes bei Gregor von Nyssa[56]. L’autore stesso, qualche volta, lascia intravvedere il carattere ipotetico delle sue opinioni. Il termine apeiron ha un senso negativo, identifica colui che non ha fine. Ma, pure se potremo dargli come E. Muhlenberg vuole un senso molto ampio che possa unificare tutti gli attributi di Dio[57], non sarebbe capace d’esprimere ciò che Dio è. Gregorio lo dice chiaramente: “Il solo nome che è naturale e che conviene a Dio è d’essere al di sopra d’ogni nome”[58]. E d’altronde, “Un solo nome è significativo della natura divina: lo stupore che sorge indicibilmente nel nostro animo davanti ad essa”[59]. Conseguentemente l’errore d’Eunomio non consiste nell’aver fatto una falsa scelta.

Per il nostro argomento è molto importante la undicesima omelia di Gregorio nel Commento sul Cantico. Parlando dello Sposo e della sua mano, Gregorio mette nettamente in rilievo la distinzione tra la natura divina e le sue energie. Egli spiega che la mano simboleggia l’energia di Dio[60] che scende fino a noi[61]. Parla pure della forza della sua energia (energetiké dynamis)[62]. Solamente i passaggi citati in quest’omelia sarebbero sufficienti a provare che non si tratta d’un’energia creata. Pure molti altri passi, soprattutto nei suoi piccoli trattati dogmatici, sottolineano l’operato comune delle tre persone della Trinità.

Per una migliore comprensione sull’argomento vogliamo finalmente indicare l’articolo del padre Georges Habra The Sources of the Doctrine of Gregory of Palamas on the Divines Energies[63]. Questo articolo è apparso nel 1957-1958, sedici anni prima dell’articolo Palamas et les Cappadociens di J.-Ph. Houdret, che non lo menziona. L’opinione di J.-Ph. Houdret, “non ci pare dunque possibile parlare d’un avvio della distinzione palamita nei Padri (Cappadoci) del IV secolo”[64] è, crediamo, arbitraria. J.-Ph. Houdret aveva sotto gli occhi la frase di J. Daniélou, quand’egli parla di tali avvii[65], ma non lo menziona. Un attento confronto delle opere di Gregorio Palamas con quelle dei padri Cappadoci prova che non si trattava solamente di semplici avvii ma di stretti rapporti.

Dopo aver rapidamente esposto questa breve relazione, crediamo che la dottrina di Gregorio di Nissa sull’essenza e l’energia di Dio, dottrina comune agli altri due cappadoci ma che, a causa dell’eresia di Eunomio, Gregorio ha maggiormente sviluppato, è stata la base a partire dalla quale tale concetto si è ulteriormente ampliato nella teologia romano-bizantina.


Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/essenza.htm

 

[1] Strom. 6.l8; Biblioteca dei Padri Greci [=BPG], Edizione dell’Apostoliki Diakonia della Chiesa di Grecia (Atene) 8:242: “...oudé ten oysian (adynaton) allà ten dynamin kai ta erga toy Theoy. Comp. Strom. 2.2; BPG 7:309: “pooro men kat’oysian... eggytato de dynamei”.

[2] 2; BPG 7:309: “pooro men kat’oysian... eggytato de dynamei”.

N. Pournaras, La connaissance de Dieu en rapport avec le salut selon Clément d’Alexandrie, Diss. Athènes 1981 (Gr.) p. 20, n. 13.

[3] Contre les Hérésies, livre UI.24.2; Ed. A. Rousseau-L. Doutreleau, Sources Chrétiennes, 211: p. 477.

[4] De posteritate Caini 168. Quod deus sit immutabilis 62.

[5] Ed. F. Mueller, Opera dogmatica minora; W. Jaeger, ?ol. UI, 1:3-16; PG 32: 683-696.

[6] Pp. 19-33; PG 45:176-185.

[7] Pp. 37-57; PG 45: 116-136.

[8] BPG 52: 143-156.

[9] 157-227.

[10] Th. Dams, La controverse Eunomeenne, Diss (dact.), Paris, 1951, 124-125.

[11] Contro Eunomio I.361.UI tome VI:66. Jaeger I: 133-134, U: 19-21. Vedi D. Balas, Metoysia Theou. Man’s participation in God’s perfections according to Saint Gregory of Nyssa (Romae, l966) e soprattutto il paragrafo intitolato “The Theme of the Division of Beings in the Works of Gregory” (pp. 34-49) dove l’autore fornisce parecchie citazioni sulla divisioni degli esseri.

[12] J. Ph. Houdret, “Palamas et les Cappadociens”, Istina 19 (1974) p. 263, n. 8.

[13] Contro Eunomio I.356; Jaeger I:132, 16-21. Comp. I.378; p. 138, 12-15.

[14] Jaeger, 1:226-409.

[15] 12-13 et 582, pp. 230/24-30, 396/10-13.

[16] 21, p. 232/26-233/1.

[17] 92, p. 253/28-254/3.

[18] 98, p. 255/9-l4.

[19] 117, p. 260/ 12-13.

[20] 106, p. 257/28-258/3.

[21] 117, p. 260/ 10-12.

[22] 121-122, p. 261/20-24.

[23] Contro Eunomio I, §7f, U. §4f; BPG 52:167f, 189f

[24] Contro Eunomio U.148-149; Jaeger, I:268/ l8-269/2.

[25] 161, p. 272/1-3.

[26] 192, p. 280/ 27-29.

[27] 147, p. 268/9-12.

[28] l37, p. 265/20.

[29] p. 265/ 19.

[30] 138, p. 165/23-266/3.

[31] 149, p. 268/ 25-29.

[32] 150, p. 269/7-8.

[33] J. Daniélou traduce “activités”.

[34] PG 44: 1268D-1269A. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, (Paris,2 1953) p. 138.

[35] J.-Ph. Houdret, p. 266f.

[36] P. 135.

[37] Messager de l’Exarchat du Patriarchat Russe en Europe Occidentale, N° 91-92 (Paris, 1975) 139-158.

[38] P. 141.

[39] Contro Eunomio U.513; Jaeger, 1:376/10.

[40] P. 135.

[41] P. 142.

[42] Contro Eunomio U, 182; Jaeger, 1:277/20-23.

[43] 304 et 353, pp. 315/23-25, 329/10-12.

[44] 589, p. 398/ 16-18.

[45] 382, p. 337/ 26-29.

[46] 386, p. 339/3-7.

[47] 393, p. 341/ 9-l2.

[48] 395, p. 34l/29-342/3.

[49] 419, p. 348/ 17-21.

[50] 448, p. 357/ l7-20.

[51] 454, p. 359/ 10-11.

[52] 459, p. 360/24.

[53] 477, p. 365/ 19-20.

[54] 606, p. 403/ 15-16.

[55] 513, p. 376/ 12-16.

[56] (Göttingen, 1966) S. 196-205.

[57] P. l98.

[58] Contro Eunomio U.587; Jaeger, 1:397/27-29.

[59] Contro Eunomio UI, tome VI.4; Jaeger, U:l87/9-11.

[60] Ed. N. Langerbeck, (Jaeger, vol. VI:336/11-12).

[61] P.334/8.

[62] P. 336/ 18-19.

[63] Eastern Churches Quarterly 12 (1957-1958) 244-252, 294-303.

[64] P. 270.

[65] P. 139.

 

 

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