San Giovanni Crisostomo

 

 

INVITO A PENITENZA

 

Esortazione a Teodoro caduto in peccato

 

 

 

ESORTAZIONE A TEODORO CADUTO IN PECCATO

1. Stato dell’anima caduta in peccato

2. L’ancora di salvezza

3. Bisogna piangere i peccatori…

    ...e cercare la loro conversione

4. La penitenza toglie qualunque peccato

5. La pazienza di Dio con Nabucodonosor

6. Dio accetta sempre il pentimento sincero

7. Anche i buoni possono cadere

8. Dio non si allontana da noi

9. L’Inferno è per i demoni, il Cielo per noi

10. Il fuoco dell’Inferno

11. Felicità della vita eterna

12. Perdere i beni celesti è cosa più dolorosa che patire i tormenti eterni

13. I beni celesti

14. Vanità della bellezza corporale

15. Non ci sono malattie incurabili nell’anima

16. Le gioie della penitenza

17. La conversione d’un giovane

18. L’esempio dei santi Apostoli

19. La vera penitenza

ALTRA LETTERA ALLO STESSO PECCATORE

1. Triste condizione del peccatore

2. Instabilità della natura umana

3. I veri beni e i falsi

4. La preghiera dei buoni

5. [...]

 

 

Chi darà pianto al mio capo e ai miei occhi una fonte di lacrime? Ho ben più motivo adesso di piangere io che non un tempo il profeta. Se non sono afflitto per la rovina di molte città e di intere popolazioni, lo sono però per un’anima che vale quanto e più di molti popoli. Se infatti uno solo che fa la volontà di Dio ha più importanza che migliaia di peccatori, tu certo prima valevi più che quegli antichi giudei. Nessuno quindi mi dovrebbe biasimare se io scrivessi elegie più lamentose e facessi udire gemiti più forti che quelli del profeta. Non piango infatti la distruzione di una città, né la prigionia di gente peccatrice, ma la devastazione di un’anima santa, la rovina e la distruzione del tempio che in sé portava Cristo. Se qualcuno avesse conosciuto la bellezza di cui rifulgeva un tempo l’anima tua e che il diavolo ora ha incenerito, non gemerebbe e farebbe suoi i lamenti del profeta, udendo che mani barbariche hanno profanato il santo dei santi e hanno dato fuoco e distrutto ogni cosa, i cherubini, l’arca, il propiziatorio, le tavole della legge, l’urna d’oro? Questa sventura è più amara di quella, perché doti molto più preziose stavano nell’anima tua. Era essa un tempio molto più sacro di quello, poiché era splendente non per oro e argento, ma per la grazia dello Spirito Santo e invece dell’arca e dei cherubini conteneva Cristo e il Padre suo e il Paraclito.

 

 

1. STATO DELL’ANIMA CADUTA IN PECCATO

 

Ma ora non è più così, anzi è deserta e spogliata di quella bellezza e ornamento, privata di quel divino e ineffabile decoro, sprovvista d’ogni sicurezza e custodia. Non c’è più né porta, né serratura, ma resta aperta a tutti i pensieri perniciosi e turpi; se pensieri di vanagloria, di libidine, d’avarizia o peggio vogliono entrare, non c’è nessuno che si opponga. Prima invece come il cielo è inaccessibile a essi tutti, così era l’anima tua. E forse sembrerà che io dica cosa incredibile per quelli che ora vedono la rovina e la desolazione dell’anima tua e per questo io mi affliggo e piango e non smetterò fino a che ti riveda nel tuo splendore d’un tempo. Se infatti questo pare impossibile agli uomini, pure tutto è possibile a Dio. Egli infatti solleva da terra il mendico e leva su dal letame il povero per porlo a sedere con i capi del suo popolo. Egli fa che la sterile possa abitare in una famiglia, come madre felice di molti figli.

 

 

Il peccatore non deve disperare

 

Non disperare perciò di poter tornare ottimo. Se il diavolo ha avuto tanta forza da potere, da quell’alta cima di virtù, trascinarti all’estremo del male, molto più Dio ha forza di tirarti su un’altra volta alla fidanza d’un tempo, e non solo questo, ma farti molto più felice di prima. Soltanto, non ti avvilire, non rinunziare alla speranza, non avere sentimenti di empietà. Non è la moltitudine dei peccati che induce a disperare, ma l’avere un animo empio. Per questo Salomone non disse già che disprezza Dio chiunque è caduto nell’abisso dei peccati, ma solo l’empio. Solo questi hanno tali sentimenti, che non li lasciano guardare in alto e risalire là donde sono caduti. Questo sciagurato sentimento infatti è come un giogo posto sul collo dell’anima, che la costringe a guardare in giù e le impedisce di levare gli occhi al suo Signore. Ma un uomo generoso e nobile deve spezzare questo giogo e ributtare il carnefice che glielo ha imposto e dire col profeta: Come gli occhi d’una ancella sono volti alle mani della sua padrona, così gli occhi nostri al Signore Dio nostro, fino a che abbia pietà di noi. Usaci misericordia, o Signore, usaci misericordia, perché siamo colmi di abiezione.

Davvero questi sono insegnamenti divini e verità della sapienza celeste. Siamo proprio colmi di abiezione e sottostiamo a mali innumerabili, ma ciononostante non cessiamo di guardare a Dio, né smettiamo di pregarlo fino a che abbia accolto la nostra domanda. Questo è segno di animo grande, non abbattersi, non disperare per quanti ostacoli ci siano, non cedere anche se dopo molte preghiere nulla si è ottenuto, ma perseverare fino a che Dio ci usi compassione, come dice il beato David.

 

 

2. L’ANCORA DI SALVEZZA

 

Per questo il diavolo ci vuole condurre a pensieri di disperazione per troncarci la speranza in Dio, ancora salda, cui sta attaccata la nostra vita, guida che ci conduce per mano alla via del cielo, salvezza delle anime perdute. Infatti, come dice l’Apostolo, siamo salvi con la speranza. Essa è appunto come una catena robusta, calata dal cielo, che porta le anime nostre e che pian piano tira lassù quelli che si tengono fortemente attaccati a essa, levandosi fuori dalla bufera dei mali di questa vita. Ma se uno s’infiacchisce e lascia andare quest’ancora sacra, subito precipita e affoga nell’abisso della malvagità. Per questo il maligno diavolo, quando ci vede aggravati dalla coscienza delle nostre male azioni, viene ad aggiungervi il pensiero della disperazione, grave più che il piombo; e se noi lo accogliamo, necessariamente con simile peso saremo tirati giù e staccati da quella catena, piomberemo nell’abisso dei mali. In questo abisso tu pure ora ti trovi, per aver rigettato i precetti del tuo mite e umile Signore e aver seguito invece tutti quelli del feroce tiranno, nemico irreconciliabile della nostra salute, spezzato il giogo soave, gettato lontano il carico leggero e in loro vece ti sei fatto incatenare con ceppi di ferro e ti sei legata al collo una macina pesantissima. Come potrai ora evitare che l’infelice anima tua sprofondi sempre più, dal momento che ti sei messo nella necessità di scendere sempre più basso? La donna che aveva ritrovato la dramma perduta, chiamava le vicine a partecipare alla sua gioia, dicendo: Rallegratevi con me. Io invece chiamo ora tutti gli amici miei e tuoi non a rallegrarsi, ma a gemere con me e dico: Piangiamo insieme e alziamo lamenti. Una gravissima sventura ci è venuta addosso, non perché abbiamo perduto gran somma d’oro o molte pietre preziose, ma perché il migliore di quanti con noi navigavano in questo vasto mare, è caduto, non so come, in acqua e si è sprofondato nell’abisso.

 

 

3. BISOGNA PIANGERE I PECCATORI...

 

Se alcuni cercassero di distogliermi dall’afflizione, risponderei loro con le parole del profeta: Lasciate che pianga amaramente, voi non mi potete consolare. Il mio dolore è tale che per quanto io pianga non sarà mai troppo, e anche Paolo, anche Pietro in questo caso non arrossirebbero di piangere e sospirare, rifiutando ogni consolazione. A quelli che piangono per la comune morte del corpo si può giustamente dire che sono di poca virtù, ma quando, invece del corpo, giace morta un’anima, tutta coperta di ferite e che anche nella morte mostra ancora qualcosa della sua primitiva bontà e vigore e della sua bellezza spenta, chi sarà tanto insensibile e crudele da parlar di consolazione, invece di piangere e gemere anche lui? Come nella morte del corpo è sapienza il non piangere, così lo è piangere nella morte dell’anima. Colui che era giunto al cielo, che si rideva della vanità di questa vita, che alle bellezze vive non badava più che a quelle scolpite, e disprezzava l’oro come fango e le delizie quasi melma, proprio lui a un tratto ci è stato preso dall’ardore di indecente passione, ha rovinato salute, vigore e ogni bellezza ed è diventato schiavo dei piaceri.

 

 

... E CERCARE LA LORO CONVERSIONE

 

Per lui dunque non verseremo lacrime e non ci affliggeremo, fino a che non l’abbiamo riacquistato? Come lo potrebbe chi ha anima d’uomo? Alla morte del corpo non si rimedia quaggiù, eppure la si piange, invece soltanto qui si può far scomparire la morte dell’anima; sta scritto infatti: Nell’inferno chi ti renderà gloria? È dunque grande stoltezza che si pianga tanto la morte del corpo, pur sapendo che le lacrime non lo richiameranno in vita, e che non piangiamo noi che pure sappiamo che spesso c’è speranza di ricondurre l’anima perduta alla vita primiera. Molti infatti anche ora e al tempo dei nostri maggiori, dopo aver abbandonato la rettitudine ed essere caduti dalla via stretta nel precipizio, si rialzarono in modo tale che con la loro nuova vita fecero dimenticare quella di prima, ottennero il premio da Dio, furono coronati e proclamati vincitori e annoverati fra i santi.

Fin tanto che uno sta nella fornace delle gioie terrene, anche se vede molti esempi di conversione, ritiene che questa sia cosa impossibile, ma se appena un poco comincia a uscirne, lascia dietro di sé quella vita quasi fosse fuoco e sente che la nuova vita è facile e consolante. Solo non disperiamo e non rinunziamo a risalire, poiché chi dispera, per quanto si sforzi e ardisca, non riesce a nulla. Quando uno si è chiusa una volta la porta della penitenza e ha sbarrato l’ingresso allo stadio, come potrà, stando fuori, far qualcosa di bene, grande o piccolo che sia? Perciò il maligno fa di tutto per inculcare in noi questo pensiero, poiché, fatto questo, non avrà da faticare molto né da sudare per combatterci; come gli potrebbero resistere quelli che giacciono abbattuti e non pensano neppure a fare opposizione? Invece chi è riuscito a sciogliersi da questo laccio, ricupera la sua forza antica e non cessa di lottare fino all’ultimo respiro, e anche se ricadesse mille volte, si rialzerà sempre e finirà l’avversario. Ma chi è inceppato da pensieri di disperazione e così ha paralizzato la sua energia, come potrà riuscir vincitore o anche solo combattere, se invece fugge?

 

 

4. LA PENITENZA TOGLIE QUALUNQUE PECCATO

 

Non mi dire che Dio perdona solo quelli che hanno commesso piccoli peccati. Anche se uno è pieno di ogni malvagità e ha commesso tutte le colpe che l’escludono dal regno di Dio e questo tale non sia uno rimasto sempre infedele, ma sia pure un cristiano e di quelli più cari al Signore e poi sia divenuto colpevole di fornicazione, d’adulterio, ladro, ubriacone, corrotto e corruttore, violento e quanto altro si possa dire di brutto, ebbene, io dico che neppure questo deve disperare, anche se fosse giunto all’estrema vecchiaia carico di tanta orrenda e indicibile malvagità. Difatti, se l’ira divina fosse una passione, sarebbe giusto disperarsi sapendo che non possa spegnersi questa fiamma accesa da si grandi peccati. Ma Dio è impassibile, e quando punisce e castiga, non lo fa per ira, ma con molta sollecitudine e bontà; e perciò bisogna confidare assai e fare assegnamento sulla forza della penitenza.

 

 

Sollecitudine divina verso i peccatori

 

Non perché egli abbia sofferto qualche cosa prende provvedimenti contro i peccatori, giacché nessun danno può essere recato alla sua natura: egli mira al nostro bene, affinché non diventiamo peggiori per la convinzione che egli non tenga conto dei nostri peccati. Come uno che si sottrae alla luce non fa male a questa, ma solo immerge se stesso nelle tenebre, così chi è solito disprezzare l’infinita potenza di Dio, a essa non fa male alcuno, ma procura a se stesso il massimo dei danni. Perciò Dio ci minaccia castighi e spesso ce li infligge, non certo per vendicarsi, ma per tirarci a sé. Anche il medico non si affligge né si sdegna per la violenza dei malati deliranti, anzi fa di tutto e s’affatica perché possano cessare da tali escandescenze, non badando a sé, ma alla loro utilità, e se quelli accennano appena a tornare in sé, ne gode e si rallegra e con maggior impegno somministra loro medicine, non per vendicarsi di quello che gli han detto prima, ma per meglio provvedere al loro benessere e ricondurli a perfetta sanità. Così Dio, quando noi cadiamo in eccessi di pazzia, dice e fa di tutto non già per vendicarsi, ma per liberarci dalla malattia; e questo si comprende anche solo con la retta ragione.

 

 

5. LA PAZIENZA DI DIO CON NABUCODONOSOR

 

Se qualcuno però ne dubitasse, gliene daremo la prova con la Sacra Scrittura. Dimmi un po’, chi mai fu più scellerato del re di Babilonia? Egli aveva fatto tale esperienza della potenza divina che giunse a prostrarsi davanti al suo profeta e domandare che gli si offrissero doni e profumi, ma poi di nuovo si insuperbì a tal punto che fece gettare legati nella fornace quelli che non preferivano lui a Dio. Eppure questo così feroce, empio e più belva che uomo, il Signore lo chiama a penitenza e gli offre altri motivi per convenirsi; in primo luogo il miracolo stesso avvenuto nella fornace e poi quella visione che egli ebbe, ma gli fu interpretata da Daniele, la quale sarebbe stata sufficiente a piegare anche un’anima di pietra e, dopo questa esortazione che veniva spontanea dalla visione. Lo stesso profeta gli diede un buon consiglio dicendo: Per questo, o re, ti sia gradito il mio consiglio, espia i tuoi peccati con le elemosine e le tue colpe con l’usar misericordia ai poveri e forse Dio pazienterà per le tue mancanze. Che cosa dici, o saggio e beato profeta? Sarà possibile dopo tale caduta rialzarsi, dopo tale malattia guarire, dopo tanta pazzia rinsavire? Il re già si è chiusa ogni speranza poiché non ha voluto riconoscere il suo Creatore, che l’aveva sollevato a tanto onore, sebbene potesse narrare prove della potenza e provvidenza divina verso di sé e verso i suoi antenati. Poi ebbe di nuovo dimostrazioni chiarissime della sapienza e prescienza divina e vide fallire le magie e tutte le arti diaboliche e ciononostante fece peggio di prima. Infatti un ragazzo prigioniero gli seppe spiegare quello che i suoi dotti magi non capivano e riconoscevano superiore alla capacità umana e con tale prodigio non solo indusse il re a credere ma a proclamare e insegnare a tutto il mondo questa verità. Sicché se prima non aveva scusa di non conoscere Dio, molto meno ora, dopo tale miracolo, dopo averlo riconosciuto e insegnato agli altri. Se infatti non avesse creduto fermamente che vi è un solo vero Dio, non avrebbe tanto onorato il servitore di Dio e non avrebbe impartito tali ordini agli altri. Eppure, dopo tale dichiarazione, ricadde di nuovo nell’idolatria e giunse a tale pazzia da gettare nella fornace i servi di Dio che non volevano adorare lui. Ebbene, si vendicò forse Dio di questa apostasia, come avrebbe dovuto? Gli diede invece prove ancor maggiori della sua potenza, facendo in modo che di nuovo tornasse alla sua fede dopo si grande stoltezza. E, cosa più mirabile, perché non negasse fede per la grandezza del prodigio, non lo fece altrove, ma proprio in quella stessa fornace ch’egli aveva fatto accendere e dove aveva gettato legati i tre fanciulli. Già lo spegnere la fiamma sarebbe stata cosa mirabile e incredibile, ma Dio misericordioso, per incutergli maggior timore e impressione e togliergli l’accecamento, fece qualche cosa di ancora più grande e straordinario. Lasciò che si facesse fuoco quanto quello voleva e diede prova della sua potenza non col sopprimere il fuoco, ma col renderlo inoffensivo. Perché poi qualcuno, vedendo i fanciulli illesi nel fuoco, non pensasse che quello fosse un fuoco immaginario, permise che restassero divorati dalle fiamme quelli che li avevano gettati, mostrando che quello che si vedeva era fuoco davvero, e del resto non avrebbe consumato i combustibili che l’alimentavano. Ma nulla è più potente del comando di Dio e ogni cosa ubbidisce a lui che dal nulla l’ha fatto venire all’esistenza; e lo si vide anche allora: la fiamma che aveva ricevuto corpi corruttibili, si astenne dal bruciarli quasi fossero incorruttibili e restituì intatto quel che aveva ricevuto e anzi con molto splendore. Come i re dal palazzo reale, così dalla fornace uscirono i fanciulli e nessuno badò più al re, ma tutti fissavano gli occhi su questo mirabile spettacolo e mai diadema o porpora o altro ornamento regale attirò tanto le turbe degli infedeli, come la vista di quei tre fedeli che erano rimasti a lungo nel fuoco e ne uscivano come se ci fossero stati solo in sogno. Persino i capelli, così facili a consumarsi, erano rimasti più duri del diamante nella fiamma divoratrice. Non fu solo cosa mirabile che, scagliati nella fiamma, non ne avessero danno alcuno, ma che continuamente parlassero; si sa infatti che a bocca chiusa si può qualche istante resistere al fuoco, ma chi apre la bocca, immediatamente muore. Ora, dopo tali prodigi, dopo che i presenti, vedendoli, ne erano rimasti sbalorditi e gli assenti ne erano stati informati per iscritto, proprio il re, che aveva notificato l’accaduto agli altri, rimase incorreggibile e tornò alla primiera malvagità. Eppure Dio non lo castigò, ma attese pazientemente, ammonendolo con sogni e per mezzo del profeta; e siccome con tutto ciò non si correggeva, finalmente lo castigò, non per vendicarsi del male già commesso, ma per impedire i mali futuri e questo castigo non fu perpetuo, ma solo per pochi anni, dopo di che lo restituì all’onore di prima, senza che dal castigo avesse avuto danno, ma solo il massimo dei beni: la salda fede in Dio e il pentimento delle colpe passate.

 

 

6. DIO ACCETTA SEMPRE IL PENTIMENTO SINCERO

 

Tale infatti è l’amor di Dio verso l’uomo, che non rifiuta mai un sincero pentimento, ma, fosse pur uno giunto all’estremo limite della malvagità, se poi volesse tornare sulla via della virtù, Dio lo riceve e accoglie e fa di tutto per ricondurlo nello stato di prima. Ma c’è di più; anche se uno non mostra pieno pentimento, egli non rigetta neanche un pentimento breve e scarso e pure a questo da grande ricompensa. Lo si vede da quel che il profeta Isaia dice del popolo Giudaico: «Per il suo peccato l’ho afflitto per un poco e l’ho percosso e ho distolto da lui il mio sguardo, ed egli s’è afflitto e camminava triste e io l’ho guarito e consolato». Ce lo potrebbe attestare quel re tanto empio, che si lasciò indurre dalla moglie a commettere delitti; appena se ne afflisse e si vestì di sacco e disapprovò i suoi misfatti, si attirò talmente la misericordia, che Dio lo liberò da tutti i castighi già preparati. Disse infatti Dio a Elia: Hai visto come Achab si è compunto davanti a me? Non farò venire castighi al tempo suo, perché ha pianto davanti a me. In seguito Manasse che superò tutti per furore e tirannia, sovvertì il culto mosaico, chiuse il tempio, fece fiorire il falso culto degli idoli e fu più empio che tutti i suoi predecessori, quando poi si convertì, fu annoverato tra gli amici di Dio. Se egli avesse guardato la grandezza dei propri peccati, avrebbe disperato di potersi rialzare e convertire e sarebbe rimasto privo di tutto il bene che poi ottenne; ma lui, invece di badare all’eccesso dei suoi peccati, guardò all’infinita misericordia di Dio, e, spezzate le catene del diavolo, si rialzò, riprese la lotta, e la terminò vittoriosamente. Non solo con questi fatti Dio ci vieta ogni pensiero di disperazione, ma anche con le parole del salmista: Oggi, se udirete la sua voce, non indurite i vostri cuori come fecero gli Ebrei nel deserto.

 

 

La penitenza non si misura dalla durata, ma dall’ardore

 

Questa parola «oggi» la si può dire finché si è vivi e anche da vecchi, giacché il valore della penitenza non si misura col tempo ma con la disposizione dell’anima. Così gli abitanti di Ninive non ebbero bisogno di pregare molti giorni per cancellare il loro peccato, ma in meno di un giorno fecero sparire la loro iniquità. Il ladrone non ebbe bisogno di molto tempo per ottenere l’ingresso in paradiso, ma giusto nel tempo che si dice una sola parola, si tolse di dosso i peccati di tutta la vita e, prima ancora degli Apostoli, ricevette il premio. Vediamo che anche i martiri hanno ottenuto splendide corone non in molti anni, ma in pochi giorni e spesso anche in uno solo. Abbiamo dunque bisogno soprattutto di coraggio e di buona disposizione, e se disporremo la nostra coscienza a detestare la vita cattiva e a metterci per quella buona con animo così risoluto come Dio vuole e richiede, la brevità del tempo non ci toglierà niente, giacché molti, che erano ultimi, sono passati davanti ai primi. Non è infatti cosa tanto tremenda il cadere, quanto il rimanere a terra senza rialzarsi, con la cattiva volontà e l’indifferenza, nascondendo la debolezza del nostro libero arbitrio sotto pensieri di disperazione. A questi tali quasi dubbioso il profeta dice: Forse che chi è caduto non si rialza, o chi s’è allontanato non ritorna?

 

 

7. ANCHE I BUONI POSSONO CADERE

 

Se tu domandi di quelli che, dopo aver creduto, sono caduti, di tutti si deve dire che, se son caduti, prima stavano ritti e non coricati: chi giace a terra, come può cadere? Ma ti saran dette anche altre cose, sia con parabole che con fatti e ragionamenti convincenti. Così quella pecora che si era allontanata dalle altre novantanove e che poi fu ricondotta fra loro, non significa altro per noi se non la caduta e il ritorno dei fedeli. Era infatti una pecora non di qualche altro gregge, ma che apparteneva al numero delle rimanenti e andava al pascolo sotto lo stesso pastore, ma poi si sviò e non per poco, ma per monti e per valli, vale a dire molto lontano dalla retta via. Forse che il pastore la lasciò andare? No, certo; anzi la riportò senza trascinarla, senza batterla, ma prendendola sulle proprie spalle. Come i migliori medici riconducono a sanità i malati più gravi con molta sollecitudine, non solo curandoli secondo le leggi della medicina, ma talvolta usando loro speciali riguardi, così Dio con quelli molto rovinati dal vizio, non ha rigorose esigenze nel ricondurli alla virtù, ma procede con calma, piano piano e li sostiene sicché non diventi più profonda la separazione e più grave l’errore. Questo non lo si vede solo dalla precedente parabola, ma anche da quella del figliuol prodigo. Questi pure non era un estraneo, ma era figlio di un uomo buono e fratello d’un bravo giovane, eppure cadde non in una colpa ordinaria ma, per così dire, nell’estremo dei mali; ricco, libero, nobile, si trovò peggio degli schiavi, degli estranei, dei mercenari. Eppure ritornò allo stato di prima e riebbe tutto l’antico onore. Se avesse disperato della sua vita e, avvilito per quanto gli era accaduto, fosse rimasto in paese straniero, non avrebbe ottenuto quello che di fatto ottenne, ma rifinito dalla fame avrebbe incontrato la più lacrimevole delle morti. Invece si pentì e non disperò e dopo tanta miseria, ritornò al primitivo splendore, indossò una ricca veste e godette riguardi maggiori che il fratello mai caduto. Disse infatti quest’ultimo: Da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando, eppure mai mi hai regalato un capretto, per fare un po’ d’allegria con i miei amici; invece quando è venuto questo tuo figlio che si è divorato un patrimonio con le meretrici, hai ucciso per lui il vitello grasso. Tanta è l’efficacia del pentimento!

 

 

8. DIO NON SI ALLONTANA DA NOI

 

Pensando a questi esempi così belli, non restiamo nei peccati e non disperiamo della riconciliazione, ma diciamo anche noi: «tornerò al Padre mio» e riaccostiamoci a Dio. Egli infatti non si allontana mai da noi, ma siamo noi che cerchiamo di allontanarci da lui. Egli dice: Io sono un Dio che sta vicino e non un Dio lontano. E per mezzo dello stesso profeta egli accusa i peccatori dicendo: Non sono forse i vostri peccati che mettono la separazione fra me e voi? Poiché dunque è questo che ci allontana da Dio, leviamo via questo muro così dannoso che ci impedisce di avvicinarci.

Senti ora la stessa verità dimostrata con i fatti. Tra i fedeli di Corinto un personaggio distinto aveva commesso una colpa, quale nemmeno i gentili ricordavano. Costui era certo un fedele e amico di Cristo; certuni dicono anzi che fosse un sacerdote. Ebbene, forse che san Paolo lo escluse definitivamente dal numero di quelli che si salvano? Niente affatto! Anzi egli in molti modi rimprovera i Corinti di non averlo condotto a convertirsi. Volendo poi mostrarci che non c’è peccato che non si possa guarire, dice a proposito di questo più peccatore che i pagani: Lasciate questo tale in potere di Satana a rovina della sua carne, affinché il suo spirito sia salvo nel giorno del nostro Signore Gesù Cristo. Ma questo lo diceva prima che quello si pentisse; quando poi si fu pentito, disse: a questo tale è sufficiente un rimprovero pubblico; e scrisse loro di fargli coraggio e di accogliere il suo pentimento, perché non restasse vittima di Satana. Così pure san Paolo rialzò tutto il popolo dei Galati che era caduto, dopo aver ricevuto la fede, operati miracoli e sofferte molte tribolazioni per Cristo. Che avessero fatto prodigi, lo mostra dicendo: Colui che vi concede lo Spirito Santo e opera cose straordinarie in voi. E che molto avessero lottato per la fede, anche questo lo indica dicendo: Tanto avrete dunque sofferto invano, se pure è invano? Eppure dopo tanto progresso, commisero un peccato bastevole a renderli estranei a Cristo; lo dichiara egli stesso: ecco, io Paolo vi dico che, se vi circoncidete, Cristo non vi gioverà più nulla. E di nuovo: Quanti avete cercato la santità nella pratica della legge mosaica, siete decaduti dalla grazia. Eppure dopo una sì grave caduta, li accoglie e dice: Figliolini miei, per i quali di nuovo soffro le doglie del parto, fino a che si formi Cristo in voi; e così dimostra che anche dopo la più grande perversione, è possibile riprendere la conformità con Cristo, poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

 

 

9. L’INFERNO È PER I DEMONI, IL CIELO PER NOI

 

Convertiamoci dunque, o dilettissimo, e facciamo la volontà di Dio. Per questo infatti ci ha creato e condotto all’esistenza, per farci partecipare ai beni eterni, per concederci il regno dei cieli, e non per gettarci nell’inferno e metterci nel fuoco eterno. Questo non fu fatto per noi, ma per il diavolo; per noi già da un pezzo è preparato e stabilito il regno dei cieli. Che sia così, il Signore lo mostra molto bene quando dice a quelli di destra: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dal principio del mondo; e a quelli di sinistra: Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato, non già per voi, ma per il diavolo e i suoi angeli. Non era dunque destinato a noi l’inferno, ma per quello e per i suoi angeli, mentre il regno è stato preparato fin da quando fu creato il mondo e proprio per noi. Non ci rendiamo quindi indegni di entrare nel talamo celeste; finché restiamo quaggiù, anche se avessimo commesso peccati senza numero, è sempre possibile liberarcene, purché dimostriamo pentimento delle colpe commesse. Ma quando fossimo condotti là, neppure con la più terribile penitenza, ci sarà modo di salvarsi, e anche se ci scricchiolassero i denti e piangessimo e ardentemente supplicassimo, non ci sarà chi venga a refrigerarci nemmeno con la punta del dito, in mezzo alle fiamme, ma udiremo quello che udì già quel ricco: c’è un abisso immenso spalancato tra noi e voi. Cerchiamo di rinsavire qui, te ne scongiuro, e riconosciamo il Signor nostro come va riconosciuto. La speranza d’ottenere il perdono dovremmo perderla solo se fossimo all’inferno; là soltanto questa medicina perde la sua forza e l’opportunità; ma fin che siamo qui è sempre efficacissima, anche se venisse usata nella vecchiaia. Perciò il diavolo fa di tutto per radicare in noi pensieri di disperazione; egli sa bene che, se ci pentiamo anche solo un poco, ciò non sarà senza ricompensa. Ma come un bicchiere d’acqua fredda ha pronta la sua mercede, così chi si pente dei suoi gravi peccati, anche se il pentimento non appare proporzionato alle colpe, pure ottiene una ricompensa. Nessun bene, per quanto piccolo, sarà trascurato dal giusto Giudice. Infatti, se egli esamina così minutamente i peccati che ci castiga anche per le parole e i pensieri, quanto più nel giudizio non terrà conto delle opere buone, grandi o piccole che siano?

 

 

La penitenza non è difficile

 

Anche se non riesci a tornare all’antica integrità di vita, pure cerca di staccarti in qualche modo dalla tua presente malattia e impurità e questo non sarà inutile. Solo comincia una buona volta e apri la via alla lotta, finché resti fuori è naturale che la riabilitazione ti sembri difficile o impossibile. Infatti, prima d’averne fatta la prova, per quanto la cosa sia leggera e tollerabile, ci sembra che debba essere molto difficile; ma quando affrontiamo davvero le difficoltà con animo risoluto, la più gran parte della sofferenza scompare, la fiducia sottentra al tremore e alla disperazione e diminuisce il timore, accresce la facilità e fortifica la speranza. Perciò il maligno tolse di vita Giuda, affinché, messosi per la via buona, non tornasse col pentimento là, donde era caduto. Io infatti, per quanto possa parere strano, non direi che neppure il peccato di Giuda fosse troppo grande per poter trovare rimedio nella penitenza. Perciò ti prego e scongiuro a scacciare dall’anima ogni suggestione diabolica e a venire a salvezza. Se io ti obbligassi senz’altro a tornare alla perfezione d’un tempo, avresti ragione d’inquietarti, per essere questa cosa troppo difficile; ma se ora mi limito a chiederti di non aggiungere nuove colpe alle già commesse, a risollevarti e a metterti per la via opposta, perché mai indugi, rifiuti e ti tiri indietro?

 

 

Il pensiero della morte

 

Non hai mai visto quelli che avevano passato la vita nelle crapule, nell’ubriachezza, nei divertimenti e nelle altre stoltezze di questo mondo? Dove sono ora quelli che con molta superbia, con tanto seguito passavano tronfi per le piazze? Quei tali, vestiti di seta, tutti profumati, che mantenevano tanti parassiti e non sapevano staccarsi dal teatro? Dov’è ora la loro ostentazione? Sono finiti i banchetti sontuosi, la turba dei musicisti, gli ossequi degli adulatori, le risa sfrenate, il rilassamento dell’anima, la dissipazione della mente, la vita molle, oziosa e inutile. Dov’è andato a finire tutto questo? Che è avvenuto di quel corpo che godeva tante cure e pareva così bello? Va al sepolcro, guarda la polvere, le ceneri, i vermi, contempla quel luogo ripugnante e gemi amaramente. E si fermasse alle ceneri il castigo! Ma ora distogli la mente dal sepolcro e da questi vermi e pensa al verme che non muore mai, al fuoco che non si spegne mai, allo scricchiolio dei denti, alle tenebre esteriori, all’afflizione ad angustia, alla parabola di Lazzaro e del ricco epulone, che era padrone di tante ricchezze, vestiva di porpora e non poté ottenere una goccia d’acqua, sebbene ne avesse tanta necessità. Le cose di questo mondo non valgono più di un sogno. Come i condannati alle miniere o a qualche pena anche più dura, quando incatenati in quella orribile vita, addormentandosi vedono in sogno di trovarsi tra ogni sorta di delizie, svegliatisi poi non ricavano da tali sogni nessun giovamento, così quel ricco che, come in un sogno, aveva accumulato ricchezze nella vita presente, partito da questa vita, era punito da quell’atroce supplizio. Pensa a queste cose, opponi quel fuoco eterno a questa fiamma di passione che ora ti avvolge ed esci finalmente da questa fornace. Chi avrà spento qui quella della concupiscenza, non avrà da sperimentare quella di là; ma chi non riesce a dominare questa, quando passerà nell’altro mondo, sarà avvolto dalle fiamme eterne. Quanto tempo credi tu che potrai godere della vita presente? Io penso che non ti rimangano più di cinquant’anni, anche se arrivassi all’estrema vecchiezza e neppure di questo siamo sicuri; e se non possiamo neppure riprometterci di giungere fino alla sera della nostra vita, come potremmo far assegnamento su un gran numero d’anni? Né questo solo è incerto, ma c’è pure l’instabilità delle cose, poiché spesso la vita è lunga, ma non è sempre un godimento; ma questo è appena incominciato che subito se ne va. Però, se ti piace, supponiamo pure che tu viva tanti anni e non ci sia nessun capovolgimento; che cosa è tutto questo in confronto dei secoli senza fine e dei castighi atroci e insopportabili dell’altra vita? In questa, tanto le cose buone che le penose finiscono, e molto presto; ma di là esse si prolungano in una durata infinita e nella loro qualità differiscono dalle gioie e dai dolori di questa vita tanto che non si può dire.

 

 

10. IL FUOCO DELL’INFERNO

 

Sentendo parlare di fuoco dell’inferno, non te lo figurare simile al nostro; questo infatti brucia e consuma la cosa a cui si apprende, ma quello, quando s’attacca a qualcuno, continua a farlo bruciare senza finire mai; per questo è detto: fuoco inestinguibile. Anche i peccatori diventano immortali, non per averne onore, ma solo per subire in eterno quel tormento. Quanto esso sia orrendo, non c’è parola che lo possa spiegare; e solo con esempi tratti dalle piccole pene di questa vita, ci si può fare una pallida idea di quelle pene tremende. Così se qualche volta nel bagno l’acqua sarà insopportabilmente calda, pensa allora al fuoco dell’inferno e se qualche volta sarai arso da una febbre tormentosa, procura di meditare allora la fiamma infernale e potrai intenderne bene la differenza. Poiché, se il bagno e la febbre ci tormentano e ci inquietano tanto, quando sprofonderemo in un fiume di fuoco che ci trascinerà davanti al tremendo tribunale, che proveremo allora? Certo ci scricchioleranno i denti a quei dolori e torture insostenibili. E nessuno ci darà sollievo; manderemo gemiti strazianti, tra la fiamma che sempre più ci avvolge, non vedremo nessuno, tranne i puniti con noi in una immensa solitudine. Chi potrà dire il terrore che dalle tenebre verrà alle anime nostre? Poiché quel fuoco, come non consuma, così non illumina; altrimenti non sarebbero tenebre. Solo quando uno ci si trova, può rendersi conto dell’agitazione, del tremore, dell’impotenza, dello sbalordimento enorme che ce ne verrà. Molti e svariati sono là i tormenti e da ogni parte una tempesta di castighi piomberà sull’anima.

 

 

Eternità delle pene

 

Se poi qualcuno dicesse: Ma come potrà l’anima essere in grado di subire tanta moltitudine di punizioni e di rimanere nei tormenti per secoli senza fine? Pensi a quello che avviene di qua, come spesso molti sopportano lunghe e dolorose malattie. E se muoiono, non è già perché l’anima sia consumata, ma solo perché viene meno il corpo, sicché, se questo non cedesse, l’anima non finirebbe di soffrire; ma quando le sarà restituito il corpo incorruttibile e incapace di logoramento, non ci sarà più nulla che impedisca l’infinita durata del castigo. In questa vita non è possibile che si trovino insieme queste due cose, cioè un tormento acerbissimo e una lunga durata, poiché l’una cosa si oppone all’altra, per essere il corpo di natura corruttibile, sicché non tollera le due cose unite; ma quando diventerà incorruttibile, non ci sarà più quella opposizione e tutti e due questi mali con gran violenza ci domineranno senza fine. Non ci mettiamo in mente che l’eccesso del tormento possa far venir meno l’anima, poiché allora neppure il corpo verrà meno, ma rimarrà con l’anima in eterno tormento e non avrà termine. Quale godimento e quanto tempo vuoi tu contrapporre a castigo così tremendo? Vuoi cento o duecento anni di godimenti terreni? Ma che sono mai di fronte a secoli senza fine? Quello che è il sogno di un giorno in confronto di tutta la vita, lo sono i godimenti di questa vita in confronto alla vita eterna. C’è mai qualcuno che per fare un bel sogno accetti poi d’essere tormentato per sempre? E chi sarà mai tanto pazzo da fare un simile scambio? Non starò adesso a mostrare quanta amarezza ci sia nelle delizie mondane; non è questo il momento per tali ragionamenti; li faremo quando ti sentirai la forza di fuggirle. In questo momento infatti, tutto preso come sei dalla passione, tu ci crederesti impazziti se dicessimo che i piaceri sono amari; ma quando per grazia di Dio ti sarai liberato da questo male, allora tu stesso ne comprenderai molto bene la bruttura. Perciò mettiamo da parte per altro tempo simili discorsi e per ora diciamo solo questo: supponiamo pure che i piaceri mondani siano veri piaceri e le delizie vere delizie, e che non abbiano nulla di amaro e di vergognoso, che diremo però del castigo che ci aspetta? Che faremo poi, dopo aver goduto i beni fugaci e inconsistenti di questa vita, quando di là dovremo soffrire un tormento eterno, mentre ora potremo in brevissimo tempo evitare quelle torture e giungere a godere i beni che ci sono preparati? Poiché questo pure ha fatto la bontà di Dio verso gli uomini, che cioè non fosse tanto lungo il tempo della lotta, ma che, dopo aver combattuto brevemente e quasi in un batter d’occhio (che tale è la vita presente di fronte all’eterna), riceviamo una corona eterna. E non sarà piccolo tormento per le anime dei dannati il pensare che in questi pochi giorni di vita potevano assicurarsi l’eternità e invece per la loro incuria si sono gettati da sé in un’eterna sventura. Per non cadervi pure noi, rialziamoci finché il tempo è propizio, finché ci sono giorni di salvezza, mentre è grande la forza del pentimento. Se invece noi saremo pigri e inerti non solo ci coglieranno i mali già detti, ma altri più terribili. Questi infatti sono i tormenti propri dell’inferno e ben più terribili. La perdita irrimediabile dei beni celesti poi porta tale strazio, tanta afflizione e angoscia che, se anche non ci fosse alcun tormento per i peccatori, questa da sola basterebbe a straziarli più atrocemente che tutte le torture d’inferno e a riempire di terrore le anime nostre.

 

 

 

11. FELICITÀ DELLA VITA ETERNA

 

Rifletti quale sia la vita futura, almeno per quanto è possibile pensarla, giacché nessun discorso potrebbe spiegarcela degnamente, ma solo ce ne possiamo fare un’idea oscura e inadeguata da quello che ci è stato rivelato. Dice la scrittura: non ci sarà più né dolore, né tristezza, né gemito. Che ci può essere per noi di più beato che una tale vita? Là non c’è più da temere né povertà, né malattia; non si dovrà più vedere né chi faccia ingiustizie, né chi le patisca, né chi esasperi, né chi venga esasperato, né chi si adiri o porti invidia o sia acceso di turpe passione, né chi stia in ansietà per provvedersi il necessario, né chi si disperi per cariche e magistrature. Tutta la tempesta delle nostre passioni sarà spenta e finita e tutto sarà in pace, letizia, gioia; tutto sereno e limpido, tutto luce diurna e splendore, luce non come quella d’adesso, ma un’altra luce, tanto più splendida di quella del sole, quanto il sole è più splendido d’un lumicino. Là infatti non c’è notte, né addensamento di nubi; non si patirà ardore o calore, non ci sarà notte o tramonto, né gelo, né arsura, né altra vicenda di stagione; ma le cose saranno ordinate in modo tutto diverso che conosceranno solo quelli che ne saranno degni. Non ci sarà vecchiaia, né gli incomodi della vecchiaia; sarà eliminato tutto ciò che sa di corruttibilità e dappertutto dominerà la gloria immortale. Ma meglio di tutto questo, sarà il poter continuamente conversare con Cristo in compagnia degli angeli e arcangeli e delle potenze celesti.

Guarda il cielo ora e col pensiero sali più alto del cielo e rifletti alla trasformazione di tutto il creato, poiché non resterà così ma diverrà molto più bello e splendido; e come l’oro è più fulgido del piombo, tanto il mondo nuovo sarà migliore di questo, come dice il beato Paolo: anche la natura sarà liberata dall’asservimento alla corruzione. Ora infatti essendo corruttibile subisce tutto quello che i corpi naturalmente subiscono, ma allora, liberata da tutto questo, ci si mostrerà ornata di bellezza imperitura; riceverà corpi incorruttibili, ed essa pure si trasformerà in meglio. Non ci saranno più sedizioni e battaglie, poiché grande sarà l’armonia del coro dei santi, sempre perfettamente d’accordo tra loro. Là non ci sarà più da temere il diavolo né le sue insidie, non ci sarà più la minaccia dell’inferno, la morte, né quella del corpo, né quella tanto più tremenda dell’anima: ogni timore di questo genere sarà scomparso. E come un bimbo figlio di re, allevato dapprima nella povertà, nel timore, nelle minacce, perché con la troppa condiscendenza non si guasti e si renda indegno dell’eredità paterna, quando poi sale sul trono, cambia completamente la sua situazione e con la porpora e il diadema, con una schiera di guardie, si mette con autorità a governare senza più tener conto della sua precedente soggezione, e anzi tiene un contegno tutto diverso dal primo, così allora avverrà a tutti i santi. Che queste parole non siano un vanto senza fondamento! Andiamo con la mente alla montagna ove Cristo si trasfigurò, guardiamolo splendente, sebbene neppure là egli abbia mostrato tutta la gloria della vita futura. Poiché dalle parole dell’evangelista si rileva che quanto si vide allora era una condiscendenza, non una esatta manifestazione di tutta la sua gloria. Dice infatti: splendette come sole. La gloria dei corpi incorruttibili non manda luce come il corpo corruttibile, né la loro luce è concessa a occhi mortali, ma per essere vista esige occhi immortali. Perciò allora sul monte si rivelò solo per quanto poteva essere visto senza rovinare gli occhi di chi lo vedeva; ma neppure così la sopportarono e caddero col volto a terra.

Dimmi, se uno ti conducesse in un luogo splendido, dove tutti sedessero con vesti d’oro e in mezzo a quella moltitudine ti mostrasse un altro, vestito e incoronato tutto di pietre preziose, e poi ti proponesse di far parte anche tu di quel popolo, non faresti tu di tutto, pur di ottenere l’adempimento di quella promessa? Apri ora gli occhi della mente e contempla quella scena, dove non già uomini in ricche vesti, ma uomini più splendidi dell’oro e delle pietre preziose e dei raggi del sole e di ogni visibile fulgore; e non solo uomini ma chi è molto più di loro, cioè angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà. Quanto al Re del cielo non è possibile dire come sia glorioso: la sua bellezza, il suo decoro, il suo fulgore, la sua gloria, la sua maestà, la sua magnificenza sono superiori a ogni parola e a ogni pensiero. Ci priveremo dunque di sì grandi beni, solo per evitare una breve sofferenza? Se fosse necessario morire ogni giorno mille volte e patire anche dolori d’inferno per vedere Cristo venire nella sua gloria ed essere annoverati fra i suoi santi, non sarebbe giusto patire tutto? Senti quel che dice il beato Pietro: È tanto bello per noi lo stare qui. Se lui, veduta una debole immagine dei beni futuri, provò tanta gioia nell’anima che non volle più saperne di cose di terra, che si dirà quando giungerà la realtà, quando, spalancata la reggia, si potrà contemplare il Re, non più in modo misterioso, né rispecchiato nelle creature, ma faccia a faccia, non più con la fede, ma con la visione diretta?

 

 

12. PERDERE I BENI CELESTI È COSA PIÙ DOLOROSA CHE PATIRE I TORMENTI ETERNI

 

Ci sono molti, tanto stolti, che pensano solo a evitare i supplizi dell’inferno; io invece ritengo che sia castigo assai più doloroso dell’inferno l’essere privato della gloria del cielo e che chi si danna non soffra tanto per i mali dell’inferno quanto per essere privo della felicità del cielo: questa è la pena più acerba di tutte. Adesso, molte volte, vedendo il re che esce dalla reggia con grande scorta, noi riteniamo fortunati quelli che gli stanno accanto e possono partecipare alla sua conversazione, ai suoi consigli, alla sua gloria e anche se abbiamo tanti beni, ci diciamo disgraziati e ci sembra di non aver nulla in confronto del grande onore che hanno quelli che gli stanno vicini; eppure sappiamo che questo splendore è caduco e per nulla sicuro, sia per le guerre, che per le insidie degli invidiosi, e anche senza di questo, solo perché tale gloria di per sé non vale nulla. Quando poi si tratta del Re di tutte le cose, che domina non una parte della terra, ma l’universo, che tiene in pugno il mondo e col suo palmo misura i cieli, tutto regge con la sua potente parola, per cui tutti i popoli sono niente e quasi un po’ di saliva, non ci parrà il massimo dei castighi il non trovarci nella sua corte e ci basterà solo di scansare l’inferno? Che c’è di più triste di un’anima che la pensa così? Ma quando questo Re verrà a giudicare la terra, non verrà mica su un carro dorato tirato da due bianche mule, né indosserà la porpora, né cingerà diadema.

 

 

La venuta del Signore per il giudizio finale

 

Ma come verrà? Ascolta i profeti che lo dicono e lo proclamano, per quanto è possibile a uomini. Uno dice: Dio verrà in modo manifesto, il nostro Dio non verrà di soppiatto; davanti a lui ardore di fuoco e intorno a lui tremenda tempesta; chiamerà il cielo e la terra per fare giudizio del popolo suo. Isaia poi ci descrive anche il castigo dicendo così: Ecco verrà il giorno del Signore, giorno insanabile d’ira e di furore, a rendere deserta tutta la terra e a distruggere da essa tutti i peccatori. E le stelle del cielo e Orione e tutti gli astri non daranno più la loro luce e si oscurerà il sole nascente e la luna non avrà più chiarore. Manderò sventure su tutta la terra, farò scontare agli empi i loro peccati; rovinerò la prepotenza degli iniqui, umilierò la iattanza dei superbi, e quelli che rimarranno, saranno pregiati più che oro fine e l’uomo più che pietra preziosa. Poiché il cielo sarà scosso e la terra tremerà sulle sue fondamenta per il furore e l’ira del Signore degli eserciti, nel giorno in cui verrà il suo furore. Così pure: Si aprirà il cielo, si scuoterà la terra, sarà tutta agitata, turbata, immiserita, traballante come un ubriaco e un crapulone; sarà scossa come una capanna nell’orto, cadrà giù, né si potrà rialzare, poiché su di essa domina l’iniquità. Dio porrà la sua mano sopra gli astri del cielo in quel giorno e sopra i regni della terra e raduneranno la moltitudine in un carcere e la chiuderanno in una fortezza. Allo stesso modo parla Malachia: Ecco viene il Signore onnipotente, e chi potrà sopportare il giorno della sua venuta, e chi avrà forza di guardarlo? Poiché egli viene come fuoco di fonderia e come fiamma di lavanderia e si sederà per purificare gli uomini come si purga l’oro e l’argento. E di nuovo: Ecco viene il giorno del Signore, ardente come fornace e li abbrucerà; tutti i pagani e tutti gli iniqui saranno come canne e il giorno che viene darà loro fuoco, dice il Signore onnipotente e non rimarrà né radice, né sarmento.

Daniele poi, l’uomo dei desideri, dice: Stavo guardando finché furono collocati i troni e l’Antico dei giorni sedette; la sua veste era come neve, i suoi capelli come candida lana, il suo trono fiamma di fuoco, le sue ruote fiamma ardente; un fiume di fuoco lo precedeva. Un milione di angeli lo servivano e cento milioni gli stavano attorno. Incominciò il giudizio e furono aperti i libri. E un poco più avanti dice: Io guardavo in una visione notturna ed ecco sulle nubi del cielo veniva Uno, che pareva un figlio d’uomo e si accostò all’Antico dei giorni e fu offerto al cospetto di lui, e gli fu dato potere, onore e regno e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno. Il suo potere è un potere eterno, che non passerà mai e il suo regno non decadrà mai. Sentii un brivido nel mio spirito, io Daniele e le visioni del mio capo mi turbavano. Nel giorno del giudizio si spalancheranno tutte le porte del cielo, o, piuttosto, la stessa volta celeste sarà tolta di mezzo: il cielo sarà avvolto come un volume, come si toglie una tenda o un paravento, per essere trasmutato in meglio. Allora tutto l’universo sarà pieno di sbalordimento, di orrore e tremore; anche gli angeli allora avranno gran paura e non i soli angeli, ma gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati, le potestà; sta scritto infatti: Si scuoteranno le potenze dei cieli. Infatti, se quando i giudici di questo mondo sottopongono a giudizio anche una sola città, tremano tutti, anche quelli che sono fuori pericolo, allorché la terra tutta sarà giudicata da un giudice tale che non ha bisogno di testimoni né di prove, ma che anche senza di ciò può citare fatti, parole, pensieri e rivelare tutto esattamente sia a chi ha peccato, sia a chi non ne sapeva nulla, come non sarà naturale che ogni potenza tremi e sia scossa? Anche se non fosse quel fiume di fuoco, anche se non fossero presenti angeli tremanti, ma fossero solo convocati gli uomini e gli uni fossero lodati e ammirati, gli altri cacciati via senza onore ed esclusi dalla gloria di Dio (poiché sta scritto: Sia tolto di mezzo l’empio, che non veda la gloria del Signore), e questo solo fosse il castigo, la privazione di tali beni non strazierebbe l’anima del reietto più atrocemente d’ogni pena d’inferno? Che gran male sia questo, ora non è possibile esporlo a parole, ma allora lo sapremo chiaramente a fatti. Aggiungi poi il fatto che quelli non solo se ne andranno svergognati, a capo chino, cercando di nascondere il viso, ma che saranno trascinati verso il fuoco, gettati nei tormenti, dati in potere a feroci demoni e tutto ciò nel momento stesso in cui saranno coronati, esaltati e presentati al trono regale tutti quelli che operarono il bene e fecero cose degne della vita eterna.

 

 

13. I BENI CELESTI

 

Questo avverrà nel giorno del giudizio; ma chi ci potrà descrivere la sorte dei beati, la dolcezza, il vantaggio, la gioia di star sempre con Cristo? Quando l’anima sarà ristabilita nella sua nobiltà e potrà guardare fidente il suo Signore, non si può dire quanto piacere e quanto vantaggio ne godrà, non solo per la gioia dei beni presenti, ma anche per la certezza che essi non finiranno mai. È una felicità che né parola può esporre, né mente può comprendere adeguatamente; mi proverò tuttavia di spiegarla in qualche modo, come si mostrano cose grandi col paragone di cose piccole. Prendiamo l’esempio da quelli che nella vita presente godono dei beni del mondo, potenza, ricchezza, gloria; come van superbi della loro fortuna! Non sembra loro nemmeno d’essere sulla terra, sebbene godano di cose che neppure meritano il nome di beni e che non resteranno ma se ne andranno più rapide che un sogno, e se anche avranno una certa durata, servono solo per la vita presente e non vengono con noi oltre la morte. Ora, se queste cose danno tanta gioia a chi le possiede, che sarà delle anime chiamate a infiniti beni nel cielo, beni stabili che durano in eterno? E non è solo questione di durata, ma anche di quantità e qualità, i beni celesti sono tanto superiori ai presenti, che mente umana non può comprenderlo. Adesso infatti come una creaturina nel seno materno, viviamo in questo mondo ristretti e non possiamo farci un’idea dello splendore e della libertà del mondo futuro. Ma quando verrà il momento del parto e la vita presente nel giorno del giudizio metterà alla luce le sue creature, allora i mal formati passeranno dal buio alle tenebre, dal tormento a un supplizio più fiero, ma quelli ben formati e che hanno custodito fedelmente la somiglianza col loro Re, gli saranno presentati e assumeranno la celebrazione di quella celeste liturgia che gli angeli e gli arcangeli rendono al Dio dell’universo.

 

 

L’amore di Dio per le anime

 

O mio caro, non distruggere per sempre questa somiglianza con Cristo, ma procura di ristabilirla al più presto e di renderla più profonda. Dio ha voluto che la bellezza del corpo fosse soggetta alle vicende della natura, ma quella dell’anima è libera da ogni necessità e schiavitù, appunto perché molto migliore di quella del corpo e dipende solo da noi e da Dio. Si è così mostrato molto buono con noi il Signor nostro e ci ha fatto questo grande onore di sottomettere alle vicende della natura ciò che poco vale, poco giova e si può perdere senza danno, mentre ci ha concesso di costruire noi stessi la nostra vera bellezza. Se infatti ci avesse concesso di essere padroni di formare la bellezza del nostro corpo, avremmo avuto un’occupazione superflua, avremmo perduto tutto il tempo in cose inutili e avremmo completamente trascurato l’anima. Ora infatti, pur non avendo tale potere, facciamo di tutto e ci sforziamo di costruirci una bellezza apparente, giacché non possiamo farcela reale; e con i colori, con la tintura e con capigliatura ben composte e con abiti eleganti e col dipingerci gli occhi e con molti altri artifici ci procuriamo una falsa bellezza; quale cura mai avremmo per l’anima e per la virtù se fosse in nostro potere procurarci una reale bellezza fisica? Ben presto non avremmo più altra occupazione, se ciò dipendesse da noi, ma in questa consumeremmo tutto il tempo, e adorneremmo in mille modi la carne, che è serva, lasciando l’anima, che è la padrona abbandonata, trascurata e abbrutita peggio che se fosse schiava. Perciò Iddio ci ha liberati da questa misera cura e ci ha affidato l’abbellimento della parte migliore, così l’uomo che non può rendere bello il suo corpo quando è brutto, può ricondurre l’anima sua, anche ridotta all’estrema bruttezza, alla più alta bellezza e renderla così gradevole e amabile da attirarsi le simpatie non solo degli uomini, ma di Dio stesso, Re dell’universo, come dice il Salmista: «Il Re sarà desideroso della tua bellezza».

Non vedi come tra le stesse donne perdute, se una è ributtante e sfacciata, non vogliono sposarla nemmeno i gladiatori e gli schiavi fuggitivi; ma se una bella, nobile, modesta per qualche disgrazia si riduce in tale stato, persino uomini illustri e nobili non rifuggono dal prenderla in moglie?. Se dunque anche tra gli uomini si usa tanta misericordia e si fa così poco conto dell’opinione pubblica da togliere una disgraziata dall’infamia per farla propria moglie, quanto più ne userà Dio alle anime che per la tirannide del diavolo hanno perduto la loro celeste nobiltà e si sono disonorate in questo mondo corrotto! È questa un’immagine che si trova molto spesso nei profeti, quando rivolgono la parola a Gerusalemme, caduta anch’essa nella turpitudine di nuovo genere, come dice Ezechiele: Le altre donne perdute vogliono denaro, tu invece lo dai per peccare, tanto sei pervertita. E un altro dice: Tu siedi ad aspettarli, come una cornacchia abbandonata.

Eppure questa gran peccatrice Dio la richiama a sé. Infatti la prigionia in Babilonia non era tanto un castigo quanto una conversione e un ritorno alla virtù; se infatti Dio davvero avesse voluto punirla, non avrebbe fatto tornare in patria la popolazione, né avrebbe fatto ricostruire più grandi e più splendidi città e tempio. Sta scritto appunto: La gloria ultima di questa casa sarà maggiore della prima. Se dunque Dio non ha escluso dalla penitenza quella che tante volte si era disonorata, molto più accoglierà l’anima tua che è caduta ora per la prima volta. Non c’è nessuno infatti tra quanti amano la bellezza corporea, per quanto pazzo sia, che arda di tanto amore per la sua diletta, quanto Dio brama la salvezza delle anime nostre; e lo si può vedere da quello che avviene ogni giorno, e lo si può rilevare dalle Sacre Scritture. Vedi infatti in principio di Geremia e in molti altri passi dei profeti, come Dio, trascurato e disprezzato, sempre di nuovo corre a cercare ansiosamente l’amicizia di quelli che lo fuggono. Lo ha detto egli stesso nell’Evangelo: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono inviati a te, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina accoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto. E san Paolo scrive ai Corinti: Dio ha voluto che per mezzo di Cristo il mondo si riconciliasse con lui, senza più tener conto dei loro peccati, ha affidato a noi la parola di riconciliazione. Noi siamo gli ambasciatori di Cristo, come se Dio vi esortasse per mezzo nostro, noi vi preghiamo per Cristo, riconciliatevi con Dio. Pensa ora che queste parole sono dette anche per noi, giacché non solo l’incredulità, ma anche la vita impura crea tale profonda inimicizia, poiché la mentalità carnale è odiosa a Dio. Distruggiamo adunque tale ostacolo, leviamolo di mezzo, sopprimiamolo, per ottenere la felicità della riconciliazione e divenire nuovamente amabili e desiderabili a Dio.

 

 

14. VANITÀ DELLA BELLEZZA CORPORALE

 

So che tu ora ammiri la bellezza di Ermione, e ti pare che non ce ne sia altra uguale sulla terra; ma se tu lo vuoi, mio caro, tu puoi diventare tanto più bello ed elegante di essa quanto una statua d’oro è meglio d’una di creta. Se la bellezza del corpo fa tanta impressione e ammirazione nella gente, chi potrà uguagliare la bellezza che rifulge nell’anima? Poiché la bellezza del corpo in sostanza non è che il risultato di muco, sangue, umori, secrezioni provenienti dalla nutrizione, che vanno a dar vivacità agli occhi e alle guance, e se tutti i giorni non avvenisse questa specie di irrigazione prodotta dallo stomaco e dal fegato, la pelle avvizzirebbe, gli occhi si infosserebbero e sarebbe subito finita ogni bellezza. Sicché, se tu considerassi che cosa c’è in quegli occhi così belli, in quel naso così ben fatto, in quella bocca e in quelle labbra, diresti che tutta quella bellezza è un sepolcro imbiancato, tanta è la sozzura di cui è pieno. Se tu vedessi un fazzoletto con un po’ di queste secrezioni e umori, non sopporteresti di toccarlo neppure con la punta delle dita, anzi nemmeno di vederlo; e allora perché perder la testa dietro un corpo che è tutto un ripostiglio di simile sozzura? Tale invece non era la tua bellezza, ma quanto il cielo è superiore alla terra, anzi molto più splendida ed eccellente di questo.

L’anima separata dal corpo nessuno l’ha mai veduta, tuttavia cercherò di fartene vedere la bellezza col paragone delle potenze superiori. Senti dunque come la bellezza degli angeli sbalordì il profeta Daniele, che, volendo descriverla, e non trovando corpo alcuno somigliante, fece ricorso al confronto con metalli preziosi e persino al bagliore del lampo. Se gli angeli volendo mostrarsi non già apertamente in tutta la loro bellezza, ma solo in maniera molto velata, hanno mandato tale splendore, quali appariranno mai quando sarà tolto ogni velo? Ora simile a questa bisogna immaginare la bellezza dell’anima. Sta scritto infatti: Saranno come angeli. Anche tra le cose corporee, quelle più leggere e sottili e che più si accostano alle incorporee, sono molto migliori e mirabili delle altre. Così il cielo è più bello della terra, il fuoco più che l’acqua, le stelle più che le rocce e ammiriamo l’arcobaleno più che le rose, le viole e tutti gli altri fiori della terra. Insomma, se fosse possibile vedere con occhi corporei la bellezza dell’anima, tu ti rideresti di questi paragoni materiali, tanto sono inadeguati a esprimere la fulgida beltà dell’anima.

 

 

 

Esortazione a lasciare il peccato

 

Non trascuriamo l’acquisto di un tale bene e di tanta beatitudine, tanto più che la speranza dei beni futuri ci rende assai facile il giungere a tale bellezza. Dice infatti l’Apostolo: la tribolazione brevissima e leggera di questa vita ci procura un cumulo enorme di eterna gloria, purché noi miriamo non alle cose visibili, ma a quelle invisibili; poiché le cose visibili sono temporanee, invece quelle invisibili sono eterne. Ora se il beato Paolo chiama leggere le sue tribolazioni, che tu ben conosci, perché non si prendeva di mira le cose visibili, molto più sarà sopportabile il cessare dalla vita impura. Non ti proponiamo infatti di esporti a pericoli come i suoi, né al suo quotidiano morire, né alle battiture, ai flagelli, alle catene, né all’inimicizia universale, né all’odio dei compatriotti, alle continue veglie, ai lunghi viaggi, ai naufragi, agli assalti dei briganti, alle insidie dei connazionali, alle sofferenze per gli amici, alla fame, al freddo, alla nudità, all’arsura, alla tristezza sia per le cose tue che per quelle altrui. Niente di tutto questo ti domandiamo, ma solo ti supplichiamo a liberarti da quella maledetta schiavitù, a tornare alla primiera libertà, riflettendo al castigo della vita impura e all’onore della tua vita di prima. Che a quelli senza fede non faccia impressione il sentir parlare della risurrezione e non ne provino timore, non fa nessuna meraviglia; ma che noi, che siamo certi della vita futura più che della presente, viviamo così trascurati e miserabili, senza che tale pensiero ci faccia impressione alcuna, questo è segno di grande stoltezza. Se infatti noi credenti ci comportiamo da increduli e anzi siamo peggio di loro (poiché non mancano tra loro persone distinte per virtù naturali), come potremo essere scusati o perdonati? Molti mercanti dopo il naufragio non si sono avviliti, ma si sono imbarcati di nuovo per lo stesso viaggio, sebbene avessero patito tale danno per opera dei venti e non per propria incuria. Noi invece, che siamo sicuri di arrivare in porto e sappiamo benissimo come non ci può incogliere naufragio, o altro minimo danno se noi non vogliamo, non riprenderemo il nostro proposito, non riprenderemo il nostro commercio, e ce ne resteremo pigramente con le braccia inerti? E voglia il cielo che siano solo inerti e non lavorino piuttosto alla nostra rovina, che sarebbe un’insigne pazzia. Non sarebbe infatti un vero pazzo quel lottatore che invece di gettarsi contro l’avversario, percuotesse la propria testa e la propria faccia? Il diavolo ci ha fatto inciampare e ci ha atterrati; perciò bisogna rialzarsi, non darci per vinti, e non buttarci da noi nel precipizio, né aggiungere altri colpi a quelli ricevuti da lui.

 

 

Efficacia del pentimento

 

Anche il beato David cadde in una colpa simile alla tua, anzi, oltre questa, commise pure un omicidio. Forse che non pensò più a rialzarsi? Anzi, si rialzò subito e riprese a combattere contro il nemico e lo batté così vigorosamente che, anche dopo la sua morte poteva soccorrere i suoi discendenti. Infatti quando Salomone commise quel gran peccato e si meritò di morire mille volte, Dio gli disse che per riguardo a Davide gli lasciava intero il regno: Io certo farò in due il tuo regno e lo darò a un tuo servo, ma non farò questo durante la tua vita. E perché? Per riguardo a tuo padre David; lo prenderò dalla mano di tuo figlio. E a Ezechia, che pure era virtuoso, quando fu in estremo pericolo, Dio ugualmente per riguardo a David concesse protezione: Difenderò questa città per la mia gloria e per amore del mio servo David. Tanta è la forza del pentimento! Se invece egli avesse pensato, come tu ora, che ormai era impossibile rendersi propizio Dio, e se avesse detto fra sé: Dio mi aveva molto onorato, m’aveva posto tra i profeti, m’aveva dato il potere sui miei compagni, mi aveva salvato da innumerevoli pericoli; come potrò, io che dopo tanti benefici mi sono reso colpevole di gravissimi peccati, rendermi di nuovo Dio propizio? Se avesse ragionato così, non solo non avrebbe fatto tutto il bene che fece poi, ma avrebbe perduto pure quello fatto prima.

 

 

15. NON CI SONO MALATTIE INCURABILI NELL’ANIMA

 

Non solo le ferite del corpo producono la morte quando non sono curate, ma anche quelle dell’anima; ma intanto noi siamo tanto stolti che curiamo con gran diligenza quelle e non ci curiamo di queste. Anzi persino se la malattia è inguaribile, non ci perdiamo di coraggio e anche se i medici ci ripetono che nessuna medicina ci può guarire, pure insistiamo a chiedere un qualche rimedio. Per le anime invece, dove non esistono malattie incurabili (non provengono infatti da una necessità di natura), ce ne disinteressiamo e lasciamo ogni speranza, come se fosse malattia altrui; dove la natura della malattia ci dovrebbe far disperare, cerchiamo la guarigione come se ci fosse molta speranza di ottenerla; dove invece non c’è motivo alcuno di avvilirsi, ci comportiamo come se non ci fosse più nessuna speranza, tanto facciamo più conto del corpo che dell’anima! E così non riusciamo a salvare né anima, né corpo.

Infatti chi trascura il più importante, e mette tutta la sua premura nel meno importante, manda l’uno e l’altra in rovina e perdizione. Chi invece rispetta il buon ordine e mette in salvo e cura il più importante, anche se non si cura del resto, salva pure questo col salvare il principale. Ce lo ha detto chiaramente Cristo: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima, temete invece chi può mandare anima e corpo all’inferno. Sei persuaso adesso che non bisogna mai disperare, quasi che le malattie dell’anima fossero inguaribili, oppure c’è bisogno d’altri ragionamenti? Anche se tu mille volte disperassi di te stesso, noi però non dispereremo mai di te, né crederemo vero noi quello che disapproviamo negli altri, sebbene non sia la stessa cosa disperare di sé e disperare di un altro. Chi pensa così di un altro, facilmente è scusato; ma chi lo pensa di se stesso, no. E perché? Perché il primo non è padrone della volontà e del pentimento dell’altro, ma dispone solo di sé. Con tutto ciò noi non disperiamo di te, anche se tu fossi del tutto disperato: anche in questo caso ci sarà una via per tornare alla virtù e riprendere la vita di prima. Stà sentire: gli abitanti di Ninive sebbene avessero udito la precisa e gravissima minaccia del profeta: Tre giorni ancora e Ninive sarà distrutta, non per questo si avvilirono, ma pur senza speranza di placare Dio, anzi con ogni probabilità di non poterlo placare (giacché quella profezia non appariva minaccia condizionata, ma assoluta decisione) vollero ugualmente fare penitenza, dicendo: Chissà, forse Dio cambierà parere e si lascerà commuovere e smetterà il suo furore e noi non periremo. E Dio vide le loro opere, come s’erano distolti dalle loro malvagità, e Dio cambiò parere e non mandò il castigo che aveva minacciato. Ora, se uomini barbari e ignoranti hanno potuto comprendere tale verità, molto più dobbiamo capirla noi, istruiti nella legge divina e che abbiamo conosciuto tanti esempi del genere sia a parole che a fatti.

 

 

Dio ama i peccatori

 

Egli dice: i miei pensieri non sono come i vostri, né le mie vie come le vostre; ma quanto il cielo è distante dalla terra, altrettanto i miei pensieri differiscono dai vostri e le mie intenzioni dalle vostre. Se noi quando i nostri servi hanno commesso molte mancanze perdoniamo loro, se promettono di correggersi e li rimettiamo nell’onore di prima e talvolta persino concediamo loro una maggiore fiducia, molto più lo farà Dio. Se Dio ci avesse creato allo scopo di poterci castigare, avresti ragione di disperare e di dubitare della tua salvezza; ma dal momento che ci ha creato per sua sola bontà e per farci godere dei beni eterni e per questo fa di tutto dal primo giorno della nostra esistenza fino a ora, che cosa ci può rendere dubbiosi? Abbiamo provocato il suo sdegno più di qualunque altro uomo? Per questo appunto bisogna smettere di peccare e pentirsi dei peccati già commessi e dar prova d’una profonda mutazione. Infatti i peccati, una volta commessi non lo disgustano tanto quanto il non voler cambiar vita per l’avvenire. Il cadere in peccato è in qualche modo cosa umana, ma il perseverare in esso non è umano, ma diabolico. Vedi anche come per mezzo del profeta Dio biasima più l’una cosa che l’altra; dice infatti: Dopo che essa ebbe commesse tante turpitudini, le ho detto: torna a me, e non è ritornata. E altrove, volendo mostrare quanto brami la nostra salvezza, quando, dopo tanti delitti, gli promisero di camminare per la retta via, egli li udì e disse: Chi darà loro di essere tanto saggi da temermi e praticare i miei comandamenti tutti i giorni della loro vita, affinché possano essere felici essi e i loro figli per sempre? E Mosé parlando a essi diceva: Israele, che altro chiede il Signore da te, se non che tu torni al Signore Dio tuo, che cammini nelle sue vie e che lo ami? Egli dunque che tanto brama di essere amato da noi e che in tutti i modi cerca il nostro amore e per questo non ha risparmiato neppure il suo Unigenito, egli che sempre desidera di vederci riconciliati a sé, come non ci accoglierà e non ci amerà se ci convertiremo? Senti anche che cosa dice per bocca del profeta: Di’ tu per primo i tuoi peccati per essere giustificato. Questo egli lo domanda affinché diventi forte il nostro amore per lui; infatti, quando un amico, pur avendo subito gravi torti dagli amici, non per questo cessa di amarli, se vuole che si parli di questi torti, lo fa solo per dimostrare la saldezza della sua amicizia e per muovere gli amici a un maggiore e più vivace amore.

Ora se il solo riconoscere i propri peccati ottiene già tanto conforto, molto più ne otterrà il purificarsene con le opere buone. Se così non fosse e se quelli che sono usciti una volta dalla retta via, non potessero più tornare nello stato di prima, nessuno o ben pochi entrerebbero nel regno dei cieli; ora invece troviamo che i più gloriosi fra i santi sono appunto dei peccatori convertiti. Proprio quelli che molto peccarono, mostreranno altrettanto impegno nel fare il bene, consci come sono di quanto male devono rendere conto. Questo lo spiegò pure Cristo quando disse a Simone, a proposito di quella donna: Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e non mi hai lavato i piedi; essa invece me li ha lavati col suo pianto e asciugati con i suoi capelli. Non mi hai dato il bacio ed ella da che è entrata non smette di baciarmi i piedi. Non mi hai profumato la testa, ed essa mi ha profumato i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i molti suoi peccati perché molto ha amato. Invece a chi poco si perdona, poco ama. Disse poi alla donna: Ti sono rimessi i tuoi peccati.

 

 

16. LE GIOIE DELLA PENITENZA

 

Per questo anche il diavolo sapendo come i gran peccatori quando cominciano a pentirsi, lo fanno con molto impegno, consci come sono dei loro disordini, teme e trema di vederli incominciare; se infatti ci si mettono, poi non li tiene più nessuno; come divorati dall’ardore della penitenza, rendono l’anima più pura dell’oro fino e la memoria e coscienza delle colpe di prima è quasi un vento impetuoso che li spinge nel porto della virtù. Questo è il vantaggio che essi hanno su quelli che non sono mai caduti: una volontà più risoluta; tutto sta, come dicevo, che incomincino. Giacché il difficile sta appunto qui, tornare all’entrata, giungere al vestibolo della conversione, respingere e abbattere il nemico, che si è appostato là e si oppone furiosamente. Se una volta resta vinto, non potrà in seguito mostrare tanto furore; egli resterà colpito proprio là dove era forte, noi prenderemo più ardire e con facilità potremo continuare questa gloriosa lotta. Mettiamoci dunque sulla via del ritorno, corriamo alla città celeste, di cui siamo cittadini e dove è nostro dovere di vivere.

Il disperare di noi stessi non solo ha questo danno che ci chiude la porta del cielo e ci rende ancora più fiacchi e trascurati, ma anche ci da in preda a una follia satanica. Il diavolo infatti è diventato tale appunto perché prima disperò e poi dalla disperazione cadde nel pazzo furore. L’anima, se arriva a disperare della sua salvezza, poi non si rende più conto come precipiti sempre più in basso e dice e fa di tutto contro la sua salute. E come i maniaci, quando hanno perduto l’uso della ragione, non temono più nulla, non si vergognano di nulla, ma fanno tutto senza riguardo, anche a rischio di cadere nel fuoco, nel mare o in un precipizio; così quelli presi dalla pazzia della disperazione diventano insopportabili, corrono a ogni malvagità, e, se non viene la morte a metter fine a tale pazzia, si tirano addosso mali senza numero. Perciò ti scongiuro, prima che tu sia totalmente immerso in questa specie di ubriachezza, torna in te e svegliati e rigetta questa satanica ebrietà e se non lo puoi fare tutto in una volta, fallo almeno a poco a poco.

A me certo pare che ti sarebbe molto più facile troncare a un tratto tutti i legami che ti trattengono e darti all’esercizio della penitenza. Ma se questo ti pare troppo difficile, entra nel modo che ti sembra meglio nella via del bene, purché ti ci metta e ottenga la vita eterna. Sì, ti prego e ti scongiuro, per la tua buona riputazione di prima, per quella tua fiducia d’un tempo, fà che possiamo vederti di nuovo raggiungere la stessa elevata virtù e perseveranza. Abbi riguardo a quelli che si sono scandalizzati per causa tua, a quelli che sono caduti, a quelli divenuti più pigri, a quelli che disperano della virtù. Adesso infatti la tristezza grava sulla schiera dei tuoi fratelli, compiacenza e allegria invece si trova nelle riunioni degli infedeli e nei giovani più dissipati. Ma se tu ritorni alla vita così accurata, si capovolgerà la situazione e tutta la nostra vergogna passerà a quelli e noi saremo fieri di vederti di nuovo coronato e celebrato in più chiara luce. Tali vittorie portano maggior riputazione e piacere. Non riceverai soltanto il premio delle tue opere buone, ma anche della consolazione e del coraggio fatto agli altri, rimanendo quale esempio bellissimo, se qualcuno cadesse in simili mali, del come possa rialzarsi e salvarsi. Non disprezzare un sì grande guadagno, non ci far morire con questa afflizione, ma fà che possiamo respirare e cacciare da noi questa tristezza che ci annebbia lo spirito a tuo riguardo. Ora infatti, lasciati da parte i nostri mali, noi piangiamo le tue sventure. Ma se tu vorrai rinsavire e aprire gli occhi e venir di nuovo ricevuto nella milizia angelica, ci libererai da questo lutto e cancellerai la maggior parte dei nostri peccati. Ci dicono infatti le divine Scritture che può avvenire che uno tornando a penitenza risplenda di fulgida luce e spesso anche più di quelli che non sono mai caduti. Così appunto i pubblicani e le meretrici ottengono il regno dei cieli e così molti degli ultimi hanno la precedenza sui primi.

 

 

17. LA CONVERSIONE D’UN GIOVANE

 

Ti voglio narrare un fatto avvenuto tra noi e di cui tu potrai essere testimonio. Tu conosci probabilmente quel giovane, figlio di Urbano, quel fenicio, rimasto orfano molto presto, molto ricco di denaro, di servi e di terreni. Egli dapprima, lasciati gli studi, deposto il suo bel vestito e ogni cura di cose temporali, indossò un povero abito, si ritirò sui monti in solitudine e si diede alla pratica della vita di perfezione non solo in modo proporzionato alla sua età, ma come avrebbe fatto un uomo tra i più virtuosi. In seguito fu pure iniziato ai sacri misteri, e attese ancor più alla sua santificazione e tutti godevano e lodavano Dio che questi, allevato fra le ricchezze, di nobile famiglia, e ancora molto giovane, avesse calpestato senz’altro le vanità del mondo e corresse alla vera perfezione. Or mentre egli conduceva questa mirabile vita, certi uomini perversi, che per legge di parentela avevano cura di lui, riuscirono a riportarlo tra le tempeste del mondo. Gettò via l’abito religioso, scese dal monte nella piazza e cavalcava con molto seguito, girando per tutta la città e non voleva metter giudizio. Lo prese l’amore dei godimenti, cadde in amori illeciti e ormai tutti ritenevano disperata la salvezza dell’anima sua, tale sciame di adulatori lo circondava, oltre poi l’essere orfano, giovane e ricco assai. E quelli che con facilità biasimano tutto, accusavano chi lo aveva indotto a quella vita di prima dicendo che così aveva fallito nella vita spirituale e adesso neppure poteva essere utile per i suoi stessi affari, avendo troppo presto smesso gli studi, sicché non ne poteva cavare vantaggio alcuno. Così si diceva e ne veniva molto disonore; ma alcuni santi uomini che più volte avevano fatto la caccia a questa selvaggina e che per esperienza sapevano bene che chi è armato di fiducia in Dio non deve disperare neppure di simili peccatori, lo tenevano continuamente d’occhio, se lo vedevano comparire in piazza e s’avvicinavano e lo salutavano gentilmente. Le prime volte quello, da cavallo, rispondeva di traverso, tanto si era fatto sfrontato. Ma quelli, benigni e affettuosi, non ne facevano caso, mirando a una cosa sola: a strappare l’agnello ai lupi; e con la perseveranza vi riuscirono. In seguito infatti quello, come riavutosi da uno stordimento, e arrossendo di fronte a tanta loro sollecitudine, quando li scorgeva venire da lontano, scendeva da cavallo e a capo chino e in silenzio stava a udire tutto quello che gli dicevano e sempre più mostrava rispetto e onore verso di loro. Così in poco tempo, con la grazia di Dio, lo tirarono fuori da quelle reti e lo restituirono alla solitudine e alla vita virtuosa di prima. Adesso egli si è tanto distinto, che la sua vita antecedente, paragonata a quella attuale, è cosa da nulla. Infatti avendo imparato per esperienza dove stava il pericolo, ha distribuito ai poveri tutte le sue ricchezze, così s’è liberato da tutti questi pensieri, ha tolto ogni pretesto a quelli che gli volessero tendere insidie; e ora, camminando nella via del cielo, è giunto ormai alla perfezione.

 

 

Conversione di un vecchio

 

Quello cadde e si rialzò mentre ancora era giovane; ma un altro dopo aver sopportato grandi fatiche nella solitudine dove con un solo compagno conduceva vita angelica, giunto ormai verso la vecchiaia, non so come, con un po’ di tiepidezza offrì a Satana la via per tentarlo, e così lui che da quando era monaco non aveva mai veduto persona d’altro sesso, fu preso da una gran brama di conversare con loro. Cominciò con l’esigere dal compagno che gli preparasse carne e vino, minacciando, se non l’otteneva, di andarsene giù al mercato; e questo diceva non perché realmente desiderasse mangiar carne, ma per avere un pretesto per poter andare in città. Il compagno, molto incerto e temendo, con l’opporsi, di spingerlo a qualche grave colpa, gli diede modo di soddisfare il suo desiderio. Questo allora, vedendo riuscita vana la sua trovata, senza più simulare, disse apertamente che voleva a ogni costo scendere in città. Quando il compagno vide che non riusciva a trattenerlo, finì per lasciarlo andare, ma seguendolo da lontano, osservava che mai significasse quest’andata. Vedutolo entrare in un luogo infame e comprendendo di quale colpa si fosse macchiato, quando quello ricomparve, lo abbracciò amorevolmente e, senza dirgli una sola parola di rimprovero, si limitò a esortarlo che, soddisfatta la sua passione, tornasse alla sua solitudine. Egli allora, arrossendo per tanta moderazione, rimase fortemente impressionato e compunto per quanto aveva commesso, seguì il compagno al monte; ivi giunto, lo pregò di chiuderlo in un’altra colletta, serrando bene la porta, e di portargli in certi giorni pane e acqua, dicendo a quelli che lo cercassero che egli era morto.

Avendo persuaso il compagno, si chiuse dentro e rimase là continuamente, con digiuni, preghiere e lacrime purificando l’anima sua. Dopo molto tempo, ci fu da quelle parti gran siccità e tutta la gente del paese era molto afflitta; ora uno ebbe in sogno l’ordine di recarsi da quel recluso e di supplicarlo a fare orazione perché cessasse la siccità. Egli partì difatti con alcuni compagni e dapprima trovarono solo quell’altro monaco, dal quale fu detto loro che quello che cercavano era morto. Pensando d’essersi ingannati, si rimisero a pregare ed ebbero di nuovo la stessa visione di prima. Allora fecero molta insistenza con quello che li aveva ingannati, supplicandolo a far loro vedere il suo compagno, perché: Non è morto, dicevano, ma vive. Udito ciò, egli capi che non poteva più stare al patto e li condusse da quel santo uomo. La porta era sbarrata, ma scoperchiarono il tetto, entrarono tutti e si prostrarono ai suoi piedi, gli narrarono l’accaduto e lo supplicarono a salvarli dalla fame. Quello dapprima non ne voleva sapere, dicendo che era ben lontano da poter sperare tale grazia; teneva infatti il suo peccato sempre davanti agli occhi, come se l’avesse commesso proprio allora. Ma quando gli ebbero narrato tutto, si lasciò persuadere a far orazione e ottenne che cessasse la siccità.

 

 

18. L’ESEMPIO DEI SANTI APOSTOLI

 

Tu non ignori poi, anzi conosci non meno di noi il fatto di quel giovane che prima era stato discepolo di san Giovanni evangelista e poi per molto tempo fu capo di briganti, come il santo riuscì a ripigliarlo inseguendolo come fosse una fiera e, dai nascondigli dei ladroni, lo fece tornare alla primiera virtù e più volte io ti ho udito ammirare la grande condiscendenza del santo che era giunto a baciare quella mano sanguinaria e ad abbracciare quel giovane e così poté ricondurlo allo stato di prima. Anche il beato Paolo quando si convertì Onesimo, quell’inutile schiavo fuggitivo e ladro, non solo lo abbracciò lui, ma pregò pure il padrone di lui a usare allo schiavo convertito gli stessi riguardi che all’Apostolo suo maestro: Ti supplico, diceva, per il mio figlio Onesimo, che ho generato qui in prigione; egli prima ti era inutile, ma adesso è utile a te e a me. Te l’ho rimandato e tu accogli lui come frutto delle mie viscere. Avrei voluto tenermelo, perché mi servisse al posto tuo nella prigionia che soffro per l’Evangelo; ma non ho voluto far niente senza il tuo parere, che non sia il tuo un beneficio fatto per forza, ma spontaneo. Per questo forse si è allontanato per un poco da te, perché tu lo riavessi per sempre, non più schiavo, ma fratello carissimo, specialmente a me; quanto più non sarà caro a te e come uomo e come cristiano? Se dunque sei mio amico, ricevilo come riceveresti me. Scrivendo poi ai Corinzi egli dice: Non accada che quando verrò io debba piangere per molti che hanno peccato e non hanno fatto penitenza. E aggiunge: L’ho detto e lo ripeto: quando tornerò, non avrò riguardi. Vedi di chi piange e a chi non ha riguardi? Non ai peccatori, ma a quelli che non si sono convertiti; anzi, non semplicemente ai non convertiti, ma a quelli che dopo essere stati esortati una, due, tre volte non vogliono saperne di convertirsi. Infatti quando scrive: Ve l’ho detto e lo ripeto come presente e ve lo scrivo di nuovo come assente, intende proprio questo, che ora io temo accada tra noi.

 

 

La confessione deve rinnovare l’anima

 

Infatti se qui non c’è Paolo che minacciava i Corinzi, c’è però Cristo che parlava per la bocca di lui, e se resteremo ostinati nel peccato, non ci risparmierà, ma ci colpirà con grande castigo in questa vita e nella futura. Affrettiamoci dunque a presentarci al suo cospetto e apriamo i nostri cuori. Hai peccato, ci dice, non aggiungerne altri e prega per quelli già commessi. E di nuovo: il giusto è il primo ad accusare se stesso. Non aspettiamo che venga l’accusatore, ma prendiamo noi il suo posto e così ci renderemo benevolo il giudice. Io so bene che tu ammetti di aver peccato e che ti reputi un grande disgraziato; ma questo solo non mi basta; voglio anche convincerti che con la confessione puoi ottenere la giustificazione. Fino a che tu non fai una confessione efficace, per quanto ti accusi, non arriverai a staccarti dal peccato. Uno non farà mai una cosa col debito impegno e diligenza, se non è convinto che la fa a suo vantaggio. Chi semina non mieterà, se dopo la semina non si attende la messe. Chi vorrebbe mai fare una gran fatica, se questa non gli porta nessun frutto? Così chi semina parole, lacrime e confessione, se non fa questo con la speranza di averne bene, non potrà staccarsi dal peccato, poiché lo trattiene il male della disperazione; anzi, come il contadino che non spera di mietere, non bada a togliere ciò che danneggia il campo, così chi piange e riconosce i suoi peccati, ma da ciò non si aspetta alcuna utilità, non potrà mai eliminare ciò che guasta il suo pentimento. Ora ciò che rovina il pentimento è il continuare a commettere i peccati. Se l’uno costruisce e l’altro demolisce, che ci guadagnano, se non fatica? Chi si lava perché ha toccato un morto e poi di nuovo lo tocca, che gli serve il lavarsi? Così se un uomo digiuna per espiare i suoi peccati e poi torna a commetterli, chi ascolterà la sua preghiera? Quando uno dalla virtù ritorna al peccato, Dio prepara la spada contro di lui. Come il cane che torna al suo vomito fa schifo, così lo stolto che per sua malizia torna a peccare.

 

 

19. LA VERA PENITENZA

 

Non devi dunque limitarti ad ammettere che hai peccato e ad accusare te stesso, ma fà penitenza in modo tale che tu possa riavere la grazia; così potrai ottenere che la tua confessione ti ottenga di non più ricadere nei peccati di prima. Anche gli infedeli possono giudicare severamente se stessi e proclamarsi peccatori. Anche tra i più spudorati attori e attrici ce ne sono che si dicono disgraziati, ma non come bisognerebbe. Per questo neanche si potrebbe dire che quella è una vera confessione, poiché non la fanno con la compunzione dell’anima, né con lacrime amare, né con un cambiamento intimo, ma parlano dei loro peccati per far bella figura di ingenua sincerità davanti a chi li ascolta; giacché i peccati sembrano ben diversamente gravi quando ne parla un altro che quando ne parla chi li ha commessi. Ci sono poi di quelli che per la gran disperazione sono divenuti insensibili a segno che con grande indifferenza raccontano a tutti i loro peccati come se non li riguardassero. Ma tu non devi essere come questi tali; non devi confessare i tuoi peccati per disperazione, ma con molta fiducia e, troncando alla radice ogni avvilimento, mostrare invece molto impegno. E qual è questa radice da cui nasce la disperazione? È la fiacchezza di volontà, che la produce e la nutre. Come nella lana una specie di infezione produce la tignuola e questa aumenta il guasto, così dalla fiacchezza nasce la disperazione e questa aumenta la debolezza, e l’una fa crescere l’altra in modo grave e deplorevole. Ma se si riesce a sopprimerne una, facilmente si arriva a dominare l’altra. Infatti chi non è più fiacco di volontà, non cadrà nella disperazione, e chi è animato da buona speranza e non dispera, non si lascerà andare alla fiacchezza. Bisogna distruggere questa coppia, scindere questo binomio, questa mentalità che si appesantisce nelle sue molteplici manifestazioni. Non è unico, ma svariato l’aspetto di questo accoppiamento di pusillanimità e di disperazione. Così, per esempio avviene che il penitente compia molte grandi opere buone, ma poi commette un peccato che annulla tutto il bene fatto; ora proprio questo può far cadere in disperazione, quasi che fosse distrutto quello che si era costruito e sia rimasta completamente inutile tutta quella fatica.

 

 

Valore delle opere buone

 

Per scacciare questo pensiero, si deve riflettere che se non ci fossero state quelle opere buone, il peccato commesso dopo ci avrebbe certamente portato alla perdizione totale. Ora invece le opere buone si sono comportate come una corazza che, pur lacerandosi, impedisce alla freccia acuta e mortale di fare al corpo tutto il male che potrebbe e così lo salva in buona parte dal pericolo. Chi se ne va all’altra vita con molte opere sia buone che cattive, troverà qualche riguardo nel castigo e nei tormenti; ma chi è del tutto sprovvisto d’opere buone e va di là solo con opere cattive, non si può dire quanto patirà nel castigo eterno. Là infatti si bilanceranno le opere cattive e le buone, e se queste faranno piegare la bilancia dalla loro parte, otterranno la salvezza di chi le ha compiute e il danno proveniente dalle cattive non sarà tale da tirare l’uomo fuori del luogo di salvezza. Ma se predominano le opere cattive, lo manderanno nel fuoco dell’inferno, giacché le opere buone non avranno efficacia sufficiente per impedire quell’irresistibile caduta. E questo non è un ragionamento nostro, ma lo dice la Sacra Scrittura: darà a ciascuno secondo le opere sue. Non solo nell’inferno, ma anche in paradiso ci sono molte diversità. Cristo infatti dice: Ci sono molte dimore nella casa del Padre mio, e: altro è lo splendore del sole e altro quello della luna. Non c’è da farsi meraviglia che si distingua tanto minutamente, se dice che anche una stella differisce dall’altra. Ora, sapendo tale verità, non smettiamo di far opere buone e non ci stanchiamo, né, per non poter uguagliare il sole e la luna, disprezziamo le stelle; giacché se splenderemo come una stella, avremo anche noi un posto nel cielo.

Anche se non saremo oro o pietre preziose, basta che siamo argento e saremo collocati anche noi nell’edificio celeste; ma non succeda che siamo di quel materiale che sarà facile preda del fuoco. E neppure avvenga che, non arrivando a fare opere grandi, ci asteniamo anche dalle piccole, che sarebbe una vera pazzia, e Dio ce ne liberi. Come la gente si arricchisce con il non trascurare nemmeno i più piccoli guadagni, così avviene nelle ricchezze spirituali. Sarebbe cosa strana che mentre il nostro Giudice non trascura nemmeno un bicchiere d’acqua fredda, noi, non potendo fare opere molto importanti, non cercassimo di farne almeno delle piccole. Chi non trascura le piccole, saprà nell’occasione compiere con grande impegno quelle importanti; ma chi le disprezza non sarà premuroso neppure delle altre; e perché ciò non accada, Cristo ha stabilito grandi ricompense anche per queste. C’è cosa più semplice che visitare i malati? Eppure egli da per questo un grande premio.

Assicurati dunque la vita eterna, metti la tua gioia nel Signore, e supplicalo; sottomettiti un’altra volta al suo giogo soave, porta il carico leggero, fà che il termine della tua vita sia degno del principio; non lasciare che tale tesoro di meriti vada perduto. Che se tu continui a irritare Dio con quello che fai, rovini te stesso. Se invece, prima che il danno sia completo e che tutto il campo sia sommerso, tu ostruirai i canali che l’inondano, potrai ricuperare quello che si è guastato e aggiungere nuova messe di meriti. Pensa a tutto questo, scuoti la polvere, sorgi da terra e metterai paura al tuo avversario. Egli infatti si crede d’averti atterrato per sempre; ma se ti vedrà tornare alla lotta, resterà sorpreso e meno pronto a farti inciampare, e tu avrai maggior sicurezza di non restare più colpito. Se bastano le disgrazie altrui a istruirci, molto più quelle che abbiamo subito noi.

Questo io mi aspetto di vedere presto in te, che, per grazia di Dio tu divenga più bello di prima e che dia prova di tale virtù da poter fare del bene anche ad altri costì. Solo non disperare, non ti abbattere; questo non cesserò di dirti ogni volta che ti vedrò e di fartelo dire da altri; e se ascolterai questo, non avrai più bisogno di altri rimedi.

 

 

 

ALTRA LETTERA ALLO STESSO PECCATORE

 

 

1. TRISTE CONDIZIONE DEL PECCATORE

 

Se fosse possibile mostrare con lo scritto le lacrime e i gemiti, questa lettera ne sarebbe piena. Piango non perché stai curando il patrimonio paterno, ma perché ti sei tolto dal numero dei fratelli e hai calpestato il patto che avevi stretto con Cristo. Per questo rabbrividisco, di questo mi dolgo, per questo temo e tremo, sapendo come il disprezzare i loro impegni attira una grande condanna su quelli che si sono arruolati nella santa milizia di Cristo e che poi per propria viltà si fanno disertori. Che per questi tali il castigo sia più grave è chiaro da ciò: nessuno accuserebbe mai di diserzione chi non ha obblighi militari; ma quando uno è diventato soldato ed è trovato disertore, corre l’estremo pericolo.

Ciò che mette paura, mio caro Teodoro, non è già che un lottatore cada, ma che non si rialzi più; non è preoccupante che un soldato sia ferito, ma che, dopo la ferita, disperi di guarire e non si voglia medicare. Nessun commerciante per aver fatto naufragio una volta e perduto il carico, ha mai smesso di navigare, ma di nuovo affronta il mare, le onde e le lunghe traversate e si rifà le ricchezze perdute. Vediamo atleti che, dopo molte cadute, han conquistato la corona, e qualche soldato che era fuggito, poi s’è dimostrato valoroso e ha vinto i nemici. Persino molti che per la violenza delle torture avevano rinnegato Cristo, sono poi tornati alla lotta e hanno guadagnato la corona del martirio. Ognuno di questi, se dopo la prima caduta si fosse disperato, non avrebbe goduto poi del trionfo. Così adesso tu, mio caro Teodoro, perché il nemico è riuscito ad atterrarti per un momento, non ti devi buttare da te nel precipizio; ma rialzati valorosamente e torna presto là di dove sei uscito e non credere che questa breve caduta sia un disonore per te. Tu infatti non disprezzeresti un soldato che venisse dalla guerra ferito; vergogna sarebbe il gettar le armi e il tenersi lontano dal nemico; ma finché uno resta dove si combatte, anche se è colpito, anche se indietreggia un poco, nessuno sarà tanto spietato e tanto inesperto di cose di guerra da fargliene un capo di accusa. Solo chi non va a combattere è sicuro di non essere ferito; ma chi si getta animosamente sul nemico, qualche volta è ferito e talvolta cade a terra. È quello che ora è accaduto a te: mentre stavi per schiacciare il serpente, ne hai avuto un morso. Ma fatti coraggio: con una breve penitenza, di quella ferita non resterà più traccia; anzi, con la grazia di Dio arriverai a stritolare il capo del maligno.

Non ti turbare d’essere caduto proprio in principio: il diavolo vedeva molto bene il fervore della tua virtù e da molti indizi congetturò che tu saresti divenuto per lui un potente avversario; capiva che chi cominciava con tale ardore, facilmente sarebbe arrivato a debellarlo. Per questo si diede da fare, vigilò per piombarti addosso, ma a tutto suo danno, se tu vorrai resistere valorosamente. Chi infatti non aveva ammirato la tua mutazione in bene tanto pronta, sincera e fervorosa? Non badavi più ai piaceri della mensa, disprezzavi il lusso delle vesti, calpestavi ogni sorta di fasto, tutto lo studio per la sapienza mondana l’avevi rivolto alla parola di Dio; consumavi i giorni interi nelle sante letture e le intere notti nell’orazione; non ti ricordavi più della dignità di tuo padre, né ti venivano più in mente le ricchezze; ma ritenevi superiore a ogni nobiltà il prostrarti ai piedi dei fratelli e raccomandarti alle loro orazioni. Tutto questo irritava il maligno e lo provocava a fiera battaglia; non t’ha però ferito mortalmente. Anche se ti avesse atterrato dopo molti anni passati in continui digiuni, dormendo in terra, e nelle altre pratiche ascetiche, neppure allora ci sarebbe da disperare, pur potendosi dire che è un gran danno il restar vinto dopo tanti sudori, fatiche e vittorie. Ma che ti abbia fatto cadere di sorpresa, proprio all’inizio della lotta, avrà questo solo risultato, di farti tornare con più impegno alla battaglia. Egli ti ha assalito come un feroce pirata mentre avevi appena iniziato il viaggio e non al ritorno e quindi la tua nave non era carica. Come chi assale un animoso leone, se lo ferisce lacerandogli solo la pelle, non fa che provocarlo di più contro di sé e renderlo più fiero e più difficile a catturare, così il nostro comune nemico voleva infliggerti un colpo mortale, ma non gli è riuscito e piuttosto ha ottenuto che tu sia più vigilante e più mortificato in avvenire.

 

 

2. INSTABILITÀ DELLA NATURA UMANA

 

La natura umana è instabile; pronta a lasciarsi traviare e pronta a riaversi e come presto cade, così presto si rialza. Il beato David, eletto da Dio re e profeta, dopo molte opere buone, diede a vedere come anch’egli fosse uomo e fu preso da disordinata passione per la donna altrui e non fermò qui: la passione lo spinse all’adulterio e questo lo indusse all’omicidio; ma sebbene reo di questi due peccati, si guardò bene dal commetterne un terzo; invece si rivolse subito al medico e usò medicine: digiuno, lacrime, lamenti, lunghe orazioni, ripetuta confessione del suo peccato e così si rese propizio Dio a tal segno che, nonostante l’adulterio e l’omicidio, la memoria paterna fu più forte dell’idolatria di suo figlio. Salomone infatti, figlio suo, fu preso nello stesso laccio che suo padre e per far piacere alle donne si allontanò dal Dio paterno. Vedi quanto male faccia il non frenare la concupiscenza e il pervertire l’ordine naturale fino a fare dell’uomo lo schiavo delle femmine! A questo Salomone dunque, che prima era stato giusto e saggio, ma che per il suo peccato rischiava di perdere tutto il regno, Dio, per riguardo ai meriti del padre, concesse di conservare la sesta parte del regno.

Se tu un tempo ti fossi dedicato all’eloquenza mondana e poi l’avessi trascurata, io ti esorterei a occupartene di nuovo, ricordandoti i processi, i tribunali, la gloria che vi si acquista, i motivi di sperare buona riuscita; ma poiché tutta la nostra sollecitudine è per le cose del cielo e non c’importa nulla di ciò che sta sulla terra, io ti rammento un altro processo e un altro tribunale tremendo e spaventoso. Tutti noi infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. Là siede come giudice quello che tu ora disprezzi. Che diremo allora? Come ci difenderemo, se continueremo a disprezzarlo? Egli ci ha prevenuto col dirci: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se rovina l’anima sua? Diremo forse che siamo stati ingannati da altri? Ma neppure ad Adamo tornò buona la scusa di dare la colpa alla donna e dire: La donna che hai messo con me mi ha ingannato; e neppure alla donna giovò dare la colpa al serpente.

Mio caro Teodoro, è un pauroso processo quello, dove non c’è bisogno né di accusatori né di testimoni, giacché tutto è chiaro ed evidente per quel giudice e si deve render conto non solo delle opere, ma anche dei pensieri, giacché quel giudice scruta anche i più riposti segreti del cuore. Forse porterai per tua scusa la debolezza della natura e l’incapacità a portare il giogo. Ma che scusa è mai questa, di non saper portare il giogo soave e sostenere il peso leggero? È proprio cosa tanto pesante il ristorarsi dalle fatiche? Poiché a questo ci chiama Cristo dicendo: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati e io vi farò riposare; prendete su di voi il mio giogo e imparate da me perché io sono mite e umile di cuore; il mio giogo infatti è soave e il mio carico è leggero. Che c’è infatti di più soave che l’essere liberato dalle preoccupazioni, dagli affari, dai timori, dalle fatiche, trovarsi fuori dalle onde tempestose della vita e restare in un porto tranquillo?

 

 

3. I VERI BENI E I FALSI

 

Qual è la cosa che ci sembra porti maggior felicità e sia la più desiderabile a questo mondo? Tu dirai certo che sono i posti di comando, la ricchezza e la stima degli uomini. Ma se queste cose vengono paragonate alla libertà cristiana, diventano le più miserabili. Il magistrato infatti è esposto al furore del popolo, ai capricci irragionevoli della moltitudine, al timore dei magistrati più potenti, alla sollecitudine per i sudditi e chi ieri era governatore, oggi è cittadino privato. Poiché la vita presente non differisce punto da un teatro e, come sulla scena uno è re, l’altro magistrato, un terzo è generale, un quarto soldato, ma, finita la rappresentazione, il re non è più re, il magistrato non è più magistrato e il generale non è più generale, così anche nel giorno del giudizio ognuno avrà la sua ricompensa non secondo il posto che aveva nel mondo, ma in base alle sue opere. Si dovrà allora far conto della gloria, che cade giù come il fiore del fieno? Oppure la ricchezza, mentre l’averla è considerata una disgrazia? Dice infatti la Scrittura: Guai ai ricchi! E anche: Guai a quelli che confidano nella loro potenza e si vantano per la moltitudine delle loro ricchezze. Ma al cristiano non avverrà di diventare semplice cittadino dopo essere stato un governatore, né da ricco diventerà povero, né da glorioso diventerà ignobile. Egli resta ricco anche se è mendicante, e viene innalzato quando cerca di umiliarsi, e nessuno gli potrà togliere il potere che ha di dominare non sugli uomini ma sugli stessi magistrati del principe delle tenebre.

 

 

La castità perpetua

 

Convengo anch’io che il matrimonio è cosa legittima; sta scritto infatti: È degno d’onore il matrimonio e l’unione coniugale senza infedeltà; ma Dio punirà gli scostumati e gli adulteri. Ma a te non è più lecito contrarre un legittimo matrimonio. Quando si è scelto lo sposo celeste, il rinunciarvi per unirsi a una donna è un adulterio, anche se tu lo dicessi mille volte matrimonio; anzi è tanto peggio d’un adulterio, quanto Dio è superiore agli uomini. Nessuno t’inganni col dire: Dio non proibisce di prender moglie. Lo so anch’io; non ha proibito il matrimonio, ma ha proibito l’adulterio, che è ciò che vuoi fare tu. Non ti venga mai in mente di parlare di matrimonio! Che meraviglia c’è che un matrimonio sia giudicato un adulterio, quando implica il disprezzo di Dio?

Nella Scrittura vediamo che un omicidio fu una azione virtuosa, perché fatto conforme alla mente di Dio, mentre un atto di umanità fu condannato peggio che un omicidio, perché fatto contro gli ordini di Dio. Infatti fu ritenuto opera meritoria che Finees uccidesse un uomo e una donna che peccavano, mentre Samuele, il santo amico di Dio, pur passando le notti intere in pianto, in gemiti e suppliche, non poté liberare Saul dalla condanna inflittagli da Dio, perché contro il volere di lui aveva salvato la vita a un re pagano che doveva uccidere. Se dunque un atto di compassione fu punito più che un omicidio, perché contravveniva al comando di Dio, che meraviglia ci sarà che un matrimonio venga punito più che un adulterio, quando implichi disprezzo per Cristo? Come già ti ho detto, se tu fossi un privato qualunque, nessuno ti accuserebbe di diserzione; ma adesso non sei più padrone di te, poiché ti sei arruolato nell’esercito di un Re così grande. Se nel matrimonio la donna non è più padrona del proprio corpo, ma lo è il marito, molto più quelli che vivono in Cristo non sono più padroni del loro corpo. Proprio colui che ora è disprezzato è quello che allora giudicherà; pensaci continuamente e pensa pure a quel fiume di fuoco: sta scritto infatti: Un fiume di fuoco lo precedeva. Chi da Dio è gettato nel fuoco, non vedrà mai la fine del suo supplizio. Invece gli sregolati piaceri della vita non differiscono punto dalle ombre e dai sogni: non è ancora finito il peccato, che già è finito il piacere del peccato; ma la sua punizione non finisce mai. Il godimento è breve, il tormento è eterno.

 

 

Instabilità delle cose di questo mondo

 

Dimmi tu: che cosa c’è di stabile nel mondo? La ricchezza, che molte volte non dura dal mattino alla sera? La gloria? ma senti quel che dice un uomo giusto: La mia vita passa più veloce di un corriere. Come questi prima ancora di fermarsi, balzano di sella, così la gloria non è giunta ancora che già è sparita. Non c’è cosa più preziosa dell’anima e questo non lo negano nemmeno quelli che sono giunti all’estremo limite della stoltezza. Anche un poeta pagano ha detto: Non c’è nulla che valga quanto l’anima.

So bene che sei divenuto troppo debole per sostenere la lotta contro il maligno; so che ti trovi in mezzo alle fiamme dei piaceri; ma se tu dicessi al nemico: non vogliamo essere schiavi dei tuoi piaceri, né inchinarci a quella passione che è radice di tutti i mali; se tu alzassi gli occhi al cielo, il Salvatore anche ora allontanerebbe la fiamma da te ed essa brucerebbe quelli che ti hanno gettato nel fuoco e a te, in mezzo alla fornace, manderebbe la nube, la rugiada, lo zefiro, sicché il fuoco non giungerebbe più ai tuoi pensieri e alla tua coscienza; solo sta attento a non darti fuoco da te. Molte volte infatti delle città fortificate che avevano resistito alle armi e alle macchine da guerra, sono poi senza fatica cadute in potere del nemico per il tradimento di uno o due di quelli che vi stavano dentro. E perciò se non ti rovina qualche tuo pensiero interno, per quanto faccia il nemico al di fuori, non riuscirà a nulla.

 

 

4. LA PREGHIERA DEI BUONI

 

Per grazia di Dio hai molti che ti compatiscono, che ti esortano, che tremano per la tua salvezza: il santo Valerio, il suo degnissimo fratello Florenzio, Porfirio così pieno della sapienza di Cristo e altri molti. Ogni giorno questi ti compiangono e non cessano di pregare e già da tempo avrebbero ottenuto ciò per cui pregano se tu avessi voluto toglierti un momento dalle mani del nemico. Non è forse strano che mentre gli altri non disperano di te e continuamente pregano per riaverti tra loro, tu invece, caduto una volta sola, non voglia rialzarti, ma preferisca restare a terra, e in certo modo gridi al tuo nemico: Uccidimi,, percuotimi, non mi risparmiare? Forse che chi è caduto non si rialza? dice la Sacra Scrittura. Tu invece la contraddici e combatti; infatti, quando uno caduto si dispera, fa come se dicesse che uno caduto non si può più rialzare. Te ne scongiuro, non fare a te stesso questo torto, non dare a noi un simile dispiacere. Non dico ora, che non hai ancora vent’anni ma anche se fossi molto più avanzato in età e dopo aver vissuto sempre per Cristo, avessi poi nell’estrema vecchiezza subìto questo danno, neppure allora sarebbe giusto disperare, ma dovresti riflettere al ladrone giustificato sulla croce, agli operai dell’undicesima ora, che ricevettero la paga di tutta la giornata.

 

 

Fallacia delle cose mondane

 

Però come non è giusto che uno disperi anche se è caduto in fin di vita, se ha giudizio; così è pericoloso nutrirsi di simile speranza e dire: adesso mi voglio godere i piaceri della vita, poi farò un po’ di penitenza e riceverò la paga intera. Mi ricordo che proprio tu, quando ti esortavano a frequentare le scuole superiori, hai risposto più volte: E se dovessi morir presto di cattiva morte, come potrei presentarmi a colui che ha detto: Non aspettare a tornare al Signore e non rimandare da un giorno all’altro. Torna a questi pensieri e temi il ladro: così Cristo chiama la morte, perché arriva imprevista. Rifletti alle sollecitudini della vita, sia privata che pubblica, al timore che ispirano i governanti, all’invidia dei concittadini, ai frequenti ed estremi pericoli, alle fatiche, alle tribolazioni, alle adulazioni servili e persino sconvenienti agli stessi schiavi, se appena onesti, e pensa che qui finisce il frutto delle fatiche; che cosa ci potrebbe essere di più penoso? A molti poi è accaduto di non poter neppure godere di quei beni per cui s’erano tanto affaticati e, dopo aver logorato la loro gioventù nelle fatiche e nei pericoli, quando speravano di raccoglierne il frutto, se ne sono andati senza nulla portare con sé. Se uno dopo aver molto faticato e combattuto per il suo sovrano, appena è se osa guardarlo con fiducia, come oserà presentarsi al re del cielo chi ha sempre vissuto e militato fra i suoi nemici?

 

 

5. [...]

 

Dovrò forse parlarti delle sollecitudini domestiche per la moglie, i figli, i servi? È un guaio avere una moglie povera, è un guaio averne una ricca. La prima è un peso per l’economia domestica, la seconda diventa la padrona di suo marito. È triste aver figli ed è triste non averne; se non ci sono figli, è stato inutile il matrimonio; se ci sono, è una dura schiavitù: il bimbo si ammala, ed ecco gran timore; muore piccolo, è un dolore inconsolabile, e per ogni periodo della vita dei figli ci sono fatiche, sollecitudini e timori in quantità. Che dire poi dei vizi dei servi? Ti pare una vita questa, o Teodoro, dove uno da solo deve pensare a tante cose, servire a tanti, vivere sempre per gli altri, senza poter pensare a sé? Non vanno così le cose tra noi, o caro, e tu stesso ne sei testimone.

 

 

La libertà cristiana

 

In quel po’ di tempo in cui avevi potuto emergere sopra i flutti, tu sai di quanta gioia e letizia hai goduto. Poiché nessuno è davvero libero, se non chi vive per Cristo; egli è superiore a tutte le disgrazie; a meno che non voglia farsi male da sé, un altro non gliene può fare, ma è invulnerabile; non può nulla su di lui la perdita dei beni, sapendo che niente abbiamo portato in questo mondo e niente ne possiamo portar via; non si lascia prendere dalla brama dell’onore e della gloria, sapendo che la nostra patria è il cielo; non si contrista per gli oltraggi, non s’infuria per le percosse, per un cristiano c’è una disgrazia sola: offendere Dio. Tutto il resto, come la perdita delle ricchezze, l’esilio, il pericolo di morte, non gli sembrano sventure e quel che fa rabbrividire tutti, cioè il passaggio da questa all’altra vita, per lui invece è più dolce della vita. Come uno, salito su una scogliera elevata, contempla il mare e vede i naviganti, gli uni travolti dalle onde, altri sbattuti sugli scogli subacquei, altri spinti dal vento in tutt’altra direzione da quella che vorrebbero e quasi zimbello dei venti, molti naufraghi ridotti a nuotare o aggrappati a una tavola o a qualche rottame, altri poi galleggiare già morti, spettacolo di molteplici e varie calamità; così chi milita per Cristo si è tirato fuori dal tumulto e dai flutti della vita e siede sicuro in luogo elevato. Che cosa c’è infatti di più sicuro ed elevato che avere un’unica sollecitudine, quella di piacere a Dio? Hai visto, Teodoro, i naufragi di quelli che navigano per questo mare? Perciò, te ne scongiuro, fuggì il mare, fuggì le onde e mettiti al sicuro in alto, dove non potrai essere raggiunto.

C’è la risurrezione, c’è il giudizio; all’uscire da questo mondo ci attende una sentenza paurosa: tutti dobbiamo presentarci al tribunale di Cristo. Non invano egli minaccia l’inferno, non invano ci ha preparato sì grandi beni. Ombra e meno che ombra sono le cose di questa vita, piene di molti timori, di molti pericoli, di estrema schiavitù. Non sciupare la vita presente e la futura, mentre, se vuoi, puoi guadagnare e l’una e l’altra. Che servendo Cristo, si guadagni pure la vita presente, l’insegna san Paolo dicendo: Io non vi condanno. E anche: Questo lo dico a vostro vantaggio. Vedi dunque che chi vive solo per Cristo è superiore a chi vive nel matrimonio. Una volta usciti da questo mondo non c’è più pentimento; nessun atleta può continuare la lotta dopo che è terminata la gara e finito lo spettacolo. Pensa sempre a questa verità e spezza la spada affilata del nemico, quella con cui uccide tanti. È questa la disperazione, che toglie ogni fiducia ai caduti. È un’arma assai potente e solo con essa egli mantiene prigionieri quelli che ha preso, ma se noi vogliamo, con l’aiuto di Dio, la possiamo spezzare.

So che ho oltrepassato i limiti di una lettera, ma mi scuserai, non l’ho fatto apposta; l’affetto e la mestizia mi hanno trascinato e costretto a scriverti, sebbene molti mi volessero impedire, dicendomi: Tu fai una fatica inutile e semini sulle pietre. Ma io non ho ascoltato nessuno e dicevo tra me che, con l’aiuto di Dio, la mia lettera poteva essere utile; se poi, che Dio non voglia, restasse inutile, avremo almeno il vantaggio che nessuno ci potrà accusare di aver taciuto. Non vogliamo essere da meno dei naviganti che, scorgendo dei naufraghi aggrappati a qualche trave, calano le vele, gettano l’ancora e montano sulla scialuppa per salvare uomini ignoti, di cui solo conoscono la sventura. Se poi quelli non volessero essere salvati, nessuno ne accuserà chi ha cercato di salvarli. Questo è quanto potevamo fare noi; crediamo poi che, per grazia di Dio, ci sarà anche il tuo contributo e che presto ti vedremo di nuovo nel gregge di Cristo sano e salvo. Voglia Dio che presto ti possiamo riavere, per le preghiere dei santi, ristabilito nella vera santità, o carissimo. Se tu hai ancora qualche stima per noi, se non ci hai cacciato completamente dalla tua memoria, sii tanto gentile da risponderci, che così ci farai un gran piacere. 

 

GLORIA A DIO!

 

Traduzione di Bonifacio Borghini, Cesena 1965.

 

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